di Michele Paris
L’escalation di
minacce e provocazioni tra India e Pakistan attorno alla nuova crisi
che sta attraversando il Kashmir è sfociata mercoledì in un attacco
“mirato” condotto dalle forze armate di Nuova Delhi nel territorio del
vicino-rivale, ufficialmente per colpire sospetti militanti islamisti
pronti ad agire nella regione contesa tra le due potenze nucleari.
L’iniziativa
è stata annunciata giovedì da un generale indiano nel corso di una
conferenza stampa appositamente indetta. L’incursione avrebbe provocato
“perdite significative” tra i presunti terroristi e rappresenta la prima
risposta concreta alle crescenti minacce rivolte al Pakistan da
militari e politici indiani dopo l’attacco del 18 settembre scorso
contro una base dell’esercito di Nuova Delhi nella città di Uri, nello
stato di Jammu e Kashmir.
Nell’attentato avevano perso la vita 18
soldati indiani e il governo di Delhi ne aveva subito attribuito la
responsabilità al gruppo terrorista pakistano Jaish-e-Mohammed (JeM),
considerato vicino ai servizi segreti di Islamabad.
Il governo
del Pakistan sempre giovedì ha smentito la versione indiana dell’attacco
sul proprio territorio, mentre ha confermato che ci sarebbero stati
scambi di colpi d'armi lungo la cosiddetta Linea di Controllo, cioè il
confine che separa i due paesi nella regione del Kashmir. Per Islamabad,
l’esercito indiano avrebbe sparato per primo, uccidendo due soldati
pakistani e ferendone altri nove.
Allo scontro armato è seguito
quello verbale, con il ministro della Difesa pakistano, Khawaja Asif,
che ha ad esempio accusato l’India di agire in questo modo solo per dare
soddisfazione ai propri media e all’opinione pubblica interna. Se
tuttavia dovessero esserci nuove iniziative militari da parte di Delhi,
ha avvertito il ministro, il Pakistan risponderà “in maniera ferma”.
La
nuova impennata delle tensioni in Kashmir era iniziata nel mese di
luglio dopo l’uccisione da parte delle forze di sicurezza indiane del
giovane leader separatista Burhan Wani. Le proteste contro Delhi erano
state represse duramente e negli scontri sono da allora morte più di
novanta persone.
Il già ricordato attacco di Uri ha infine
aggravato ulteriormente la crisi in atto, caratterizzata da toni
particolarmente aggressivi da entrambe le parti. Solo poche ore prima
dell’attentato del 18 settembre, il ministro della Difesa pakistano
aveva ad esempio minacciato l’uso di armi nucleari contro l’India se “la
difesa e la sopravvivenza” del suo paese fossero state messe in
pericolo.
Soprattutto sul fronte indiano si era però registrato
un crescendo di minacce nei confronti del Pakistan, debitamente
alimentate dal partito di governo suprematista indù BJP (Bharatiya
Janata Party) del primo ministro, Narendra Modi. Membri dell’esecutivo e
del BJP, assieme a numerosi commentatori sui principali giornali hanno
fatto appello al fervore nazionalista della destra indiana,
raccomandando una punizione esemplare nei confronti del Pakistan.
La
reazione all’attacco in Kashmir ha raggiunto livelli da isteria in
India, dove in molti hanno invitato il governo ad abbandonare la
tradizionale politica della “moderazione strategica” nell’affrontare
minacce alla propria sicurezza.
Prima dell’incursione in
territorio pakistano annunciata giovedì, l’India aveva condotto anche
un’intensa campagna mediatica nel tentativo di isolare il Pakistan. Nel
suo intervento alla recente Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il
ministro per gli Affari Esteri, Sushma Swaraj, aveva denunciato la
complicità pakistana negli attacchi in Kashmir. Nell’affermare che lo
stato di Jammu e Kashmir è e sarà “per sempre parte integrante
dell’India”, la diplomatica aveva sollecitato l’adozione di misure
punitive contro il Pakistan.
Questa settimana, poi, il governo di
Delhi ha fatto sapere che non parteciperà al summit dell’Associazione
dell’Asia del Sud per la Cooperazione Regionale (SAARC), di cui l’India
fa parte e che è in programma nel mese di novembre a Islamabad. Al
boicottaggio dell’India sono seguiti quelli di Afghanistan, Bangladesh e
Bhutan, mentre lo Sri Lanka ha sostenuto che lo stesso appuntamento non
potrà avere luogo senza la partecipazione indiana.
