Il Comitato centrale del Pcc ha deciso il superamento della linea del “figlio unico” decisa nel 1978 e di concedere la possibilità di due figli per coppia. La decisione di 37 anni fa fu uno dei passi decisivi per ingranare la marcia della modernizzazione economica del paese ma, come spesso accade, la soluzione di oggi diventa il problema di domani.
Oggi la Cina ha una gran massa di lavoratori in procinto di lasciare il lavoro (in Cina pochissimi hanno la pensione) e ci sono pochi giovani per sostituirli, soprattutto nell’industria. Dunque, in promo luogo occorre alle zone interne che, però, sono state spesso le più colpite da quella politica, per cui si può rimediare, ma in questo caso si aprirebbero troppi vuoti in alcune zone di campagna che diverrebbero zone di vecchi e condannate all’estinzione, come stava per accadere a diversi paesi della nostra Lucania negli anni sessanta. Inoltre, spostare persone dall’interno alle città ha un costo, perché occorre dargli casa e quel che è necessario sin quando non diventano autosufficienti con il lavoro. In secondo luogo, per ora occorre farsi carico di nuove bocche da sfamare e per almeno 18-20 anni prima che entrino in produzione e questo non è uno sforzo economico da poco.
Soprattutto non è detto che poi i cinesi procreeranno in misura da soddisfare le aspettative del Partito: due è un tetto, non un obbligo ed è storicamente provato che, quando in un paese abbassa i tassi demografici, poi non si torna indietro perché diventa difficile convincere le donne a procreare di più. Inoltre, la politica del figlio unico ha provocato una forte diminuzione delle femmine: non poche famiglie, per avere il figlio maschio (che, soprattutto nelle campagne, significa due braccia da lavoro) ricorrevano all’infanticidio femminile, nel caso di un primo nato femmina. Il risultato è che ci sono zone della Cina dove ci sono 43 femmine per 57 maschi e questo, demograficamente parlando è un disastro, perché il tasso di crescita demografica è proporzionale alla base femminile in età fertile, non alla popolazione totale in età analoga.
Dunque non è affatto detto che ci sarà un baby boom cinese e, soprattutto, che ci sia nei tempi utili a tappare la falla. Questo potrebbe aprire un nuovo capitolo: la Cina come paese di immigrazione ed, in quel caso, il rimedio potrebbe esserci, ma, in particolare in un conteso come quello cinese, aprire diversi problemi: da dove verrebbe questa immigrazione? Difficilmente sarebbero graditi gli islamici dati i ben noti problemi con gli uiguri. Gente di colore? Possibile, ma sin qui, le aziende cinesi in Africa hanno trattato malissimo i dipendenti neri e non è detto che molti possano essere interessati a spostarsi da loro. I vietnamiti? A parte il fatto che il Vietnam è in una fase espansiva, ed ha bisogno di braccia per le sue industrie, c’è il problema che vietnamiti e cinesi si odiano. Poi ci sarebbe il problema della barriera linguistica e così via.
Allora, stiamo a vedere e riparliamone fra 5 anni quando le tendenze saranno un po’ più chiare.
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