di Michele Paris
Tra le cause delle tensioni latenti all’interno dell’Unione Europea e
tra la prima economia del continente – la Germania – e gli Stati Uniti,
figura il progetto di costruzione di un’aggiunta al gasdotto Nord Stream
che da qualche anno collega già in maniera diretta la Russia con il
territorio tedesco attraverso il Mar Baltico. Quello che è stato
battezzato come Nord Stream 2 consiste in un raddoppio
dell’infrastruttura esistente e della quantità di gas naturale russo
trasportato verso il mercato europeo, con conseguenze economiche e
strategiche facilmente immaginabili.
Il piano sta provocando
un’accesa disputa nell’UE, soprattutto in seguito a una recente visita a
Mosca del vice-cancelliere e ministro dell’Economia tedesco, il
Socialdemocratico Sigmar Gabriel, durante la quale ha sostenuto che la
nascita del Nord Stream 2 è “nell’interesse” del suo paese e che sulle
procedure per la realizzazione non dovranno esserci “interferenze
politiche”.
Il Nord Stream 2 dovrebbe aggiungere 55 miliardi di
metri cubi di gas all’anno agli altrettanti già forniti dalla Russia
alla Germania attraverso l’impianto esistente. Il colosso pubblico russo
dell’energia Gazprom detiene il 50% del nuovo progetto, mentre una
fetta del 10% è attribuita a ognuna di queste cinque compagnie europee:
l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, le tedesche E.ON e BASF/Wintershall,
l’austriaca OMV e la francese Engie (ex GDF Suez).
A partire
dall’annuncio fatto qualche mese fa da Gazprom circa il lancio della
joint venture, sono emerse subito posizioni contrastanti in Europa e
oltreoceano. Il progetto è caldamente sostenuto da Mosca, da dove si
scorgono vantaggi politici, strategici ed economici nella sua
realizzazione. La Russia, innanzitutto, nonostante i proclami, gli
sforzi e i progressi effettivi per espandere i legami energetici con
l’Asia, resta tuttora vincolata all’Europa per le proprie esportazioni
di gas e petrolio.
Il Nord Stream 2 garantirebbe così uno sbocco
importante ed entrate sicure nei prossimi anni, annullando virtualmente
le varie criticità venutesi a creare con l’esplosione della crisi in
Ucraina e il raffreddamento dei rapporti con l’Occidente.
In
particolare, sul finire del 2014 Bruxelles aveva bocciato il progetto
South Stream, cioè il gasdotto che doveva collegare la Russia all’Italia
attraverso i Balcani, ufficialmente perché contrario alla normativa
energetica europea che prevede il divieto fatto a un unico operatore di
possedere sia il gas sia gli impianti con cui viene trasportato. In
questo caso, l’operatore in questione era sempre la russa Gazprom.
Il
presidente Putin aveva poi deciso di sostituire il South Stream con un
altro progetto di gasdotto per raggiungere l’Europa meridionale, questa
volta attraverso la Turchia. Il recente scontro tra Mosca e Ankara sulla
Siria dopo l’abbattimento di un jet russo da parte turca ha però
sospeso anche questa iniziativa.
Il
governo tedesco, da parte sua, non ha ancora annunciato la propria
posizione ufficiale in merito al Nord Stream 2, anche se il già
ricordato Gabriel e il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier,
si sono detti favorevoli o, più in generale, hanno parlato pubblicamente
della necessità di collaborare con la Russia in ambito energetico.
La classe dirigente tedesca è comunque divisa sull’atteggiamento da
tenere nei confronti di Mosca, con ad esempio gran parte dei media che
sostengono da tempo la necessità della linea dura, mentre il mondo degli
affari auspica al contrario la fine delle sanzioni.
In molti
chiedono ora alla cancelliera Merkel di far conoscere gli orientamenti
della Germania in questo senso e la questione dell’allargamento del
gasdotto è con ogni probabilità all’ordine del giorno del vertice UE in
programma tra giovedì e venerdì a Bruxelles.
Quella del Nord
Stream 2 è una vera e propria patata bollente in mano a Berlino, dove il
governo si ritrova a doversi districare tra una selva di interessi
contrastanti e scelte strategiche estremamente delicate. Le tensioni
maggiori sono legate appunto al fatto che alcune delle più influenti
multinazionali europee spingono per la realizzazione del nuovo gasdotto
malgrado i loro governi appoggino ufficialmente le sanzioni economiche
applicate contro la Russia.
