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27/09/2016

Media di regime, il doppio binario fisso

Quanto spazio ha un'amministrazione locale anche leggermente fuori dai percorsi che erano stati decisi? Zero. Non c'è bisogno che vinca le elezioni una coalizione "antagonista" (scegliete voi da chi potrebbe essere composta); non c'è neanche bisogno che sia particolarmente brillante, intelligente, disturbante. No. Basta che ad occupare certe poltrone ci siano persone non scelte preventivamente da chi poi si aspetta di utilizzarle per condurre in porto i propri affari. Fin quando, almeno, un magistrato non ci mette il naso e li sbatte in prima pagina.

Il caso di Roma, con le cervellotiche e impresentabili scelte di Virginia Raggi (che ha messo anche alcune persone serie in giunta, salvo poi affiancarle con personaggi riesumati tout court dai sottoscala di Alemanno) è diventato un tormentone infinito. E giustamente i giornalisti mainstream, che si sono guadagnati sul campo il disprezzo e l'odio dei fan pentastellati, rispondono: "facciamo solo il nostro mestiere, fare le pulci al potere".

Fanno davvero questo? Nemmeno per sogno. Lavorano ai fianchi le giunte "spurie" (e Roma è un boccone molto più succoso di Parma o Livorno), e chiudono sistematicamente gli occhi su quelle filogovernative. Anche qui: almeno fino a quando una procura non apre un fascicolo molto sostanzioso e allora si mettono a fare i cani da riporto, copincollando paginate di verbali, intercettazioni, gossip, ecc.

Pubblichiamo questo articolo di Gianni Barbacetto non perché sia clamorosamente importante, ma solo perché indicativo – in modo ovviamente critico – di un modo di gestire il potere anche e soprattutto tramite i media. In questa fase, certo. Se le cose dovessero precipitare, sul piano del consenso sociale, ricorrerebbero a metodi meno asettici e un tantinello più sanguinosi. La storia d'Italia – recente e non – sta lì a ricordarcelo.

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Le nomine su misura del cerchio magico di Sala

Un appello appassionato, quello di Basilio Rizzo, consigliere comunale della sinistra a Milano. Tema: gli incarichi e le nomine per lo staff del sindaco e per il vertice dell’amministrazione. A Roma sono state per settimane la croce di Virginia Raggi. E nella Milano di Giuseppe Sala? Rizzo distingue due piani: quello del “controllo della legge, che spetta ad altre istituzioni”, e quello della “buona politica e della buona pratica amministrativa, che è più esigente e chiede di più: esistono comportamenti, scelte, atti che forse non sono reati ma che, non per questo, sono raccomandabili”.

Primo esempio: è stata “nominata segretario generale una persona che si sapeva indagata”. È Antonella Petrocelli, che cinque giorni dopo la nomina ha dovuto lasciare il posto ed essere sostituita, perché era addirittura già rinviata a giudizio immediato dal giudice di Como per turbativa d’asta.

Più arzigogolata ancora la nomina del capo di gabinetto del sindaco: prima viene cambiato il regolamento sull’ordinamento degli uffici, per poter chiamare per le vie brevi un professionista, Mario Vanni, che è stato prezioso a Sala in campagna elettorale; poi, per non infrangere la legge, è stato fatto un avviso pubblico, si sono illusi i partecipanti alla gara, è stata messa in piedi una commissione esaminatrice che – indovinate un po’ – come capo di gabinetto ha infine scelto Vanni. A questo punto, nuova modifica del regolamento per tornare alla situazione iniziale. “È questo un esempio di buon governo?”, si chiede Rizzo. “È una procedura surreale, in cui prima prendi la decisione finale e poi monti un percorso ad hoc per mostrare un simulacro di legittimità”.

Commissione esaminatrice al di sopra di ogni sospetto: formata dal direttore generale del Comune, Arabella Caporello (fondatrice del circolo Pd della Pallacorda e ospite alla Leopolda), dal direttore relazioni istituzionali, Gianni Confalonieri (già interfaccia comunale di Sala durante Expo), e dal direttore risorse umane, Domenico D’Amato.

“Lo stesso modello ad personam è stato reiterato per numerosi altri incarichi”, continua Rizzo. Esempio: una delle ragioni fondanti per scegliere Caporello come direttore generale, è “la specifica conoscenza del gruppo Comune di Milano, conseguita quale membro del cda di Sea spa”. Curioso: a nominare Caporello alla Sea è stato lo stesso Comune nel maggio 2016, cioè un mese e mezzo prima della nomina a direttore generale. È chiaro che è un passaggio fatto apposta per poter poi giustificare il salto al vertice dell’amministrazione di Palazzo Marino.

“C’è poi la trasposizione a Palazzo Marino, passo dopo passo, della squadra di comando della società Expo”, denuncia Rizzo. Stefano Gallizzi, efficiente uomo-stampa dell’esposizione e poi della gara elettorale, ora è portavoce del sindaco. Roberto Arditti e Marco Pogliani, uomini di pubbliche relazioni di Expo e poi della campagna per Sala sindaco, sono stati premiati con due ricchi contratti di consulenza. “Mi è venuto da pensare: senza l’infortunio dell’arresto per Expo”, si chiede Rizzo, “che numero di maglia avrebbe avuto l’ingegnere Antonio Acerbo in questa squadra?”.

Sala ha voluto attorno a sé uomini di sua stretta fiducia. Eppure “nei Comuni non è previsto lo spoil system, andrebbe anzi tutelata la separazione tra politica e amministrazione. Se si costruisce invece un’ossatura di persone di stretta provenienza politico-partitica, non si altera la natura terza e indipendente della struttura comunale? Se si costituisce un canale privilegiato e parallelo di assunzioni, slegato dalle usuali procedure concorsuali, non si mortificano le aspettative di uguaglianza nella ricerca del diritto al lavoro? Se si impiegano significative risorse economiche da un monte che è limitato, non si frustrano legittime speranze dei lavoratori estranei a quel circuito di fortunati?”.

Così s’interroga Rizzo, a proposito dei tanti fortunati chiamati da Sala e dal Pd in forza dell’articolo 90 del Testo unico enti locali: gli addetti stampa dei vari assessorati, un paio di ex consiglieri comunali non rieletti (Anna De Censi e Luca Gibillini), perfino un ex vicesindaco, quello di Cormano, Fabrizio Vangelista. “Quanti sono i collaboratori che il sindaco può scegliere? Stabiliamolo prima, almeno ‘costituzionalizziamo’ in modo trasparente i cerchi magici”.

Valentina Morelli, che in campagna elettorale teneva l’agenda di Sala, è stata scelta dal solito trio Caporello-Confalonieri-D’Amato, tra sette partecipanti alla gara, “quale soggetto idoneo per l’incarico di alta specializzazione di responsabile del servizio relazioni con la città del gabinetto del sindaco”. Con superstipendio e “indennità ad personam commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale” che spetterebbe però a una laureata, mentre Morelli ha solo una laurea breve (a proposito: che cosa ha scritto nel curriculum consegnato al Comune? Non siamo riusciti a saperlo).

A Roma, è stata polemica per un dipendente del Comune, Salvatore Romeo, che si è messo in aspettativa per farsi riassumere con stipendio maggiorato come capo della segreteria del sindaco. Anche a Milano esistono casi identici. Sono almeno cinque, tra cui Francesca Carmela, ex funzionaria, ora dirigente Erp (case popolari).

Insomma: se Roma piange, Milano non dovrebbe ridere. Ma chi si occupa di Milano, a parte qualche povero ossessionato che pensa che le regole debbano valere per tutti?

da http://www.giannibarbacetto.it/

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