di Giorgia Grifoni
A quanto pare, questo accordo non è proprio “quello che vogliono i
libici”, come ha proclamato il segretario di Stato Usa John Kerry
durante la conferenza internazionale sulla Libia
tenutasi domenica scorsa a Roma. La fatidica firma, che ieri avrebbe
dovuto riunire i due parlamenti rivali sotto l’ombrello di un esecutivo
di unità nazionale, non c’è stata. E ora comincia la parte più
difficile.
Ieri i delegati della Camera dei
Rappresentanti di Tobruk – sostenuta dall’Occidente, ndr – e del
Congresso generale nazionale di Tripoli avrebbero dovuto incontrarsi a
Skhirat, in Marocco, per firmare l’accordo elaborato dall’Onu e
definito domenica scorsa da Italia e Stati Uniti come “storico”. L’ottimismo
al summit di Roma era palpabile, mentre analisti e stampa
internazionale si interrogavano sulla reale implementazione di tale
accordo: non solo non era condiviso da tutte le fazioni belligeranti sul
campo, ma soprattutto non era stato ancora accettato all’unanimità
dai parlamenti stessi.
Ma Onu, Usa e Italia avevano insistito,
alla presenza di altri 16 paesi e 3 organizzazioni internazionali:
“I delegati libici presenti qui a Roma – aveva dichiarato l’inviato
speciale Onu per la Libia Martin Kobler in conferenza
stampa – rappresentano la maggioranza del popolo libico. Stiamo dalla
parte di tutti i libici che hanno chiesto una rapida formazione di un
governo di unità nazionale basato sugli accordi di Skhirat”. Poi
martedì, improvvisamente, i delegati di entrambi i parlamenti si sono
riuniti a Malta e hanno chiesto di posporre la firma. Perché, come
riporta il Times of Malta citando i delegati “alle attuali condizioni, va contro la volontà del popolo libico” ed equivale a “un’imposizione straniera”.
“Ci siamo incontrati – ha detto Nouri
Abusahmain, presidente del Congresso nazionale – per trovare una
soluzione alla crisi libica e per far sapere al mondo che siamo in grado
di lavorare ai nostri problemi da soli e con il sostegno della comunità
internazionale, ma non accetteremo l’intervento straniero contro la
volontà del popolo libico”. Uno schiaffo in faccia a quel “pieno
sostegno” manifestato dai delegati internazionali a Roma che però è
stato percepito come un’eccessiva pressione su due entità politiche che
ancora stentano a raggiungere l’unanimità sull’accordo.
Molti analisti avevano fatto notare la
pericolosità della formazione di un governo di unità nazionale messo su
in fretta e in furia, un governo che avrebbe rappresentato solo parte
degli emicicli di Tripoli e Tobruk – i deputati di quest’ultima sono
stati eletti con un’affluenza del 18 per cento, ndr – e non l’intero
spettro politico e tribale che negli ultimi quattro anni si è
fronteggiato sul territorio. Proprio la peculiarità della situazione
libica – il potere retto dai clan, che Gheddafi per 40 anni era riuscito
a tenere sotto di sé grazie a un delicato sistema clientelare – e le
voci degli ultimi giorni per cui alcuni clan non fossero stati
interpellati sull’accordo (e sulla spartizione delle risorse in ballo),
avevano accresciuto i dubbi sull’implementazione di tale accordo.
Ad esempio, ci si chiedeva come potesse
un governo di unità nazionale che non rappresenta tutti i libici essere
accolto a Tripoli, città dove la violenza riemerge puntualmente e dove i
membri del Parlamento sono costretti a dormire in hotel sotto
sorveglianza; come insediare un governo prim’ancora che i due parlamenti
abbiano messo d’accordo tutti quelli che li compongono, e poi abbiano
messo d’accordo le milizie a loro legate; come riuscire a fare tutto
questo in 40 giorni, con l’Isis che avanza sia a est che a ovest della
sua roccaforte Sirte minacciando giacimenti, terminal petroliferi e le
alleanze per il controllo delle preziose aree.
