La nostra testata si occupa di Deutsche Bank da oltre cinque anni, qui un articolo del luglio 2011 – Ufficiale, la Deutsche Bank scommette per aggravare il debito pubblico italiano – che preannunciava il rapporto tra la banca tedesca e l’attacco al
debito sovrano del nostro paese, e ha seguito nel tempo diverse sue
evoluzioni.
Non ci possiamo certo stupire di quanto
sta accadendo, l’ennesimo cedimento del titolo dell’istituto tedesco che
manda in flessione le borse europee, piuttosto possiamo registrare il
fatto che la vicenda Deutsche Bank ha due tipi di soluzione. Entrambe legate a due fattori sistemici: la crisi delle banche europee,
la crisi, più globale, della creazione di valore negli istituti
bancari. Significativamente, proprio nelle ore in cui Deutsche Bank
perdeva ulteriore quota, andando sotto i dieci euro per azione,
l’edizione digitale di Die Welt rimarcava come stesse crescendo in Europa il settore dello shadow banking.
Ovvero quel settore finanziario che, facendo servizi bancari
(fideiussioni, assicurazioni, mutui, money market funding per limitare
l’esposizione al rischio, finanziamento a opere per infrastrutture e
diverse attività di rischio come i famigerati repo) toglie spazio al
settore bancario tradizionale già eroso dai tassi bassi e dalle
evoluzioni tecnologiche del banking. Die Welt segnalava infatti come un
fatto ormai ineludibile (del resto negli anni ’90 lo shadow banking
“pesava” per 9 milioni di credito nell’eurozona oggi quasi 25 nonostante
la crisi del 2008): è sempre maggiore il peso dell’intermediazione finanziaria che sfugge alle autorità di regolazione continentale. Per questo la crisi di Deutsche Bank, che è stata stimata possedere il 10 per cento dei titoli tossici del pianeta, è ancora più forte.
Crisi delle banche europee, della
produzione di valore bancario e concorrenza di nuovi soggetti, oltre
alle tecnologie che sono destinata a produrre ulteriori mutazione nel
settore, portano istituti come Deutsche Bank sull’orlo della crisi
annunciata. Anche se, a loro volta, le banche dell’Eurozona hanno
esposizioni dirette nei confronti del settore shadow banking per almeno l’8
per cento dei loro bilanci questo intreccio sembra, per loro, funzionare
solo in negativo. Il settore istituzionale decresce e il settore bancario ombra cresce. Lo registravamo già nel 2012: “grande
malato di questa crisi è il settore bancario. Il quale lo è sia nella
sua cornice nota e istituzionale che nei suoi rapporti con lo shadow
banking”.
Da allora, nonostante ulteriori pesanti interventi della Bce, niente è migliorato. E Deutsche Bank, sopravvissuta alla crisi del 2008 con pesanti interventi della Repubblica Federale Tedesca,
ha continuato a produrre effetti negativi nel sistema bancario europeo,
in quello finanziario e, in definitiva, in tutta la società
continentale viste le severe politiche di bilancio imposte dal suo
salvataggio (e pagate, in maniera diversa, da tutti gli stati). E’
presto, naturalmente, per dire se l’ultima oscillazione del titolo, che
ha affossato le borse europee, sia in grado di creare choc sistemici. Di
sicuro sono vere almeno tre cose: 1) in una situazione del genere qualcuno fa un po’ di guerra finanziaria, giocando su ribassi e rialzi, per guadagnare qualcosa (e con l’esplosione del trading automatico e dell’High-Finance Trading questo qualcuno ha armi sofisticate) 2) effettivamente Deutsche Bank è una bomba che potrebbe scappare di mano a chi la detiene 3) la banca potrebbe essere salvata ridimensionandola.
Questo vorrebbe dire che la Germania rinuncerebbe agli investimenti di
rischio? Non scherziamo: una parte considerevole degli asset dello
shadow banking, il settore che cresce a detrimento di soggetti come
Deutsche Bank, sono locati tra paesi alleati di Berlino (Olanda,
Lussemburgo) o direttamente in Germania. Un ridimensionamento di
Deutsche Bank rappresenterebbe solo una differenziazione del rischio
sistemico. Oltre ad un bel bagno di sangue per risparmiatori e imprese, di
fatto del continente, contribuendo a contrarre il già esangue Pil
europeo.
Ma veniamo a un po’ di fatti. Il primo è che il titolo Deutsche Bank, di importanza sistemica, ha perso il 58 per cento del suo valore da inizio anno
(fonte Handelsblatt). E, si badi bene non stiamo parlando di un titolo
qualsiasi ma di questo. Si guardi la sproporzione tra il pil tedesco e
il volume dell’esposizione in derivati di Deutsche Bank.
