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20/12/2015

Francia: dalla resistenza alla desistenza?

Il 13 dicembre la Francia è tornata nuovamente alle urne dopo che, solo una settimana prima, l’affermazione del Front National aveva provocato un piccolo terremoto politico.

Ora, se ci dovessimo fermare alle bandierine colorate, giustapposte sulla carta regionale dell’Hexagone dopo il secondo turno, verrebbe quasi da commentare “tanto rumore per nulla”: su sette regioni garrisce la bandierina blu dell’ex presidente Nicolas Sarkozy e su cinque quella rosa, sbiaditissima, dei socialisti di François Hollande.

Delle bandierine nere del FN nemmeno l’ombra. Infatti a Marine Le Pen, uscita trionfante dal voto del 6 dicembre, primo partito in sei regioni su dodici, non è andata nemmeno una regione. La realtà, ovviamente, è molto più complessa di qualsiasi infografica e ci racconta ben altro. Non per caso queste elezioni, che occorre ricordarlo erano delle amministrative, hanno avuto una copertura senza precedenti da parte del sistema mediatico europeo.

Le elité continentali sembrerebbero dunque aver preso piena coscienza, anche più di molti osservatori di sinistra, delle proporzioni dell’incendio che si è acceso in uno dei paesi cardine dell’Unione Europea, in cui una forza politica reazionaria e di massa, dichiaratamente antieuropeista, arriverà a poter ambire concretamente alla guida politica con le prossime elezioni presidenziali. La boutade del premier socialista, Manuel Valls, che ha paventato il rischio di una “guerra civile” in caso di affermazione del Front National, è stato per certi versi il termometro della drammatizzazione in corso, oltre che un richiamo alla disciplina repubblicana per la sinistra francese.

Lo scorso 6 dicembre il partito guidato dalla le Pen aveva ottenuto complessivamente il 27,7% dei consensi (6.052.733 voti), davanti al centrodestra guidato dall’ex presidente Sarkozy (26,6%) e al Parti Socialiste di Hollande (23,2%). Il Front National era arrivato largamente in testa in tre regioni: nel Nord-Pas-de-Calais, dove si presentava Marine Le Pen (40,6%); con la stessa percentuale nella Provenza-Costa Azzurra, dove era candidata la ventiseienne Marion Le Pen; e nella Alsazia-Lorena, dove il capolista Florian Philippot aveva raggiunto il 36,1%. Era inoltre in testa in altre 3 regioni, fra cui la Normandia. Il dato più significativo è però la crescita costante dell’estrema destra che ormai si conferma ad ogni appuntamento elettorale: 11,4% alle regionali del 2010; 17,9% alle presidenziali del 2012; 24,9% alle europee del 2014, 25,2% alle provinciali di inizio anno. Un’affermazione che geograficamente sembra concentrarsi soprattutto nei bastioni un tempo rossi della gauche e del PCF, segno pericoloso di una penetrazione sempre più forte dei discorsi reazionari tra i salariati francesi. Soprattutto quelli di pelle bianca.

A rafforzare ancor di più quest’aurea antisistema dei lepenisti ha contribuito ancora una volta l’atteggiamento “frontista” di molta sinistra, più o meno moderata, che ha dimostrato di non aver ben compreso le radici del successo del FN. Subito dopo la “scossa” del primo turno è partito infatti l’appello alla disciplina repubblicana da parte dei dirigenti socialisti che hanno invitato i propri candidati a rinunciare alla competizione, laddove erano arrivati terzi, per favorire indirettamente il candidato di centro-destra. Una desistenza che si è concretizzata nel ritiro delle liste nel Nord-Pas-de-Calais e in Provenza-Costa Azzurra, e che, almeno apparentemente, sembrerebbe aver raggiunto il proprio scopo.

Come ricordavamo sopra l’estrema destra ha fallito l’obiettivo di conquistare almeno una regione, ma ha triplicato il numero dei consiglieri regionali (da 118 a 358), rafforzando il proprio processo di radicamento territoriale. L’altro dato significativo è rappresentato dai 4 milioni di francesi che sono passati dall’astensione (che era stata intorno al 50%) al voto, un dato superiore all’8,5%, e che è stato persino maggiore di quello delle presidenziali del 2002, quando a sorpresa Jean-Marie Le Pen aveva superato il socialista Lionel Jospin ed era arrivato al ballottaggio con Jaques Chirac. E se il Front National è riuscito ad ottenere quasi 800mila voti in più, oltre 3 milioni sono andati a socialisti e repubblicani. Il centro-destra è così passato da meno di 6 milioni di voti del primo turno a più di 10 del secondo, dal 26 al 40%. Grazie anche al voto desistente di elettori socialisti e di sinistra che, se hanno arginato l’ascesa del FN nell’immediato, gli hanno però regalato un potente argomento di propaganda per il futuro, accreditandolo ancor di più come l’unico partito anti-establishment della Quinta Repubblica.

Ora l’attenzione si sposta sulle presidenziali e sulle legislative del 2017, mentre tutti i sondaggi danno come concretamente possibile l’approdo di Marine Le Pen al ballottaggio. Le elezioni regionali ci dicono che il 70% dei francesi è pronta a votare contro di lei, ma due anni di crisi e di guerra possono cambiare molte cose, è il dibattito pubblico della République, precipitata in uno stato d’eccezione permanente dopo gli attacchi del 13 novembre, è li a dimostrarlo.

Alcuni commentari sostengono preoccupati che se la Le Pen dovesse conquistare l’Eliseo l’integrazione europea si concluderebbe, probabilmente per sempre. E’ indubbio che sia anche questa la ragione che oggi spinge moltissimi francesi, soprattutto lavoratori, a votarla. Aver lasciato questo spazio politico alla destra reazionaria è un errore imperdonabile e una lezione da imparare per tutta la sinistra di classe europea. Altrimenti non ci sarà desistenza che tenga.

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