“Se un governo di unità nazionale fosse formato ora – ha avvertito il think tank
statunitense Soufan Group – ci saranno probabilmente fazioni dei due
governi che rifiuteranno di accettare la sua legittimità. Il governo
nascente probabilmente si ritroverà invischiato in una battaglia prima
ancora che l’inchiostro sia asciutto.” Altri pensano che, se le
Nazioni Unite ignorassero l’appello dei due governi e continuassero a
premere per un governo di unità nazionale immediato, si avrebbero
addirittura tre parlamenti. “A quel punto ci sarebbe il caos – ha
spiegato l’analista Mohamed Eljarh sulle colonne del Guardian – e nessun governo di unità nazionale. Sarebbe una follia”.
Il presidente della Camera dei
Rappresentanti Aguila Saleh Issa ha comunque invitato la comunità
internazionale a considerare gli sforzi fatti fino ad ora: “Le
consultazioni – ha detto all’incontro di Malta – ci danno tempo per
formare un governo di unità nazionale efficace. Agire in fretta
porterebbe portare ulteriori problemi in futuro”. Ma il tempo, per la
comunità internazionale, non c’è: l’avanzata dell’Isis con tutte le sue
conseguenze – conquista delle aree petrolifere e aumento di flussi
migratori – esige un intervento immediato che l’Occidente vorrebbe
portare avanti mascherato come “richiesta” delle autorità libiche.
Con il protrarsi dello stallo politico,
l’intervento da parte di alcuni paesi direttamente minacciati – come la
Francia – ci sarà comunque, un’eventualità che gli Stati Uniti stanno
cercando di evitare. Proprio Parigi, dove il mese scorso una
serie di attentati dell’Isis hanno ucciso 130 persone, ha ammesso di
aver mandato i suoi primi voli di ricognizione in Libia, con il premier
Manuel Valls che ha dichiarato che la lotta all’Isis sul suolo libico
sarà intrapresa presto. Anche la Gran Bretagna si muove nella
stessa direzione, secondo alcune indiscrezioni rivelate dalla stampa
inglese, previo un voto alla Camera dei Comuni. Dopotutto, petrolio e
migranti sono la priorità, alla faccia della stabilità e della sicurezza
del paese nordafricano.
AGGIORNAMENTO ORE 10.00 – ATTESA PER OGGI LA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE
“Problemi logistici” hanno costretto al rinvio della firma
dell’accordo di Pace, prevista per ieri, che invece potrebbe essere
siglato oggi in Marocco, tra i rappresentanti del Parlamenti di Tobruk
(sostenuto dall’Occidente) e di Tripoli. Le questioni logistiche,
evocate da un funzionario delle Nazioni Unite, non sono però il reale
ostacolo alla stipula di un trattato che allo stato attuale non gode del
sostegno di tutte le parti.
Intanto, ieri sera il generale Khalifa Haftar, che
guida le forze alleate al governo di Tobruk, durante un incontro con
l’inviato Onu ha sollevato la questione dell’embargo sulle armi imposto
alla Libia. Haftar ha chiesto che il blocco sia tolto, per sostenere la
battaglia delle sue forze contro i jihadisti.
AGGIORNAMENTO ORE 14.00 – ANCORA DUBBI SULL’ACCORDO DI PACE. UN ALTRO RINVIO
Quando sembrava tutto pronto per la firma, è di nuovo saltato
l’accordo di pace per la Libia e si va verso un altro rinvio. Secondo
voci non ancora confermate, i rappresentanti del Parlamento di Tobruk
hanno abbandonato l’aula in cui si sarebbe dovuta siglare, già ieri,
l’intesa.
Nel giro di poche ore, l’intesa su cui lavora la diplomazia
internazionale è stata messa in dubbio dall’inconciliabilità delle
posizioni delle parti che partecipano ai colloqui. Stamattina erano
emerse divergenze tra Tobruk e Tripoli sui nomi da designare alla
presidenza condivisa prevista dall’intesa.
Il generale Khalifa Haftar fa sentire il suo peso e
ha dichiarato che per raggiungere l’accordo è necessario inserire nel
testo i punti, dodici, da egli stesso suggeriti, tra cui la fine
dell’ebargo sulle armi.
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