E’ comprensibile che le oscillazioni del titolo Deutsche Bank possano far tremare le borse.
E anche Berlino, considerando che in Germania Deutsche Bank non è certo
la sola, anche se è la più grossa, ad aver prodotto montagne di
esposizioni in derivati. In più in questi giorni, un gruppo di hedge
fund, fondi di investimenti aggressivi e importanti, ha lasciato
Deutsche Bank, e i suoi servizi finanziari, considerandola indebolita e
fuori mercato. Si capisce che, a parte le notizie gonfiate per favorire
la guerra finanziaria e guadagnare speculando a breve, il problema
strutturale esiste e si riverbera in tempo reale nei mercati globali. Due sono le interpretazioni dell’attuale momento (caduta del titolo da inizio anno e fuga di Hedge Fund).
La prima è che Deutsche Bank ha maggiori riserve di liquidità che nel
2007, all’epoca del grande scossone sistemico del periodo, che ha una
liquidity coverage ratio (liquidità da far intervenire in condizioni di
stress finanziario) in linea con quanto richiesto dagli accordi Basilea
III per prevenire le crisi sistemiche. Per questo, lo stesso Credit
Suisse ritiene sovrastimato l’allarme di questi giorni. Questo
non significa che in Germania non si vogliano vedere i problemi di
Deutsche Bank: la Süddeutsche Zeitung ha parlato chiaramente di banca
che deve diventare meno globale, meno globalmente sistemica, e più
tedesca. In una operazione di ridimensionamento, e di
salvataggio, che la riporti sotto il controllo tedesco e non in balia
dei mercati globali. Operazione difficile, specie in un mondo
finanziario dove le stesse banche centrali sono trascinate dai mercati,
ma comprensibile.
Poi c’è la seconda interpretazione del
fenomeno. Quella che stima la liquidità di Deutsche Bank di almeno 70
miliardi di euro al di sotto delle dichiarazioni ufficiali e che afferma
che la liquidity coverage ratio può coprire le situazioni di stress per
un mese. Dopo, in una situazione dove il titolo Deutsche Bank ha perso
quasi il sessanta per cento di valore in un anno e quindi entro una
dimensione permanente di perdite, comincerebbero problemi seri. Ma per
chi? Semplice, come ha detto la stessa Goldman Sachs, Deutsche Bank sta al centro dell’intero sistema bancario europeo.
Una seria, eventuale crisi tedesca si rovescerebbe su tutto il
continente. Tra le stime che vedono una liquidità adatta a superare la
crisi e quelle che affermano il contrario, si capisce, c’è una bella
differenza. In ogni caso cambierà il rapporto tra sistema bancario e
shadow banking, e lo stesso ruolo dei bilanci pubblici. Ampiamente
sinistrati, con cascate di tagli in tutta Europa, dalla crisi del 2008.
Per non parlare della geopolitica: gli Usa che hanno multato di
14 miliardi Deutsche Bank hanno fatto sentire il loro peso politico nella
crisi e la stessa Turchia, come ammesso da stampa tedesca mainstream, si
sta facendo vedere per dire la sua nel salvataggio di Deutsche Bank. L’Europa si specchia, in ogni
caso, nella crisi di Deutsche Bank come quella di una inutile, barocca,
cattedrale bancaria e finanziaria. Dove le somme, vertiginose e
inimmaginabili, non servono che ad alimentare bolle, depressione
economica e tagli ai servizi. E’ un prezzo da pagare alle divinità della
moneta, del cui culto il continente non è ancora sazio.
Nella tragedia non manca naturalmente la farsa. Il governo italiano e i suoi, arruolatissimi, opinion-maker attendono buone nuove da Berlino. Ovvero che la crisi di Deutsche Bank permetta, di riflesso sulle misure
eventualmente prese dal governo federale, di salvare la compagnia di
giro del “management” delle banche italiane con un bel assegno pagato
dai cittadini di questo paese. Non c’è nessuna strategia per il futuro,
di un mondo bancario completamente mutato dall’inizio del secolo, nel
governo Renzi. Far pagare, proprio in senso materiale, a tutti noi.
Al limite un paese, in un’ottica di ristrutturazione e innovazione, ci
potrebbe anche stare. Ma l’unica innovazione che conosce il governo
Renzi è quella in materia di cazzate da raccontare a reti unificate.
Capiremo alle prossime puntate se anche il guitto di Rignano sarà
travolto o meno da delle ristrutturazioni che, in un senso o in un
altro, non sono, classicamente, questione di “se” ma solo di “quando”.
Redazione, 30 settembre 2016
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