La questione s’intreccia ovviamente
anche con la crisi ucraina. La quantità di gas trasportato annualmente
dal Nord Stream 2 sarebbe simile a quella che dalla Russia transita
attraverso l’Ucraina per giungere in Europa. Kiev verrebbe così tagliata
fuori da un traffico redditizio che, per un’economia già in stato
comatoso, frutta circa due miliardi di dollari l’anno in diritti di
transito.
Inoltre, se la Germania e l’Unione Europea dovessero
avallare il nuovo progetto, si rischierebbe di mettere la parola fine
sulla politica unitaria nei confronti del regime ucraino, ufficialmente
sostenuto contro la presunta “aggressione” russa e allo stesso tempo
colpito duramente nei suoi interessi economico-strategici con il via
libera a un progetto favorevole a Mosca. Il presidente ucraino, Petro
Poroshenko, e il primo ministro, Arsenyi Yatseniuk, hanno infatti
inviato messaggi molto chiari a Bruxelles per invitare l’Unione a
boicottare il progetto Nord Stream 2.
Le contraddizioni relative
all’Ucraina sono state citate anche in una recente lettera inviata da
alcuni paesi UE alla Commissione Europa per sollecitare la bocciatura
del nuovo gasdotto nel Mar Baltico. Paesi come Estonia, Lettonia,
Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia si sono detti preoccupati per la
minaccia alla “realizzazione di una politica europea unitaria con
alleati e partner tradizionali”. Inoltre, prosegue la lettera, “è
nell’interesse strategico dell’UE conservare il transito [di gas russo]
dall’Ucraina, non solo dal punto di vista della sicurezza energetica, ma
anche per il mantenimento della stabilità in Europa orientale”.
Secondo quanto riportato martedì dal Financial Times,
anche il premier italiano Renzi si sarebbe aggiunto al coro dei
contrari al Nord Stream 2 nell’UE durante un vertice della settimana
scorsa, evidenziando il doppiogiochismo di Berlino in relazione alla
Russia e, soprattutto, la disparità di trattamento tra questo progetto e
l’ormai naufragato South Stream.
Secondo alcuni commentatori,
l’iniziativa di questi governi sarebbe stata quanto meno coordinata con
Washington. Gli Stati Uniti hanno espresso finora riserve nei confronti
del Nord Stream 2 solo attraverso dichiarazioni di diplomatici che
occupano posizioni relativamente minori.
L’ostilità
dell’amministrazione Obama a questo progetto, tuttavia, si può
agevolmente dedurre, poiché la sua realizzazione rinsalderebbe ancor più
i legami energetici tra l’Europa – in particolare la Germania – e la
Russia nel quadro di un’integrazione economico-strategica che gli USA
vedono come una delle minacce in assoluto più gravi ai propri interessi.
L’ambiguità
mostrata fin qui da Bruxelles sul Nord Stream 2 è ad ogni modo
rivelatrice delle tensioni e delle incertezze che attraversano la classe
dirigente europea, divisa tra l’abbraccio a un progetto economicamente e
strategicamente sensato e la necessità di salvare un’apparenza di
armonia all’interno dell’Unione e di non danneggiare i rapporti con gli
Stati Uniti.
Il
commissario UE per il clima e l’energia, Miguel Arias Cañete, ha da
parte sua assicurato che il Nord Stream 2 verrà approvato solo se sarà
in linea con la legislazione europea. Un’eventuale decisione finale da
parte di Bruxelles sarà però prettamente politica, tenendo anche in
considerazione che la già citata norma che impedisce il possesso da
parte di un unico soggetto del gas e dei gasdotti è in questo caso non
facilmente applicabile a Gazprom vista la joint venture che dovrebbe
lavorare al progetto.
A complicare la decisione dell’UE vi è poi
la perentoria presa di posizione di Berlino per voce del ministro
Gabriel, il quale ha garantito a Putin che, “in merito alle questioni
legali”, la Germania si adopererà affinché “il tutto rimanga di
competenza delle autorità tedesche”.
L’apparente unità
dell’Unione Europea e di questa con l’alleato americano, insomma,
rischia di andare clamorosamente in frantumi sulla spinta di forze
centrifughe prodotte da interessi divergenti e da scelte di politica
estera irrazionali sempre meno sostenibili.
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