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25/12/2015

Siria - Verso la fine dell'assedio a Yarmouk?

Si riaccende la speranza per Yarmouk. Un accordo, ancora in fase di negoziazione tra il governo siriano e i ribelli stanziati nel campo profughi, potrebbe entrare in vigore già domani e mettere fine all’assedio pluriennale che devasta le vite dei suoi abitanti. Lo hanno rivelato fonti Onu all’emittente al-Jazeera, specificando che, in base all’intesa, Damasco consentirà il passaggio a migliaia di miliziani e familiari, tra cui anche quelli dello Stato islamico e del fronte al-Nusra, verso le loro “roccaforti”.

Un accordo controverso, che però appare l’unico modo per liberare una popolazione stremata, intrappolata nel fuoco incrociato dell’esercito governativo e dei miliziani anti-Assad, devastata dalle malattie e dalla fame, in disperato bisogno di aiuti umanitari che non riescono a entrare. Secondo i dati dell’Onu, ci sono circa 18 mila persone ancora assediate nel campo profughi palestinese, sorto in modo “non ufficiale” alla periferia di Damasco nel 1957 per ospitare i rifugiati del conflitto israelo-palestinese che da alcuni anni vivevano in Siria come ombre.

Sempre secondo le stime delle Nazioni Unite, prima della guerra civile nel campo vivevano circa 180 mila tra rifugiati censiti e non. Ritrovatosi al centro degli scontri tra i ribelli del cosiddetto Esercito libero siriano e i militari di Assad – e, conseguentemente, tra le fazioni palestinesi pro e contro il governo siriano – il campo è stato posto sotto assedio dall’esercito governativo nel 2013. Ad aprile dello scorso anno, invece, Yarmouk è stato invaso dai miliziani dello Stato islamico, che a tutt’oggi ne controllano alcune aree.

La popolazione, quasi annientata dalla fame, dagli scontri e della fuga, poche volte in questi anni è stata raggiunta dagli aiuti umanitari: la viabilità dell’area è seriamente compromessa, e in alcuni casi le fazioni belligeranti hanno sequestrato il materiale umanitario per rivenderlo a prezzi esorbitanti ai civili. Alcune aree del campo sono del tutto isolate e persino l’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, non riesce a entrarvi. E’ quindi sempre parziale il bilancio delle emergenze in corso, come la conta delle epidemie: qualche mese fa, ad esempio, il numero delle persone colpite da febbre tifoide si era attestato intorno ai 100 casi. Impossibile, ora, sapere cosa accade realmente nel campo.

Intanto, Damasco ha fatto sapere ieri di essere favorevole a partecipare al prossimo round di colloqui di pace a Ginevra, fissati per gennaio. La precondizione, però, è quella che sia un dialogo “siriano-siriano”, come ha intimato il ministro degli Esteri Walid Moallem, “senza interferenze straniere”. In altre parole, Damasco vuole scegliere i suoi interlocutori prima di impegnarsi nelle trattative internazionali: Moallem ha fatto sapere che la Siria è ancora in attesa della famigerata “lista” delle organizzazioni terroristiche operanti sul territorio, stilata dalla Giordania su incarico dell’Onu. Poco si sa ancora del documento, se non che comprenderebbe Isis e al-Nusra.

Sebbene quasi tutte le fazioni in guerra nel conflitto siriano sembrino pronte al dialogo, restano i soliti nodi, primo tra tutti il destino di Assad. Inoltre, Damasco ha fatto sapere che acconsentirà solo a un “governo di unità nazionale”, in risposta al proposto piano della comunità internazionale su un “corpo di transizione governativa con pieni poteri esecutivi da istituire entro sei mesi” che la recente risoluzione de Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha appena approvato.

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