Perché questo articolo? – si chiederanno
in molti – Non potreste semplicemente supportare quello che c’è senza
rompere tanto le scatole?
Giuste osservazioni, vediamo di “entrare nel
merito”.
Come figli di ex mezzadri, appassionati
di ciclismo e quindi di scampagnate, contadini, operai o attenti
consumatori di cibo bio (quando possibile) e così via, siamo molto
sensibili al tema dell’agricoltura e dell’alimentazione, poiché mangiare
la merda non ci piace. Appena possiamo, proviamo a “fuggire in
campagna” come al mare o in montagna, perchè pensiamo che il rapporto
con la natura e le altre specie sia cosa fondamentale. Ma ci chiediamo
anche: perchè è così difficile trovare il tempo, il denaro e lo spazio per fare ciò?
Questo ci sembra il punto della
questione, soprattutto in seguito alla scoperta della bella esperienza
di Mondeggi, fattoria a gestione collettiva, e alla discussione con
diversi dei suoi occupanti, animatori e simpatizzanti; confronto da noi
stimolato anche attraverso la pubblicazione di articoli scritti dagli stessi, come di altro tipo.
Pensiamo infatti che, in un mondo in cui domina il rapporto sociale
capitalistico con solo alcune zone che vedono la presenza di residui di
altri tipi di rapporti sociali, il principale problema stia in un malefico connubio:
avere un po’ di denaro da spendere per mantenersi, grazie all’affitto
di una sempre maggiore (ahimè) quantità del nostro tempo, oppure provare
a vivacchiare nel tempo a nostra disposizione, ma non potendo far
fronte a spese e quindi in assenza di denaro. Se ci mettiamo che questa
non è solo una realtà, ma un triste fatto globale e uniamo il tutto con
la tendenza mondiale alla concentrazione della popolazione nelle città
(nel 2017 il 70% delle persone vivrà in questi spazi) otteniamo un
risultato poco incoraggiante rispetto al poter dedicare attenzioni al
proprio orto.
Leggendo l’interessante opuscolo
distribuito dai compagni di Mondeggi, efficace per documentazione,
sintesi e uso dei dati (utili per far comprendere la putrescenza della
società “modello Expo” in cui viviamo) troviamo due passaggi che ci
sembra siano un altro nocciolo di una questione che, per vari motivi,
non siamo mai riusciti a sviscerare qui come di persona. Il senso di
questo articolo va anche in questa direzione, “sperando” che attraverso
questo mezzo si possano trovare strategie comuni di lotta e
comunicazione, come sempre auspicato in primis dagli stessi compagni di
Mondeggi, tra i pochi a sottolineare di questi tempi la necessità di una
convergenza concreta delle lotte, non solo a parole.
Se, infatti, sulla drammatica situazione globale a livello di
devastazione ambientale e aumento delle temperature siamo ovviamente
d’accordo, i punti riguardanti la pars costruens ci vedono in
disaccordo, vediamo perchè.
L’uso di fonti energetiche rinnovabili,
se pensiamo al boom dei pannelli solari in Italia o alla crisi di
sovrapproduzione di quelli “made in Cina”, è sicuramente auspicabile ma,
prescindendo da un superamento del capitalismo a livello totale, quindi
produzione, circolazione, distribuzione, consumo e ri-uso, abbiamo
sempre come attori protagonisti i grandi proprietari, che oltre alla
natura pensano bene di rifarsela con chi materialmente produce quei
pannelli.
La produzione locale del cibo e il suo consumo,
sono allo stesso modo subordinati alle medesime leggi, in quanto o si
ha il tempo e lo spazio di produrre per sè come per altri, ma allora ci
si affida al mercato per la vendita e in genere molto spesso si va tra
le braccia delle Coop (che ricattano i piccoli come i medi produttori) ;
oppure, se non si ha tempo e spazio per l’autoproduzione, oggi se va
bene ci si affida ad un Gruppo di Acquisto, sennò si compra il “bio” (il
cui mercato ha un suo giro d’affari poco solidal)
altrimenti si va al Lidl, spendendo il giusto per mangiare la merda.
E’, ancora una volta, un problema che riguarda tutte le sfaccettature
del ciclo, produci – consuma – crepa, non una soltanto delle sfere
citate.
L’agroindustria,
come l’industria in senso stretto, e su questo hanno pienamente ragione
i compagni di Mondeggi, è tale perchè prodotto sociale capitalistico.
