Si riaccende la speranza per Yarmouk. Un accordo, ancora in fase di
negoziazione tra il governo siriano e i ribelli stanziati nel campo
profughi, potrebbe entrare in vigore già domani e mettere fine
all’assedio pluriennale che devasta le vite dei suoi abitanti. Lo hanno
rivelato fonti Onu all’emittente al-Jazeera, specificando che,
in base all’intesa, Damasco consentirà il passaggio a migliaia di
miliziani e familiari, tra cui anche quelli dello Stato islamico e del
fronte al-Nusra, verso le loro “roccaforti”.
Un accordo controverso, che però appare l’unico modo per liberare una
popolazione stremata, intrappolata nel fuoco incrociato dell’esercito
governativo e dei miliziani anti-Assad, devastata dalle malattie e dalla
fame, in disperato bisogno di aiuti umanitari che non riescono a
entrare. Secondo i dati dell’Onu, ci sono circa 18 mila persone
ancora assediate nel campo profughi palestinese, sorto in modo “non
ufficiale” alla periferia di Damasco nel 1957 per ospitare i rifugiati
del conflitto israelo-palestinese che da alcuni anni vivevano in Siria
come ombre.
Sempre secondo le stime delle Nazioni Unite, prima della guerra civile nel campo vivevano circa 180 mila tra rifugiati censiti e non.
Ritrovatosi al centro degli scontri tra i ribelli del cosiddetto
Esercito libero siriano e i militari di Assad – e, conseguentemente, tra
le fazioni palestinesi pro e contro il governo siriano – il campo è
stato posto sotto assedio dall’esercito governativo nel 2013. Ad aprile
dello scorso anno, invece, Yarmouk è stato invaso dai miliziani dello
Stato islamico, che a tutt’oggi ne controllano alcune aree.
La popolazione, quasi annientata dalla fame, dagli scontri e della
fuga, poche volte in questi anni è stata raggiunta dagli aiuti
umanitari: la viabilità dell’area è seriamente compromessa, e in alcuni
casi le fazioni belligeranti hanno sequestrato il materiale umanitario
per rivenderlo a prezzi esorbitanti ai civili. Alcune aree del
campo sono del tutto isolate e persino l’Unrwa, l’agenzia Onu che si
occupa dei rifugiati palestinesi, non riesce a entrarvi. E’ quindi
sempre parziale il bilancio delle emergenze in corso, come la conta
delle epidemie: qualche mese fa, ad esempio, il numero delle persone
colpite da febbre tifoide si era attestato intorno ai 100 casi.
Impossibile, ora, sapere cosa accade realmente nel campo.
Intanto, Damasco ha fatto sapere ieri di essere favorevole a
partecipare al prossimo round di colloqui di pace a Ginevra, fissati per
gennaio. La precondizione, però, è quella che sia un dialogo
“siriano-siriano”, come ha intimato il ministro degli Esteri Walid
Moallem, “senza interferenze straniere”. In altre parole, Damasco vuole
scegliere i suoi interlocutori prima di impegnarsi nelle trattative
internazionali: Moallem ha fatto sapere che la Siria è ancora in
attesa della famigerata “lista” delle organizzazioni terroristiche
operanti sul territorio, stilata dalla Giordania su incarico dell’Onu.
Poco si sa ancora del documento, se non che comprenderebbe Isis e
al-Nusra.
Sebbene quasi tutte le fazioni in guerra nel conflitto siriano
sembrino pronte al dialogo, restano i soliti nodi, primo tra tutti il
destino di Assad. Inoltre, Damasco ha fatto sapere che
acconsentirà solo a un “governo di unità nazionale”, in risposta al
proposto piano della comunità internazionale su un “corpo di transizione
governativa con pieni poteri esecutivi da istituire entro sei mesi” che la recente risoluzione de Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha appena approvato.
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