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30/09/2016

Il confine Siria-Turchia e la variabile curda

di Francesca La Bella

Analizzare un contesto di guerra può creare problemi di comprensione per la velocità in cui mutano alleanze e bilanciamento dei poteri sul campo. A seguito dell’arretramento delle forze dello Stato Islamico da alcune roccaforti con Manbij, dell’attacco del Governo siriano contro le forze curde Ypg a Hasakah e dell’invasione turca prima a Jarabulus e poi nelle aree circostanti, le milizie curde e le Sdf alleate hanno acquisito una posizione centrale nel destino dell’area settentrionale della Siria.

Non stupisce in questo senso che, mentre si profila la battaglia per Raqqa, gli Stati Uniti si trovino a confrontarsi con la necessità di trovare una mediazione con le forze Ypg per il prosieguo della campagna anti-Is. E’ notizia di queste ultime ore la richiesta da parte curda di alcune concessioni in cambio della partecipazione alla campagna verso l’autoproclamata capitale dello Stato Islamico: riconoscimento del progetto federale per il Rojava, coinvolgimento del Pyd nei negoziati di Ginevra e armamento diretto delle forze Ypg da parte della coalizione a guida statunitense.

La lotta contro l’Is, collante di un fronte spesso disunito e con interessi divergenti potrebbe, in questo senso, essere il viatico per il riconoscimento della legittimità di un Governo Regionale curdo nei cantoni posti lungo il confine turco-siriano. La composizione etnica di queste aree e le vittorie militari sul campo hanno permesso al Pyd ed alle milizie curde Ypg e miste Sdf di avviare un processo di autogoverno che, guidato ideologicamente dal Confederalismo Democratico di Abdullah Ocalan, trova sempre maggior sostegno in questi territori.

Il censimento della popolazione è uno dei passaggi principali operati in questa direzione. Gli attori dell’area, pur mantenendo contatti con la controparte curda hanno, però, più volte provato a delimitare il campo d’azione curdo in modo da mitigare l’effetto contagio su altre popolazioni e altre aree territoriali. Le motivazioni sono molteplici e diverse a seconda dei soggetti in analisi.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti il supporto alle Ypg sembra essere funzionale sia al contenimento di un nemico difficilmente incasellabile nelle categorie classiche di combattimento come lo Stato Islamico sia alla ridefinizione delle alleanze all’interno della Siria, dopo la quasi totale scomparsa dell’Esl e delle forze di opposizione ad Assad. Un’alleanza strumentale resa maggiormente chiara dopo il fallito colpo di Stato in Turchia che, però, non potrebbe avere futuro qualora il contesto d’area dimostrasse una palese contrapposizione al progetto Rojava.

L’indebolimento dei legami con Ankara non ha, infatti, impedito al Segretario di Stato americano di “invitare” le milizie curde a non superare la linea dell’Eufrate come non sembra essere in discussione il legame preferenziale tra Washington ed Erbil. Per quanto spesso non risulti evidente, il Krg ha, infatti, un ruolo molto importante anche nelle dinamiche interne alla Siria. Il Governo Regionale del Kurdistan Iracheno, da un lato, è il primo esempio di autogoverno curdo ed è frutto di un intervento militare internazionale contro uno Stato sovrano. Il Krg guidato dalla famiglia Barzani è, però, anche modello di una possibile convivenza con Paesi come la Turchia con la quale, grazie a ingenti investimenti infrastrutturali e ad un costante flusso petrolifero, è stato garantito il mantenimento dello status quo d’area.

Il Confederalismo Democratico del Rojava, invece, rientrando a pieno titolo nell’idea di organizzazione propagandata dal Pkk e dal Kck, pone una questione di legittimità sia agli Stati Nazionali sia al modello di Governo liberista e familistico del Krg.

Allo stesso modo, guardando al fronte Russia-Siria-Iran possiamo trovare un filo conduttore nelle scelte strategiche nei confronti delle forze curde. La capacità di porsi come terza via tra Assad e opposizioni fin dai primi mesi di guerra e di resistere indistintamente agli attacchi da entrambe le parti, ha reso evidente la capacità di mobilitazione e di intervento dei gruppi curdi. Per quanto le vittorie di Ypg e Sdf contro lo Stato Islamico, abbiano permesso a Damasco ed ai propri alleati di concentrarsi maggiormente su altre aree del Paese con minore dispersione di uomini e mezzi, inoltre, l’opzione di una futura Siria federale mina alle basi il progetto di Stato centrale forte da sempre sostenuto dal governo Assad.

Allo stesso modo, per quanto riguarda Teheran, la presenza di una consistente minoranza curda all’interno dei confini iraniani, induce il governo a temere che una definitiva vittoria dei curdi siriani possa costituire un pericoloso precedente. Parallelamente, però, la componente curda, negli anni, è diventata di estrema rilevanza per la regione e il timore che possa schierarsi apertamente contro il governo centrale ha portato ad una politica di contenimento più che di contrapposizione.

In questo senso l’incontro tra rappresentanti del Pyd e membri del governo siriano nella base russa di Khmeimim a Latakia il 18 settembre, nonostante l’allontanamento dovuto alle incursioni governative ad Hasakah, mostrerebbe come la collaborazione bellica possa continuare ad esistere anche in mancanza di un comune progetto per il futuro.

L’attore che maggiormente teme una vittoria curdo-siriana è, però, la Turchia. A fronte di un fallimento pressoché totale del tentativo di mediazione politica con il Pyd sul modello dei rapporti tra Ankara e Krg, la guerra per procura in territorio siriano attraverso il finanziamento di gruppi islamisti come Jabhat al Nusra non ha dato i risultati sperati. L’assedio di Kobane da parte dell’Is e la chiusura dei confini ai profughi da parte turca hanno, invece, portato ad un rafforzamento del dialogo intra-curdo e ad un nuovo protagonismo del Pkk. Il timore di un effetto a catena che investa ancor di più il territorio turco è tale da aver indotto, dopo il fallito colpo di Stato, ad un formale riavvicinamento a Russia, Siria e Iran ed allo sconfinamento in territorio siriano con l’operazione a Jarabulus, ufficialmente contro lo Stato Islamico.

In un contesto in cui Rojava mostra, seppur a guerra in corso, che il confederalismo democratico è un’opzione plausibile e percorribile, Ankara teme che i curdi-turchi riescano a far fronte alla repressione e ad avviare anche in Turchia forme di autogoverno regionale.

Il bilanciamento delle alleanze sembra, dunque, dipendere più da contingenti scelte tattiche e da strategie di lungo periodo, che da una vicinanza ideologica o politica tra le parti. In questo senso se la guerra dovesse finire, il progetto di una nuova Siria potrebbe aprire nuove fratture e nuove contraddizioni per tutto il Medio Oriente.

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