di Chiara Cruciati – Il Manifesto
L’Iraq è alla disperata
ricerca di normalità dopo 12 anni di invasioni straniere, attentati e
settarismi interni. A regalare una finzione di unità prova Shaima Qassem
Abdulrahman, 20enne di Kirkuk, città contesa dal Kurdistan di Barzani e
il governo centrale di Baghdad. Nel weekend è stata eletta Miss Iraq,
kermesse che mancava dai palcoscenici iracheni da 43 anni. Le 150
concorrenti arrivano da tutto il paese, Erbil, Baghdad, alcune rifugiate
da Mosul dopo l’occupazione islamista: che Miss Iraq – dicono gli
organizzatori – sia di buon auspicio per il futuro.
Lontano dai lustrini, l’esercito lanciava la definitiva controffensiva su Ramadi, capoluogo della provincia di Anbar. Dopo
settimane di lenta avanzata, ieri truppe irachene e volontari sunniti
sono entrati nel centro della città. Tra loro, ma in seconda linea,
anche le unità sciite Hashid al-Shaabi, nonostante i mal di pancia del
comando Usa.
«La città sarà ripulita nelle prossime 72 ore», dice il portavoce del
contro-terrorismo iracheno al-Noman. L’operazione è stata lanciata
ufficialmente domenica: volantini hanno avvertito i civili di fuggire.
Li hanno letti anche gli islamisti che hanno quindi bloccato ogni uscita
dalla città, impedendo la fuga delle famiglie: «L’Isis blocca i civili,
vogliono usarli come scudi umani», diceva lunedì il Ministero della
Difesa. Già all’inizio di dicembre, quando venne annunciata la prima
controffensiva, i residenti riportarono delle rappresaglie islamiste
contro chi tentava la fuga: case date alle fiamme, telefonini
confiscati, abitazioni occupate.
10mila soldati hanno attraversato ieri l’Eufrate e sono
penetrati nel quartiere centrale di al-Baker, vicino alle sedi degli
uffici governativi. Nella serata di ieri l’esercito ha fatto
sapere di aver rallentato l’operazione e di volerla proseguire oggi, in
attesa di altri 200 soldati delle forze speciali statunitensi.
L’eventuale ripresa di Ramadi, caduta in mano allo Stato Islamico a maggio, è fondamentale. Prima di tutto perché toglierebbe ulteriore terreno all’Isis che, secondo il think tank britannico Ihs, avrebbe perso nel 2015 il 14% delle zone occupate tra Siria e Iraq. In secondo luogo aprirebbe alla controffensiva su Mosul
che, secondo l’ex governatore della città, sarebbe stata rinviata a
causa degli screzi tra Turchia e Iraq sulle truppe inviate da Ankara
nella base di Bashiqa: iracheni, turchi e statunitensi – riporta
al-Nujaifi – avrebbero dovuto discutere dell’operazione ad Erbil ma la
crisi tra Ankara e Baghdad avrebbe costretto a posporre l’incontro.
Ma Ramadi è fondamentale anche per l’unità del paese. Capoluogo della
zona più calda delle sollevazioni sunnite, qui si è rafforzata
al-Qaeda e qui sono partite le proteste della popolazione sunnita contro
il governo sciita dell’ex premier al-Maliki. Una volta che la
città sarà tornata sotto il controllo del governo potrà indicare il
futuro del paese: la comunità sunnita, che ha in parte accettato l’Isis
vedendolo come mezzo per tornare al potere in Iraq, oggi cerca
inclusione politica.
Il timore è che accada quanto successo a Tikrit, dove i sunniti hanno
subito la vendetta sciita perpetrata dalle milizie legate all’Iran. Lo
sa bene anche l’Isis che a Fallujah avrebbe ordinato ai suoi
miliziani di travestirsi da soldati governativi per poi compiere
atrocità contro i civili, omicidi, torture e stupri, prima di essere
costretti a lasciare la città. Lo ha reso noto ieri il
colonnello Warren, capo della coalizione. L’obiettivo è cristallino:
accendere le paure sunnite e spingere la popolazione a non sostenere la
controffensiva di Baghdad.
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