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22/12/2015

North Stream 2: il gasdotto che divide l’Europa

di Michele Paris

Tra le cause delle tensioni latenti all’interno dell’Unione Europea e tra la prima economia del continente – la Germania – e gli Stati Uniti, figura il progetto di costruzione di un’aggiunta al gasdotto Nord Stream che da qualche anno collega già in maniera diretta la Russia con il territorio tedesco attraverso il Mar Baltico. Quello che è stato battezzato come Nord Stream 2 consiste in un raddoppio dell’infrastruttura esistente e della quantità di gas naturale russo trasportato verso il mercato europeo, con conseguenze economiche e strategiche facilmente immaginabili.

Il piano sta provocando un’accesa disputa nell’UE, soprattutto in seguito a una recente visita a Mosca del vice-cancelliere e ministro dell’Economia tedesco, il Socialdemocratico Sigmar Gabriel, durante la quale ha sostenuto che la nascita del Nord Stream 2 è “nell’interesse” del suo paese e che sulle procedure per la realizzazione non dovranno esserci “interferenze politiche”.

Il Nord Stream 2 dovrebbe aggiungere 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno agli altrettanti già forniti dalla Russia alla Germania attraverso l’impianto esistente. Il colosso pubblico russo dell’energia Gazprom detiene il 50% del nuovo progetto, mentre una fetta del 10% è attribuita a ognuna di queste cinque compagnie europee: l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, le tedesche E.ON e BASF/Wintershall, l’austriaca OMV e la francese Engie (ex GDF Suez).

A partire dall’annuncio fatto qualche mese fa da Gazprom circa il lancio della joint venture, sono emerse subito posizioni contrastanti in Europa e oltreoceano. Il progetto è caldamente sostenuto da Mosca, da dove si scorgono vantaggi politici, strategici ed economici nella sua realizzazione. La Russia, innanzitutto, nonostante i proclami, gli sforzi e i progressi effettivi per espandere i legami energetici con l’Asia, resta tuttora vincolata all’Europa per le proprie esportazioni di gas e petrolio.

Il Nord Stream 2 garantirebbe così uno sbocco importante ed entrate sicure nei prossimi anni, annullando virtualmente le varie criticità venutesi a creare con l’esplosione della crisi in Ucraina e il raffreddamento dei rapporti con l’Occidente.

In particolare, sul finire del 2014 Bruxelles aveva bocciato il progetto South Stream, cioè il gasdotto che doveva collegare la Russia all’Italia attraverso i Balcani, ufficialmente perché contrario alla normativa energetica europea che prevede il divieto fatto a un unico operatore di possedere sia il gas sia gli impianti con cui viene trasportato. In questo caso, l’operatore in questione era sempre la russa Gazprom.

Il presidente Putin aveva poi deciso di sostituire il South Stream con un altro progetto di gasdotto per raggiungere l’Europa meridionale, questa volta attraverso la Turchia. Il recente scontro tra Mosca e Ankara sulla Siria dopo l’abbattimento di un jet russo da parte turca ha però sospeso anche questa iniziativa.

Il governo tedesco, da parte sua, non ha ancora annunciato la propria posizione ufficiale in merito al Nord Stream 2, anche se il già ricordato Gabriel e il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, si sono detti favorevoli o, più in generale, hanno parlato pubblicamente della necessità di collaborare con la Russia in ambito energetico.

La classe dirigente tedesca è comunque divisa sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Mosca, con ad esempio gran parte dei media che sostengono da tempo la necessità della linea dura, mentre il mondo degli affari auspica al contrario la fine delle sanzioni.

In molti chiedono ora alla cancelliera Merkel di far conoscere gli orientamenti della Germania in questo senso e la questione dell’allargamento del gasdotto è con ogni probabilità all’ordine del giorno del vertice UE in programma tra giovedì e venerdì a Bruxelles.

Quella del Nord Stream 2 è una vera e propria patata bollente in mano a Berlino, dove il governo si ritrova a doversi districare tra una selva di interessi contrastanti e scelte strategiche estremamente delicate. Le tensioni maggiori sono legate appunto al fatto che alcune delle più influenti multinazionali europee spingono per la realizzazione del nuovo gasdotto malgrado i loro governi appoggino ufficialmente le sanzioni economiche applicate contro la Russia.

