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06/10/2015

Siria - Ankara minaccia Mosca e ricatta l’Ue sui profughi siriani

In pochi giorni, in ben due occasioni, caccia russi hanno violato lo spazio aereo turco durante le missioni di sorvolo e di bombardamento delle postazioni jihadiste nella confinante Siria. A causa di un errore in un caso e delle avverse condizioni atmosferiche nell’altro, si è giustificato il Cremlino.

L’avvertimento di Mosca ad Ankara, sponsor di alcune delle principali forze jihadiste schierate in Siria contro i lealisti, ha mandato su tutte le furie il regime turco. Tanto che il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha apertamente minacciato Putin: "Se la Russia perde un amico come la Turchia con cui ha in essere molti fronti di cooperazione, perderà molte cose. E' giusto che lo sappia" ha avvertito il ‘sultano’ in una conferenza stampa congiunta realizzata insieme al primo ministro belga Charles Michel. Nel frattempo l'ambasciatore russo veniva convocato per consultazioni dal ministero degli Esteri di Ankara.

Il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, non ha perso tempo per gettare benzina sul fuoco: «Chiedo alla Russia di evitare tensioni con la Nato», ha detto, definendo “inaccettabile” la violazione dello spazio aereo turco. “Per noi non è stato un incidente, ma una seria violazione”, ha detto Stoltenberg, aggiungendo che «l'azione militare della Russia in Siria preoccupa la Nato» «anche perché» gli aerei russi «non attaccano l'Isis ma i gruppi dell'opposizione che combattono l'Isis ed anche i civili». In un anno di bombardamenti della coalizione internazionale su Iraq e Siria i leader della Nato si erano ben guardati dal commentare le numerose stragi di civili che hanno accompagnato i raid contro l’Isis. Ma ora che Mosca è entrata in scena sembra che l’incolumità degli abitanti delle zone colpite sia in cima ai pensieri del signor Stoltenberg.

La tensione tra Turchia e Russia è alle stelle. Le relazioni tra i due paesi erano migliorate quando Ankara aveva offerto a Mosca una sponda per uscire dalla tenaglia della Nato stretta dopo la reazione di Putin al colpo di stato filoccidentale realizzato a Kiev nel 2014 da forze scioviniste sponsorizzate da Usa e Ue. La Turchia aveva offerto alla Russia la possibilità di far passare nel suo territorio quel gasdotto che Nato e Ue boicottano nei Balcani. Ma recentemente le relazioni tra i due paesi sono precipitate quando Mosca ha deciso di entrare direttamente in gioco nello scenario mediorientale ponendosi direttamente in competizione con i turchi.

Non solo i caccia di Mosca martellano le postazioni dell’Isis e delle altre componenti jihadiste addestrate, finanziate e sostenute dal governo islamista turco. L’operazione militare russa in Siria rischia di compromettere, o di impedire del tutto, la possibilità che le truppe di Ankara possano sconfinare per alcune decine di chilometri in territorio siriano per dar vita a quella zona cuscinetto che Erdogan e Davutoglu pretendono, ormai da anni, di creare.

Obiettivo ufficiale: proteggere i propri confini (in realtà assai porosi) dalle infiltrazioni dei miliziani di Daesh e creare una “safe zone”. In questa zona protetta potrebbero essere concentrati centinaia di migliaia di siriani che negli ultimi anni si sono rifugiati in Turchia dopo essere fuggiti dai bombardamenti sulle città siriane o dalla prospettiva di dover combattere nell’esercito di Damasco o in una delle varie fazioni islamiste etero-dirette dalle petromonarchie, dalla Nato, dalla Turchia stessa. Obiettivo semiufficiale: nella zona cuscinetto i turchi potrebbero addestrare alcune migliaia di mercenari da lanciare poi contro il governo di Damasco allo scopo di abbatterlo. Obiettivo non ufficiale ma noto: spazzare via le istituzioni di autogoverno create dal movimento curdo insieme alle altre comunità etniche e religiose che abitano il Rojava e il resto della Siria settentrionale.

L’estate scorsa sembrava che il governo turco fosse riuscito a convincere il titubante Obama a concedere il via libero definitivo all’invasione della Siria da parte dell’esercito di Ankara in cambio della concessione, alla “coalizione internazionale” contro l’Isis, delle basi Nato situate nel sud della Turchia. Dopo poche settimane di annunci e smentite si è capito però che da Washington non era arrivata alcuna luce verde e così i turchi, dopo un bombardamento simbolico di una postazione jihadista al confine, si sono concentrati esclusivamente negli attacchi contro i guerriglieri curdi.

Ma la Turchia non ha rinunciato ai propri piani di mettere le mani sulla Siria, e continua anche in questi giorni a chiedere all’Onu e alla Nato il permesso di istituire una ‘no fly zone’, una zona interdetta al sorvolo, nella fascia di territorio siriano contigua alla propria frontiera. Un’ipotesi che nelle ultime ore proprio Mosca ha definito inaccettabile in quanto violerebbe la sovranità nazionale di Damasco.

