Il mondo islamico comprende oltre un miliardo e mezzo di musulmani, da paesi più tradizionalmente considerati arabi, Maghreb e Medio Oriente, fino a nazioni del continente asiatico come l’Indonesia, le Filippine o il Bangladesh. Diventa, quindi, difficile poter comprendere e spiegare tutte le dinamiche legate sia ai cambiamenti interni alle diverse popolazioni che lo coinvolgono sia a quelli legati alla stessa religione islamica. Dopo i terribili attentati di Parigi, Beirut e Bamako è necessario però puntualizzare e comprendere effettivamente la differenza tra l’Islam e il terrorismo radicale che è un incancrenimento delle società musulmane: vale a dire che associare la religione islamica a movimenti come Daesh e Al Qaida è, in base alle cronache di questi giorni, il primo errore che viene fatto.
Sunniti- Sciiti
La prima differenza fondamentale, da analizzare, nel mondo musulmano è quella tra sunniti e sciiti. Questa divisione è prettamente storica, legata alla successione del califfato dopo la morte del Profeta Muhammad, ed ha poche differenze sia in termini dottrinali che teologici. Sia i sunniti che gli sciiti credono in Allah, nel sacro Corano e nel profeta Muhammad. L’unica differenza sostanziale è che, mentre i sunniti non hanno un vero e proprio clero, l’imam è quella persona che guida i fedeli nella preghiera ma è considerato uguale agli altri, gli sciiti nel corso dei secoli hanno sviluppato un clero dai mullah fino ai diversi Ayatollah. Gli sciiti rappresentano il 10% dei fedeli musulmani e sono, ormai, circoscritti in aree e paesi ben definiti: l’Iran, l’Iraq, il Libano, il Bahrein e lo Yemen. Tutte aree dove, ad oggi, ci sono dei conflitti legati a quello che ormai sta avvenendo nei paesi del medio oriente: vale a dire uno scontro per il predominio nell’area tra i sunniti, guidati principalmente da Arabia Saudita, paesi del Golfo e Turchia con i militanti jihadisti utilizzati come strumento militare, e gli sciiti con alla guida lo stato iraniano.
Radicalismo islamico: neotradizionalisti e radicali
A questa guerra per il predomino politico nel medio-oriente che coinvolge nazioni delle regione (Arabia Saudita, Turchia e Iran) e potenze mondiali (Stati Uniti e Russia) si lega lo sviluppo e l’ascesa del radicalismo islamico. Soggetto politico marginale fino agli anni '70, esso si pone come radicale alternativa di sistema ai fallimenti di modelli “occidentalizzanti” come il nazionalismo ed il socialismo arabo. In realtà l’islamismo radicale e il suo sviluppo in reti transnazionali ha, inoltre, una precisa origine socio-politica: esso è espressione di una dissidenza all’interno di società musulmane in opposizione a regimi dittatoriali, nei quali l’unico posto accessibile e “relativamente” libero per la propaganda politica è stato da sempre la moschea. Il movimento islamista contemporaneo è, ad oggi, caratterizzato da due anime: quella neo tradizionalista e quella radicale. Esse non divergono sugli obiettivi, la costruzione di uno stato islamico, ma sui mezzi per realizzarlo.
Il movimento neotradizionalista mira a islamizzare la società a partire dal “basso”, dal sociale: la sua azione è incentrata prevalentemente sull’islamizzazione del quotidiano attraverso l’utilizzo del sistema di welfare che va dalle mense per i poveri, agli ospedali, all’istruzione religiosa sino alla costruzione di scuole. Il movimento neotradizionalista mira, quindi, a ottenere il proprio sostegno attraverso un’azione continua sulla società. I partiti politici che hanno avuto questo tipo di approccio sono ad esempio, En-Nahada in Tunisia o i Fratelli Musulmani in Egitto, i quali però, dopo una veloce ascesa politica in seguito alle primavere arabe, non sono stati in grado di governare o hanno mostrato il loro approccio poco “democratico” e dispotico.
Per i movimenti radicali, tra di essi Al-Qaida ed oggi Daesh, l’islamizzazione della società non può che avvenire dall’”alto”, dal politico inteso come dominio pieno dello stato. La conquista del potere è considerata come elemento chiave per la realizzazione dello stato islamico visto che solo il pieno controllo dello stato permette di forgiare la nuova comunità. In essi c’è sempre il richiamo ad una guida religiosa che veste i panni di califfo o Amir, Osama Bin Laden e poi Al-Zarqawi per al Al Qaida o al Baghdadi per Daesh, che opera attraverso un gruppo ristretto di saggi o assemblea consultiva che è denominata Shura. Questo è un aspetto fondamentale all’interno dell’immaginario islamista perché tutti gli altri, dagli ulema ai semplici credenti che discordano dalla loro visione dell’Islam o dagli appartenenti alle altre confessioni agli sciiti, vengono considerati miscredenti e, quindi, da combattere.
