di Francesca La Bella
Analizzare un contesto di guerra può creare problemi di comprensione
per la velocità in cui mutano alleanze e bilanciamento dei poteri sul
campo. A seguito dell’arretramento delle forze dello Stato Islamico da
alcune roccaforti con Manbij, dell’attacco del Governo siriano contro le
forze curde Ypg a Hasakah e dell’invasione turca prima a Jarabulus e
poi nelle aree circostanti, le milizie curde e le Sdf alleate hanno
acquisito una posizione centrale nel destino dell’area settentrionale
della Siria.
Non stupisce in questo senso
che, mentre si profila la battaglia per Raqqa, gli Stati Uniti si
trovino a confrontarsi con la necessità di trovare una mediazione con le
forze Ypg per il prosieguo della campagna anti-Is. E’ notizia
di queste ultime ore la richiesta da parte curda di alcune concessioni
in cambio della partecipazione alla campagna verso l’autoproclamata
capitale dello Stato Islamico: riconoscimento del progetto federale per
il Rojava, coinvolgimento del Pyd nei negoziati di Ginevra e armamento
diretto delle forze Ypg da parte della coalizione a guida statunitense.
La lotta contro l’Is, collante di un
fronte spesso disunito e con interessi divergenti potrebbe, in questo
senso, essere il viatico per il riconoscimento della legittimità di un
Governo Regionale curdo nei cantoni posti lungo il confine
turco-siriano. La composizione etnica di queste aree e le
vittorie militari sul campo hanno permesso al Pyd ed alle milizie curde
Ypg e miste Sdf di avviare un processo di autogoverno che, guidato
ideologicamente dal Confederalismo Democratico di Abdullah Ocalan, trova
sempre maggior sostegno in questi territori.
Il censimento della popolazione è uno dei passaggi principali operati in questa direzione. Gli attori dell’area, pur mantenendo contatti con la controparte curda hanno, però, più volte
provato a delimitare il campo d’azione curdo in modo da mitigare
l’effetto contagio su altre popolazioni e altre aree territoriali. Le motivazioni sono molteplici e diverse a seconda dei soggetti in analisi.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti il
supporto alle Ypg sembra essere funzionale sia al contenimento di un
nemico difficilmente incasellabile nelle categorie classiche di
combattimento come lo Stato Islamico sia alla ridefinizione delle
alleanze all’interno della Siria, dopo la quasi totale scomparsa
dell’Esl e delle forze di opposizione ad Assad. Un’alleanza strumentale
resa maggiormente chiara dopo il fallito colpo di Stato in Turchia che,
però, non potrebbe avere futuro qualora il contesto d’area dimostrasse
una palese contrapposizione al progetto Rojava.
L’indebolimento dei legami con
Ankara non ha, infatti, impedito al Segretario di Stato americano di
“invitare” le milizie curde a non superare la linea dell’Eufrate come
non sembra essere in discussione il legame preferenziale tra Washington
ed Erbil. Per quanto spesso non risulti evidente, il Krg ha,
infatti, un ruolo molto importante anche nelle dinamiche interne alla
Siria. Il Governo Regionale del Kurdistan Iracheno, da un lato, è il
primo esempio di autogoverno curdo ed è frutto di un intervento militare
internazionale contro uno Stato sovrano. Il Krg guidato dalla famiglia
Barzani è, però, anche modello di una possibile convivenza con Paesi
come la Turchia con la quale, grazie a ingenti investimenti
infrastrutturali e ad un costante flusso petrolifero, è stato garantito
il mantenimento dello status quo d’area.
Il Confederalismo Democratico
del Rojava, invece, rientrando a pieno titolo nell’idea di
organizzazione propagandata dal Pkk e dal Kck, pone una questione di
legittimità sia agli Stati Nazionali sia al modello di Governo liberista
e familistico del Krg.
Allo stesso modo, guardando al fronte
Russia-Siria-Iran possiamo trovare un filo conduttore nelle scelte
strategiche nei confronti delle forze curde. La capacità di porsi come
terza via tra Assad e opposizioni fin dai primi mesi di guerra e di
resistere indistintamente agli attacchi da entrambe le parti, ha reso
evidente la capacità di mobilitazione e di intervento dei gruppi curdi. Per
quanto le vittorie di Ypg e Sdf contro lo Stato Islamico, abbiano
permesso a Damasco ed ai propri alleati di concentrarsi maggiormente su
altre aree del Paese con minore dispersione di uomini e mezzi, inoltre,
l’opzione di una futura Siria federale mina alle basi il progetto di
Stato centrale forte da sempre sostenuto dal governo Assad.
Allo stesso modo, per quanto riguarda
Teheran, la presenza di una consistente minoranza curda all’interno dei
confini iraniani, induce il governo a temere che una definitiva vittoria
dei curdi siriani possa costituire un pericoloso precedente.
Parallelamente, però, la componente curda, negli anni, è diventata di
estrema rilevanza per la regione e il timore che possa schierarsi
apertamente contro il governo centrale ha portato ad una politica di
contenimento più che di contrapposizione.
In questo senso l’incontro tra
rappresentanti del Pyd e membri del governo siriano nella base russa di
Khmeimim a Latakia il 18 settembre, nonostante l’allontanamento dovuto alle incursioni governative ad Hasakah, mostrerebbe come la
collaborazione bellica possa continuare ad esistere anche in mancanza di
un comune progetto per il futuro.
L’attore che maggiormente teme una
vittoria curdo-siriana è, però, la Turchia. A fronte di un fallimento
pressoché totale del tentativo di mediazione politica con il Pyd sul
modello dei rapporti tra Ankara e Krg, la guerra per procura in
territorio siriano attraverso il finanziamento di gruppi islamisti come
Jabhat al Nusra non ha dato i risultati sperati. L’assedio di Kobane da
parte dell’Is e la chiusura dei confini ai profughi da parte turca
hanno, invece, portato ad un rafforzamento del dialogo intra-curdo e ad
un nuovo protagonismo del Pkk. Il timore di un effetto a catena
che investa ancor di più il territorio turco è tale da aver indotto,
dopo il fallito colpo di Stato, ad un formale riavvicinamento a Russia,
Siria e Iran ed allo sconfinamento in territorio siriano con
l’operazione a Jarabulus, ufficialmente contro lo Stato Islamico.
In un contesto in cui Rojava
mostra, seppur a guerra in corso, che il confederalismo
democratico è un’opzione plausibile e percorribile, Ankara teme che i
curdi-turchi riescano a far fronte alla repressione e ad avviare anche
in Turchia forme di autogoverno regionale.
Il bilanciamento delle alleanze sembra,
dunque, dipendere più da contingenti scelte tattiche e da strategie di
lungo periodo, che da una vicinanza ideologica o politica tra le parti.
In questo senso se la guerra dovesse finire, il progetto di una nuova
Siria potrebbe aprire nuove fratture e nuove contraddizioni per tutto il
Medio Oriente.
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