E allora il governo turco sta rivolgendo le sue pressioni contro l’Unione Europea. Secondo Ankara infatti i raid russi in Siria rischiano di spingere verso la Turchia oltre un milione di nuovi profughi, che si sommerebbero ai due milioni già presenti nel paese, in Libano e in Giordania. Il messaggio del vicepremier turco, Numan Kurtulmus, è di un cinismo incredibile: «L'ovest della Siria è la zona con la più alta popolazione: Damasco, Homs, Hama, Aleppo e Latakia. Al momento c'è un equilibrio, una guerra civile multilaterale. Ogni intervento aggiuntivo, e in particolare i bombardamenti russi alle postazioni dei dissidenti moderati, rafforzeranno il regime» e «nuovi cambi negli equilibri in queste città porteranno a un afflusso in Turchia di centinaia di migliaia di persone».

Il vice di Davutoglu non lo dice esplicitamente ma il messaggio inviato a Bruxelles è chiaro: preparatevi ad un afflusso record di profughi siriani in tempi brevissimi. Non è improbabile che dietro l’improvviso arrivo in Europa di centinaia di migliaia di profughi da tempo ospiti delle città e dei campi turchi ci sia stata proprio la mano del governo di Ankara, interessato a drammatizzare la situazione per ottenere in cambio un ritorno politico e strategico.

Ieri Erdogan è andato a Bruxelles a perorare la sua causa, proponendo uno scambio con l’Unione Europea: via libera alla zona cuscinetto nel nord della Siria dove allestire enormi campi che ‘contengano’ i profughi siriani in cambio di un controllo degli stessi per impedire che un enorme flusso di rifugiati si riversi nel continente europeo. Ma l’accoglienza dei leader continentali non è stata molto calda.

«È innegabile che l’Unione Europea debba meglio controllare le sue frontiere. Ci aspettiamo che la Turchia faccia altrettanto» ha detto il presidente del consiglio europeo Donald Tusk al termine dell’incontro con Erdogan.
Bruxelles accusa di fatto Ankara di agevolare “il trasferimento” di centinaia di migliaia di profughi siriani e non verso i paesi europei, anche se ufficialmente la responsabilità viene addossata “alle mafie locali” che il governo turco non farebbe abbastanza per contrastare.

Un ‘no’ alle pretese della Turchia che Erdogan ha ribadito di nuovo, mettendole in fila: una zona cuscinetto nel nord della Siria sotto il controllo turco; l’istituzione di una zona di interdizione al volo per l’aviazione di Damasco; consistenti finanziamenti per addestrare milizie da utilizzare contro il regime siriano; il sostegno di Bruxelles alla guerra dichiarata dalle forze armate e dagli apparati di sicurezza turchi contro i movimenti curdi, in patria, in Iraq e nella stessa Siria. «Non ci possono essere terroristi buoni e terroristi cattivi. Mi auguro che gli europei dimostrino sensibilità su questo punto» ha detto Erdogan ricordando che per Ankara i guerriglieri del Pkk sono terroristi pericolosi come e più di quelli dell’Isis.

A quanto si sa Bruxelles ha risposto picche su quasi tutto il fronte, dopo che nei giorni scorsi i governi di Londra, Parigi e Berlino avevano già detto di nuovo ‘no’ alla zona cuscinetto turca in Siria. Ma comunque è stato deciso di creare “un gruppo di lavoro ad alto livello” per discutere delle questioni poste dalla Turchia, compresa quella della creazione di una “safe zone” nella Siria settentrionale.

Da Erdogan l’Ue vuole che la Turchia impedisca ai profughi siriani e asiatici di arrivare nel continente europeo: a tal scopo ha già deciso lo stanziamento di un miliardo di euro a favore del governo turco destinati alla gestione dei campi profughi esistenti e dell’apertura di nuove tendopoli. Allo scopo Bruxelles ed Ankara hanno firmato un piano d'azione che prevede l'apertura di sei nuovi centri di accoglienza per rifugiati in Turchia "per tamponare le partenze di profughi e migranti verso l'Europa". I centri saranno cofinanziati dall'Ue, si legge nel documento pubblicato dalla Commissione europea. "La Turchia adotterà misure che permetteranno ai profughi di avere accesso, durante la loro permanenza nel Paese, al mercato del lavoro e ai pubblici servizi, inclusi scuole e sanità", si legge nel documento siglato ieri.

Nel tentativo di ammorbidire le pretese di Erdogan, qualcuno avrebbe inoltre proposto l’inserimento della Turchia nella lista dei paesi ritenuti sicuri, i cui abitanti non possono chiedere asilo nell’UE. Di fatto un via libera completo alla repressione dei curdi e dei movimenti di opposizione che Ankara sta conducendo già in maniera brutale, e che alcuni dei 28 membri dell’Unione non vedono di buon occhio. Anche perché la misura comporterebbe anche una maggiore libertà di movimento dei cittadini turchi all’interno del territorio europeo attraverso la liberalizzazione dei visti, misura invisa ai governi di destra e anche ai governi di Francia e Germania. «Acco­gliamo milioni di pro­fu­ghi, ci rat­tri­sta dover discu­tere del fatto che la Tur­chia sia un paese sicuro o no» ha incalzato il presidente turco che mira ad utilizzare le eventuali aperture dell’Unione Europea ai cittadini turchi nel corso della campagna elettorale in corso per le elezioni del primo novembre.

Intanto a chiarire il ruolo di Ankara nella crisi siriana e irachena ci hanno pensato i bombardieri russi che nei giorni scorsi avrebbero preso di mira un convoglio di autocisterne cariche di petrolio che l’Isis stava trasferendo in Turchia dalla Siria per venderlo e finanziarsi.

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