Occidente e mass-media
Un altro aspetto fondamentale dell’ideologia islamista radicale è la lotta contro l’occidente. Questa ossessione nasce e si sviluppa come conseguenza dell’appoggio degli stati occidentali ai vari regimi repressivi e dittatoriali del vicino e medio-oriente, appoggio incondizionato che non si è spezzato neanche dopo l’avvento delle primavere arabe nel 2011. Permane, infatti, nella politica estera occidentale la convinzione che sostenere regimi autoritari garanti dell’ordine sia sempre meglio che favorire l’ascesa dei movimenti radicali. Al contrario questa dicotomia tra autoritarismo e islamismo radicale va di pari passo e, in effetti, l’una si alimenta con l’altra. Basti pensare al sostegno incondizionato degli Stati Uniti nei confronti dell’Arabia Saudita, principale sostenitrice di Daesh in Siria, o di un regime come quello egiziano del generale Al-Sisi. L’appoggio incondizionato a tutti questi regimi garanti non tanto della stabilità, ma degli interessi economici e politici dei paesi occidentali nell’area, ha permesso ai regimi di sgretolare, nell’arco di questi decenni, il carattere pluralistico delle diverse società mediorientali attraverso la cancellazione di tutte le forme di dissenso all’interno di questi paesi.
I movimenti radicali hanno da sempre evidenziato un grosso limite: l’alienazione dal contesto sociale nel quale agiscono. La causa è legata alla loro crudeltà di azione, all’utilizzo del terrorismo e di attentati che colpiscono indiscriminatamente la popolazione inerme e, ovviamente, all’imposizione forzata dei dettami della Sharia (legge coranica-ndr) su tutta la popolazione ad essa assoggettata. Da un altro punto di vista, però, proprio a causa dell’errato approccio e dell’ingerenza degli stati occidentali nei paesi musulmani, i movimenti radicali hanno continuato ad alimentarsi, a trovare nuova linfa e ad essere finanziati. A causa del loro scarso radicamento nel territorio e della totale alienazione dalle popolazioni autoctone, i movimenti radicali utilizzano un altro tipo di sistema di propaganda. Non sono contrari, come verrebbe da pensare o come vengono alle volte dipinti dai media occidentali, alla modernità. Essi, però, applicano l’islamizzazione della modernità: utilizzano i mezzi di informazione video e informatici per ottenere quella visibilità che altrimenti non avrebbero. Dagli attentati alle torri gemelle nel 2001 si è passati ad un utilizzo quasi scientifico dei mass media e di internet da parte degli esponenti di Daesh proprio per amplificare all’ennesima potenza la potenziale propaganda ideologica per raggiungere il più alto numero di persone da “radicalizzare” online o per mostrare filmati “brutali” al semplice fine di terrorizzare il nemico.
Daesh e Al Qaida
Risulta, quindi, evidente che dalla formazione nei primi anni ‘80 dei primi mujahiddin in Afghanistan, indottrinati dal wahabbismo dell’Arabia Saudita e sostenuti economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, fino ai foreign fighters di Daesh in Siria, poche cose sono cambiate e gli errori sono sempre gli stessi: ingerenze da parte di potenze straniere regionali (Arabia Saudita, Qatar, Turchia) e occidentali (USA, Francia e Inghilterra), guerre studiate a tavolino che hanno causato ulteriori nuove destabilizzazioni (Iraq, Libia), finanziamenti e fornitura di armi a gruppi ribelli quasi sempre appartenenti alla galassia jihadista. Uno dei più grandi errori recenti delle amministrazioni occidentali con USA in testa è stato, infatti, l’intervento militare voluto dal presidente George W. Bush nel 2003 in Iraq. Dopo pochi mesi il regime di Saddam Hussein è crollato, ma con esso sono stati soppressi tutti gli apparati burocratici e di pubblica sicurezza del paese. Questo ha portato ad un progressivo aumento di guerriglieri jihadisti in quel territorio, ad una costante escalation di attentati terroristici ed ad una progressiva instabilità in tutta l’area. Un altro errore dell’amministrazione americana è stato quello di frazionare il paese su base confessionale, favorendo da una parte la comunità sciita e lasciando che tutta la rappresentanza tribale e burocratica sunnita venisse progressivamente messa da parte ed esclusa dalla nuova scena politica irachena. Una scelta simile è stata l’humus ideale perché la maggior parte degli apparati militari sunniti passassero nelle fila del movimento radicale Stato Islamico del Levante e Iraq (Daesh), apportando a tutta la galassia di guerriglieri “stranieri” presenti sul territorio sia la conoscenza del territorio nel quale combattere sia le proprie competenze in materia di preparazione e addestramento militare.
