Soprattutto dopo la prematura scomparsa di Roberto Casaleggio,
è utile una riflessione a mente fredda sul M5s e sul suo ruolo in
questi anni. Tutti i necrologi hanno sottolineato come Casaleggio abbia
cambiato stabilmente la politica, le sue forme comunicative, la
struttura del sistema eccetera.
A differenza di Grillo (che aveva un
comprensibile risentimento contro quei giornalisti, che avevano
attaccato il suo amico dicendo molte cose ingiuste) non credo che si sia
trattato solo della solita ipocrisia, per cui dei defunti non si parla
se non in bene. La mia sensazione è che, almeno in parte, ci sia stato
un riconoscimento sincero del ruolo avuto da un personaggio, che non era
neppure parlamentare e che, quale che sia il giudizio che si abbia del
M5s e della sua irruzione, si è imposto come uno dei protagonisti della storia repubblicana, nonostante la brevità del tempo in cui è stato presente sulla scena politica.
Nella politica italiana c’è stato un “prima del febbraio 2013” ed un “dopo febbraio 2013”
con uno spartiacque definitivo. Ricordate il duopolio Berlusconi-Pd?
Sembra sia passata un’era, ma sono solo tre anni: tutti ormai
riconoscono il ruolo politico del web, il sistema è ormai articolato in
tre aree elettorali, nonostante persista una assurda legge elettorale
maggioritaria che dovrebbe indurre ad un sistema bipolare, anche gli
altri partiti hanno iniziato ad adottare forme di comunicazione e
linguaggi furtivamente ripresi dal nuovo venuto.
Basti ricordare la serie di ricadute a
catena di quelle elezioni che segnarono il tramonto dell’egemonia
bipolare: il nuovo biennio di Napolitano, il governo Letta e l’intesa
fra Pd e Berlusconi, poi l’ascesa di Renzi ed il patto del Nazareno, con
il conseguente declino inarrestabile del Cavaliere, l’imprevedibile
elezione di Mattarella, il fallimento del centro di Monti e lo
scioglimento del centro, con la trasformazione della geografia
elettorale sia nelle europee che poi nelle regionali dell’anno dopo,
eccetera eccetera.
Tutte conseguenze dirette o di secondo grado di quel terremoto elettorale che Casaleggio aveva innescato. Non so (e nessuno può saperlo) cosa sarà del M5s in futuro,
anche se, almeno per ora, sondaggi ed elezioni parziali confermano che
si tratti di una “zolla stabile” del sistema, attestata bel oltre il 20%
nelle elezioni politiche, e può anche darsi che nel medio periodo il
movimento cambi natura, cresca, vada al governo o, al contrario, si
divida dando vita a più forze politiche diverse o persino si dissolva.
Tutto può darsi, ma sin da ora risulta inimmaginabile il ritorno al
vecchio schema bipolare. Un vecchio uomo di palazzo come Casini, un paio
di anni fa, disse: “abbiamo tentato per anni di fare il terzo polo, ora
lo ha fatto Grillo”.
Il caso del M5s è unico in Europa,
dove la rivolta populista contro il fallimento delle èlites
tecnocratiche, quasi dappertutto ha assunto una decisa coloritura di
destra, anche se non dichiaratamente fascista, salvo parziali eccezioni
di Syriza in Grecia, Podemos in Spagna (che però viaggia su percentuali
ben più modeste e forse Portogallo (dove si profila una imitazione un
po’ più pallida di Podemos).
Nel complesso, il M5s è l’unico ad avere
una percentuale così elevata che dura nel tempo (a differenza di Syriza
che sembra arrivata al capolinea, nonostante la percentuale più alta
conseguita nelle due elezioni del 2015). Il M5s si differenzia tanto dai
movimento di destra come il Fn, Alternative fur Deutschland, l’Ukip, i
Veri finlandesi ecc, quanto da quelli più di sinistra cui abbiamo fatto
cenno (Syriza e Podemos), non solo perché si proclama “né di destra né
di sinistra” ma perché realmente, sia nel suo programma politico, quanto
nella composizione del suo elettorato, convivono elementi tanto di
sinistra quanto di destra.
Sotto il profilo programmatico,
posizioni apertamente neo liberiste si affiancano ad una schietta
ostilità verso i poteri finanziari, sulla questione dell’immigrazione il
movimento è spaccato fra un atteggiamento “chiuso” che prevale nel
gruppo parlamentare, con l’appoggio tanto di Beppe Grillo quanto (sinché
è vissuto) di Gianroberto Casaleggio, e quello “aperto” della base che
nella consultazioni on line ha costantemente espresso un orientamento
più di sinistra, in politica estera il M5s ha posizioni ostili alle tesi
americane su questioni come gli F35, il Muos o il Ttip, ma non è
favorevole all’uscita dalla Nato, a volte manifesta interesse per i
Brics, ma nel parlamento europeo è insieme all’Ukip, e così via. In
qualche modo è il riflesso della composizione del suo elettorato che ha
una zolla maggioritaria di provenienza di sinistra (Rifondazione, Sel,
Pd), una zolla meno consistente ma non irrilevante di provenienza
leghista ed una terza che ingloba quasi per intero l’ex elettorato
dell’Idv dove, a sua volta, confluivano ex elettori Pd-Rifondazione con
ex elettori di An e Lega.
Questo spinge la direzione del movimento
a scansare ogni identificazione con uno dei due poli, per non perdere i
consensi sull’altro versante, e, conseguentemente, il M5s rifiuta di
essere di destra o di sinistra perché si propone come “Partito di tutto
il popolo”. Questa retorica “Popolare” ha l’ulteriore corollario in una
centralità esclusiva del movimento, che rifiuta ogni alleanza, proprio
per evitare di essere identificato con questo o quello schieramento. In
questo, il M5s ha una certa specularità con il “Partito della Nazione”
di Renzi (che pure teorizza l’esclusiva centralità del suo partito), ma
con l’importante differenza di proporsi come partito di “alternativa di
sistema” (quel che è espresso in particolare in tema di europeismo e
moneta unica), per cui potremmo definirlo paradossalmente come
“antipartito della Nazione”, sia nel senso di partito che propone una
idea opposta di popolo e nazione a quella renziana, sia come soggetto
politico che rifiuta la forma organizzativa partitica in favore di
quella di movimento non formalizzato e non gerarchizzato (per lo meno
nelle proclamazioni).
E’ difficile dire se questo
calderone ribollente riuscirà a unificare tutto in una cultura politica
originale o magari si dividerà in più soggetti, o se riemergeranno le
soggettività precedenti, pur contaminate fra loro.
Ma su una cosa si può essere
ragionevolmente sicuri: il M5s avrà ragione di esistere sinché si
manterrà forza alternativa al sistema. Vice versa, se dovesse
trasformarsi in un ennesimo partito di sistema, segnato solo da una
sempre più sbiadita retorica dell’onestà, si avvierebbe lungo un assai
breve viale del tramonto.
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