La cantante ha annunciato su Facebook che non sarà al Circo Massimo la notte di San Silvestro. “Voglio avvertire tutti che il concerto di Capodanno a Roma è saltato.
Non chiedetemi perché, non lo so… anche se… un’idea ce l’ho. Approfitto per augurarvi una notte serena. Buon Natale!
Insomma, se un artista non è in linea con il “capo”, salta il concerto o non mette piede nei salotti buoni della TV.
I casi illustri in passato sono stati molti: da Beppe Grillo a Corrado
Guzzanti, da Michele Santoro a Daniele Luttazzi, passando per Enzo
Biagi; e potrei continuare ancora…
La notizia ha fatto il giro della rete e
molti, a ragione, si sono indignati. Nessuna spiegazione sulle ragioni
dell’assenza, anche se rispondendo a un utente chiarisce: “Non è il
Vaticano che non mi vuole!”. Tanti i messaggi di solidarietà postati sui
social network, con l’hashtag #iostoconfiorella.
Anche io sto con Fiorella, e ci mancherebbe, ma sto anche con quelle migliaia di lavoratrici e lavoratori
che, per aver espresso la propria idea o aver contestato il “capo”, si
sono visti sbattere in un “reparto confino” o, peggio, sono stati licenziati.
Donne e uomini di cui non parla mai nessuno. Donne e uomini indegni finanche di un hashtag. Ad esempio, chi vive la realtà di un centro commerciale o di una multinazionale del commercio, sa benissimo che è difficoltoso anche poter andare in bagno ed è spesso necessario chiedere il permesso. E denunciare, protestare o anche solo discutere le decisioni che ti riguardano non è affatto facile: il rischio è una vera e propria apartheid.
Questo è il clima che si vive nei luoghi del commercio, dove l’organizzazione del lavoro è quasi “militare”.
Tante storie che sento ogni giorno nelle nostre stanze sindacali e
tantissime altre che purtroppo non ascolta nessuno, storie di ordinarie
vessazioni vissute nella solitudine e nel dolore.
Insomma, libertà di parola e di critica per Fiorella Mannoia, ma anche per tutti quelli che fanno un lavoro “normale”.
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