L’ascesa del movimento Daesh è stata proprio per questi motivi così rapida e costante dalla sua nascita fino alla sua espansione nello stato iracheno ed in quello siriano. Lo stesso si può dire delle differenti ingerenze straniere (Arabia Saudita, Turchia e Qatar) nel primo periodo della guerra civile siriana. I militanti salafiti sia siriani, ma soprattutto “stranieri”, hanno progressivamente preso pieno possesso ed egemonizzato il conflitto contro il regime di Bashar al-Assad a discapito di gruppi siriani ribelli sia laici (Esercito Siriano Liberazione) che jihadisti, anche se legati ad Al Qaida, come il Fronte Al-Nusra. La loro ascesa è stata inevitabile grazie anche agli ingenti finanziamenti provenienti prevalentemente dagli Stati del Golfo.
Come ultimo elemento di analisi, infine, resta l’attualità di questi giorni e la crudeltà dei diversi attentati sia in Europa che nel vicino oriente. L’attentato di Bamako in Mali, ha evidenziato, inoltre, un altro aspetto di criticità: la lotta per il predominio nella galassia jihadista tra Al Qaida e Daesh. Da questo punto di vista Daesh sta avendo un impressionante sviluppo e sostegno legato principalmente a due motivi. Il primo è legato al fatto che nell’ideologia islamista radicale Daesh (Dawla Islamiyya- Stato Islamico-ndr) incarna quell’idealità che lo rende attraente a tutti i foreign fighters che cercano di raggiungere il suo territorio: uno stato islamico sovrannazionale che supera i vecchi confini imposti dalle potenze coloniali e che accoglie tutta la Umma (Comunità-ndr) che crede nel wahabbismo. Uno stato islamico che applica integralmente la sharia, la lotta o jihad contro i miscredenti che siano laici, sciiti, yazidi o drusi. Il secondo motivo è legato alla forza economica che Daesh possiede grazie ai finanziamenti esteri provenienti dai paesi del Golfo ed alla vendita di petrolio e di reperti archeologici, favorito, anche, dalla connivenza dello stato turco. Questa ricchezza gli ha permesso nel giro di pochi anni di finanziare e sostenere altri movimenti in molti paesi, dal maghreb al sud est asiatico (Algeria, Egitto, Mali, Nigeria, Libia, Indonesia, Filippine), a sfavore di Al Qaida.
Entrambi gli schieramenti radicali (Daesh e Al Qaida) sono in una fase di lotta per l’egemonia sui militanti radicali della galassia jihadista e cercano, purtroppo, di alzare il livello di terrore sia nei paesi musulmani che in quelli europei o americani: la competizione è legata a chi provoca attentati più atroci e brutali per avere una maggiore propaganda mediatica nel mondo. Restano analoghe, però, le modalità e gli obiettivi nella strategia degli attentatori jihadisti, a Beirut come Parigi, in Sinai come negli Stati Uniti. La priorità è quella di colpire esclusivamente civili nella loro quotidianità: dalle moschee agli ospedali, dai locali pubblici agli stadi di calcio. Come simili appaiono le finalità: in medio-oriente far crescere la tensione nei confronti delle differenti comunità per un’eventuale peggioramento del conflitto sociale ed etnico. In Europa: aumentare la discriminazione e l’omologazione verso la comunità musulmana, puntare ad una sua marginalizzazione al fine di indottrinare nuovi “combattenti” ghettizzati ai margini delle periferie francesi o europee in genere. Far crescere il conflitto sociale e offrire la possibilità di cavalcare l’onda a quei partiti della destra xenofoba (da Le Pen a Trump), stessa faccia della medaglia jihadista, che demagogicamente spingono per una lotta contro l’Islam in generale, contro tutti i musulmani e sono favorevoli a nuove guerre distruttive per continuare ad alimentare nuovamente questi movimenti radicali.
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