La questione s’intreccia ovviamente anche con la crisi ucraina. La quantità di gas trasportato annualmente dal Nord Stream 2 sarebbe simile a quella che dalla Russia transita attraverso l’Ucraina per giungere in Europa. Kiev verrebbe così tagliata fuori da un traffico redditizio che, per un’economia già in stato comatoso, frutta circa due miliardi di dollari l’anno in diritti di transito.

Inoltre, se la Germania e l’Unione Europea dovessero avallare il nuovo progetto, si rischierebbe di mettere la parola fine sulla politica unitaria nei confronti del regime ucraino, ufficialmente sostenuto contro la presunta “aggressione” russa e allo stesso tempo colpito duramente nei suoi interessi economico-strategici con il via libera a un progetto favorevole a Mosca. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, e il primo ministro, Arsenyi Yatseniuk, hanno infatti inviato messaggi molto chiari a Bruxelles per invitare l’Unione a boicottare il progetto Nord Stream 2.

Le contraddizioni relative all’Ucraina sono state citate anche in una recente lettera inviata da alcuni paesi UE alla Commissione Europa per sollecitare la bocciatura del nuovo gasdotto nel Mar Baltico. Paesi come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia si sono detti preoccupati per la minaccia alla “realizzazione di una politica europea unitaria con alleati e partner tradizionali”. Inoltre, prosegue la lettera, “è nell’interesse strategico dell’UE conservare il transito [di gas russo] dall’Ucraina, non solo dal punto di vista della sicurezza energetica, ma anche per il mantenimento della stabilità in Europa orientale”.

Secondo quanto riportato martedì dal Financial Times, anche il premier italiano Renzi si sarebbe aggiunto al coro dei contrari al Nord Stream 2 nell’UE durante un vertice della settimana scorsa, evidenziando il doppiogiochismo di Berlino in relazione alla Russia e, soprattutto, la disparità di trattamento tra questo progetto e l’ormai naufragato South Stream.

Secondo alcuni commentatori, l’iniziativa di questi governi sarebbe stata quanto meno coordinata con Washington. Gli Stati Uniti hanno espresso finora riserve nei confronti del Nord Stream 2 solo attraverso dichiarazioni di diplomatici che occupano posizioni relativamente minori.

L’ostilità dell’amministrazione Obama a questo progetto, tuttavia, si può agevolmente dedurre, poiché la sua realizzazione rinsalderebbe ancor più i legami energetici tra l’Europa – in particolare la Germania – e la Russia nel quadro di un’integrazione economico-strategica che gli USA vedono come una delle minacce in assoluto più gravi ai propri interessi.

L’ambiguità mostrata fin qui da Bruxelles sul Nord Stream 2 è ad ogni modo rivelatrice delle tensioni e delle incertezze che attraversano la classe dirigente europea, divisa tra l’abbraccio a un progetto economicamente e strategicamente sensato e la necessità di salvare un’apparenza di armonia all’interno dell’Unione e di non danneggiare i rapporti con gli Stati Uniti.

Il commissario UE per il clima e l’energia, Miguel Arias Cañete, ha da parte sua assicurato che il Nord Stream 2 verrà approvato solo se sarà in linea con la legislazione europea. Un’eventuale decisione finale da parte di Bruxelles sarà però prettamente politica, tenendo anche in considerazione che la già citata norma che impedisce il possesso da parte di un unico soggetto del gas e dei gasdotti è in questo caso non facilmente applicabile a Gazprom vista la joint venture che dovrebbe lavorare al progetto.

A complicare la decisione dell’UE vi è poi la perentoria presa di posizione di Berlino per voce del ministro Gabriel, il quale ha garantito a Putin che, “in merito alle questioni legali”, la Germania si adopererà affinché “il tutto rimanga di competenza delle autorità tedesche”.

L’apparente unità dell’Unione Europea e di questa con l’alleato americano, insomma, rischia di andare clamorosamente in frantumi sulla spinta di forze centrifughe prodotte da interessi divergenti e da scelte di politica estera irrazionali sempre meno sostenibili.

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