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27/09/2016

Il referendum nella Republika Srpska agita la Bosnia

“Il referendum ha dimostrato l'unità di popolo della Repubblica Serba”, titolava ieri sera la Rossijskaja Gazeta, a proposito della consultazione tenutasi nell'entità statale dei serbi di Bosnia-Erzegovina circa la volontà o meno di continuare a celebrare il 9 gennaio, quale data di fondazione della “Republika srpska Bosne i Hercegovine”, il 9 gennaio 1992. Alle 19 di ieri sera, la percentuale di votanti era superiore al 51%, ma sembra che alla chiusura dei seggi, questa fosse salita fin circa il 60%, con una schiacciante maggioranza – oltre il 99% – di voti a favore del mantenimento della festa.

“Noi lottiamo per la nostra festa, la Festa della Republika Srpska e non danneggiamo nessuno” aveva dichiarato il leader dell'entità serba, Milorad Dodik; “il 9 gennaio è da molti anni un giorno sacro per la Republika Srpska. Oggi tutti noi dimostriamo che né Bakir Izetbegović, né persone straniere possono stabilire la data di nascita della Repubblica Serba”. Quando nel 1992 i musulmani di Bosnia proclamarono l'indipendenza dalla Jugoslavia, i serbi di Bosnia si dichiararono subito contrari e proclamarono a loro volta la Republika Srpska, con a capo Radovan Karadžič; la guerra di tra anni tra bosniaci (e croati) e serbi, fu poi decisa dai bombardamenti Nato contro questi ultimi. Oggi, in Bosnia e Erzegovina c'è un sistema di governo (previsto dagli accordi di pace di Dayton del 1995) che teoricamente tiene conto degli interessi delle tre popolazioni e prevede due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (croato-musulmana) e appunto la Republika Srpska. Si tratta di una unione di due entità territoriali distinte, con al vertice un Consiglio dei Ministri e una Presidenza federali.

Il referendum di ieri si è tenuto dopo che, nel novembre 2015, la Corte Costituzionale statale aveva dichiarato incostituzionale la parte della legge “Sulle feste nella RS” relativa proprio alla festa del 9 gennaio e aveva successivamente respinto l'appello della Skupščina (il Parlamento) serba col pretesto che quella data coincide con la festa ortodossa di Santo Stefano e lederebbe quindi altri gruppi religiosi.

Contro il referendum e per non riconoscerne la legittimità si erano dati un gran daffare il leader dei musulmani bosniaci, Bakir Izetbegović e le rappresentanze occidentali in Bosnia, per timore che il prossimo passo di Banja Luka potrebbe segnare l'uscita della RS dalla Bosnia-Erzegovina. Le autorità bosniache, scrive Aleksandr Borisov, appoggiate da Washington e Bruxelles, stanno studiando la possibilità di perseguire penalmente chi ha violato la decisione della Corte Costituzionale.

Per tutta risposta, anche di fronte alle interessate illazioni di Izetbegović, secondo cui il referendum sarebbe il primo passo verso la separazione della RS, Milorad Dodik ha dichiarato che solamente un'eventuale operazione militare bosniaca nei confronti dei rappresentanti ufficiali della RS, porterebbe alla dichiarazione di indipendenza dell'entità serba, sottolineando che "ci difenderemo. Sto dicendo tutto questo in via puramente ipotetica, ma non per questo è il caso di dubitarne. Disponiamo di tutto il necessario per proteggerci". E' appena il caso di ricordare che lo scorso 22 settembre, ricevendo Dodik al Cremlino, Vladimir Putin aveva appoggiato la volontà dei serbi di Bosnia di esprimere la propria opinione attraverso il referendum; posizione ribadita anche dall'ambasciatore russo a Sarajevo, Pëtr Ivantsov: “la popolazione della Republika Srpska, una delle due entità che costituiscono la Bosnia-Erzegovina, ha diritto di esprimere la propria volontà su una questione per essa importante”. Circa 200 serbi di Bosnia hanno votato anche al seggio allestito presso la rappresentanza della RS a Mosca. In effetti, la russa Zarubežneft ha una raffineria a Brod, sul confine tra Croazia e RS ed è interessata a che non si arrivi a un conflitto aperto tra Sarajevo e Banja Luka.

Il regista Emir Kusturica ha dichiarato che il referendum è l'espressione della lotta di tutto il popolo serbo per la libertà e la conservazione della cultura nazionale. "In un primo momento, si è cercato di cancellare nome e anniversario della festa della Republika Srpska; solo dopo, si è dovuta sollevare la questione del referendum. Se fosse stato il contrario, allora si sarebbe potuto parlare di un comportamento scorretto del Presidente della RS. Quelli come lui devono difendere la libertà del nostro popolo. La difesa della libertà è oggi attuale, come sempre, sullo sfondo delle azioni di Bakir Izetbegović, che sta seguendo le orme del padre". L'attuale presidente del Presidium di Bosnia-Erzegovina, il bosniacco Bakir Izetbegović, è figlio di quel Alija Izetbegović passato dai Giovani Musulmani della divisione SS Handžar durante la Seconda guerra mondiale, a presidente di una Bosnia-Erzegovina che nei suoi piani doveva rappresentare nient'altro che uno stato islamico e sotto la cui guida criminali di guerra quali il famigerato Naser Orić si poterono “vantare” di aver massacrato, a partire dalla propria base di Srebrenica, qualche migliaio di serbi, anche con l'apporto di numerose bande di mujaheddin. Quel Alija Izetbegović accusato poi da alcuni suoi stessi generali di aver scientemente programmato il bombardamento del mercato di Sarajevo, nel 1994, incolpandone i serbi, per accelerare il risolutivo intervento della Nato.

“La festa della disobbedienza serba”, titola invece oggi Gazeta.ru e gli autori del servizio, Aleksandr Rybin e Igor Krjučkov scrivono che il referendum di ieri potrebbe determinare il destino della popolazione serba del paese. Secondo lo slavista russo Georgij Engelgardt “appena una settimana fa le chance di un referendum sulla separazione della RS apparivano nulle. Tuttavia, le reazioni serbe alle parole di Izetbegović lasciano intendere che tutto dipende da quanto aspra sarà la reazione di Sarajevo e dell'Occidente. Se avvieranno dure sanzioni, allora un nuovo referendum è del tutto probabile. Tutto dipende da chi per primo violerà gli accordi di pace”.

Non pare difficile pronosticare da che parte si schiererà il mondo “libero” in caso di conflitto (non necessariamente armato): le vicende del cosiddetto tribunale de L'Aja e le prese di posizione odierne, da autentico “giornalismo imparziale” a senso unico, anche di fogli malavitosi nostrani a proposito del referendum di ieri, non lasciano dubbi.

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