“Drogato” dalla sua cocaina, il petrolio,
il capitale è riuscito ad espandere la produzione in modo impensabile,
diffondendo col commercio i suoi prodotti (per la merce oppio in Cina,
ricorrendo anche alla guerra) affamando da una parte per ingozzare
dall’altra. Da qui lo squilibrio emerso in questi mesi nei vari
dibattiti inutili di Expo, dove si ricorda come 1 miliardo e passa di
persone nel mondo sia affetto da obesità, mentre 3 miliardi fanno la
fame. I “costi” nel tempo sono, come ricordano i compagni, l’uso del
tempo sociale dei lavoratori piegato per il profitto dei produttori, i
rendimenti decrescenti dei terreni e l’inquinamento che oggi si palesano
davanti a noi. Ma il problema
sta, indipendentemente da dove la si produce, nella produzione di merce,
che diventa tale non appena arriva al mercato…
La ripartizione del cibo e le filiere del commercio,
hanno a loro modo uno squilibrio analogo, perchè se è vero che il 70%
del cibo grazie al 30% dello spazio agricolo viene prodotto attraverso
l’agricoltura contadina, mentre l’agroindustria occupa il 70% e dello
spazio e il 30% della produzione con costi enormi, qui bisogna
aggiungere che i prodotti dei contadini (come in India accade tutt’ora,
per es) sono venduti attraverso la grande distribuzione, che come la
Coop qui in Toscana e non solo, seleziona in maniera centralizzata e
affama i piccoli produttori rubandogli tempo, essendo proprietaria o
comproprietaria dello spazio in cui lavorano. Anche per questi
contadini, come per tutti i lavoratori, chi è proprietario del loro
tempo (o glielo affitta) come dello spazio, determina la loro miseria
sociale. E lo stesso avviene nel caso in cui i contadini sono
proprietari del loro pezzo di terra, poiché devono vedersela col
mercato… Torna, ancora una volta, la dimensione globale del problema,
che non prevede via di fuga in isole felici. Con la merce non si sfamano le persone.
Per concludere e due parole sui rifiuti:
sicuramente tutti questi problemi, e non certo da oggi, sono
ingigantiti dall’asservimento reale e totale di ogni cosa al capitale,
quindi all’1% ma, in definitiva, alla globalità delle nostre relazioni
mediate dal denaro e incentrate sul profitto. Prendiamo le macchine e la tecnologia: libererebbero un sacco di tempo e aumentano la produzione, ne basterebbe pure il giusto, ma con i vigenti rapporti di proprietà vengono utilizzati dall’1% contro di noi. Si tratta dunque di rifiutarli? No, serve puntare il dito contro i nostri aguzzini, avendo nel mentre un piano per il futuro, saldamente incentrato, però, sull’indispensabile superamento del capitalismo, per i motivi espressi prima. Altrimenti prescindiamo dalla realtà che vogliamo plasmare.
Come fare a superarlo e come organizzarsi nello scontro non può,
invece, essere affrontato qui, un po’ per assenza di spazio e un po’
perchè non è questione che dipenda interamente da noi, a livello
soggettivo, restando legata al movimento reale e sociale, nel mondo. Il piano, dicevamo, passa anche dal problema rifiuti,
perchè si può differenziare, ri-utilizzare pure ogni cosa, ma è
sfruttamento “rinnovabile”: anche quello è tempo di lavoro non pagato e
se ogni giorno ci trovassimo un camion pieno di rifiuti da riciclare,
non avremmo risolto comunque né il problema consumo, né quello di chi
quei prodotti li ha lavorati nel suo tempo di lavoro per il profitto
altrui, né quello dell’ambiente (vedi gli inceneritori). Tutto questo ci
ricorda come, d’altra parte, non esiste, ad oggi, alcuna sovranità,
alimentare o di altro tipo: a meno che non si intenda quella appena
esposta, che è quella del capitale come prassi.
Produrre il cibo localmente e
secondo le stagioni è un nostro sicuro auspicio, fare a meno di
un’industria 4.0 come di quella 1.0 presente oggi in Asia, che producono
il 40% dei rifiuti nel mondo, è sicuramente auspicabile però, se non
affrontiamo il problema nella sua interezza, ci ritroveremo magari un
orto ben curato, se ne avremo la possibilità, ma dovendolo curare nel
nostro tempo “libero”, mentre intanto ci tocca continuare a lavorare… se
troviamo un lavoro… Quindi che fare? Come mangiare nella società
futura? Beh, revolution loading… e, se riusciremo a vincere
questo scontro epocale, potremo in tutti i modi trovare la necessaria
sintesi tra “diritto alla città” e quello alla campagna,
lavorando 1 ora massimo al giorno o 5-6 alla settimana e passando,
perchè no, un po’ del nostro tempo effettivamente liberato nei nostri
orti sociali autogestiti gestendoli con un’app.
Sarà una lotta di classe mondiale, e non di “popolo”, che ci “seppellirà”?
Jep Gambardella
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