La
crisi dei rapporti tra India e Pakistan rappresenta un motivo di seria
preoccupazione per gli Stati Uniti e la Cina, vale a dire le due potenze
con i maggiori interessi nella regione. Pechino ha assunto una
posizione estremamente cauta sulla vicenda, nonostante le crescenti
frizioni con Delhi e i rapporti tradizionalmente solidi con il Pakistan.
Gli
Stati Uniti hanno evitato di accusare in maniera esplicita Islamabad
per l’attentato di Uri, raccomandando parallelamente ai due governi di
risolvere la crisi attraverso il dialogo. Su alcuni media americani sono
apparsi tuttavia commenti nei quali si incita l’India a rispondere con
fermezza agli attacchi che vengono attribuiti a gruppi terroristi legati
al Pakistan.
Ciò riflette con ogni probabilità posizioni
contrastanti all’interno del governo e dell’apparato militare e
dell’intelligence degli Stati Uniti. A loro volta, le divisioni sono
dovute alla fluidità degli scenari strategici nel continente asiatico e
alla centralità della partnership con l’India che Washington sta
perseguendo da oltre un decennio.
Alle tradizionali ragioni del
conflitto nella regione contesa del Kashmir, per la quale India e
Pakistan hanno combattuto tre guerre a partire dall’indipendenza dalla
Gran Bretagna nel 1947, si incrociano così le manovre americane per fare
di Nuova Delhi uno dei cardini della strategia USA di contenimento
della Cina.
A partire almeno dall’amministrazione di George W.
Bush, gli Stati Uniti si sono adoperati per rafforzare i rapporti
bilaterali con l’India e per promuovere le ambizioni da potenza
regionale della classe dirigente di quest’ultimo paese. In questo quadro
vanno intesi ad esempio l’accordo sulla difesa del 2005, quello sul
nucleare civile del 2008 e quello, siglato ufficialmente solo poche
settimane fa, sulla “logistica” militare che, sia pure con varie
restrizioni, permetterà alle forze armate americane l’accesso temporaneo
alle basi militari indiane.
L’avvicinamento tra Washington e
Delhi ha evidentemente acuito le tensioni tra l’India e la Cina, nonché
tra l’India e il principale alleato di Pechino in Asia meridionale, cioè
il Pakistan. Islamabad, a sua volta, ha visto entrare in crisi il
rapporto con gli Stati Uniti, sia per la nuova attitudine filo-indiana
di questi ultimi sia per l’insistenza americana a fare di più per
contrastare i gruppi fondamentalisti che operano in Afghanistan e che
mantengono storicamente rapporti molto stretti con l’intelligence
pakistana.
Esposto a queste pressioni, il Pakistan ha iniziato un
processo di consolidamento dei rapporti con la Cina, la quale vede
l’alleato come un elemento cruciale per il proprio ambizioso progetto di
integrazione economica del continente euro-asiatico. A questo scopo,
Pechino e Islamabad hanno lanciato il cosiddetto Corridoio Economico tra
Cina e Pakistan (CPEC), ovvero un piano di infrastrutture che dovrebbe
collegare la città portuale di Gwadar, nel sud del Pakistan, alla
regione cinese dello Xinjiang.
Questo
progetto ha implicazioni strategiche importantissime per la Cina, dal
momento che permetterebbe ai propri traffici commerciali ed energetici
di bypassare le rotte marittime nell’Oceano Indiano e in Asia
sud-orientale, esposte a un possibile blocco da parte statunitense in
caso di crisi o di guerra.
Il CPEC è visto con apprensione
dall’India per varie ragioni. Innanzitutto la Cina avrebbe accesso al
porto di Gwadar, dove potrebbe teoricamente posizionare una propria base
navale. Inoltre, il progetto darebbe un impulso notevole all’economia
cronicamente in affanno del Pakistan e, oltretutto, le rotte stradali e
ferroviarie previste dovrebbero attraversare proprio i territori contesi
con Islamabad lungo le aree di confine.
Il già complicato
conflitto in Kashmir, in definitiva, rischia di avere risvolti ancora
più esplosivi a causa del rimescolamento degli equilibri strategici in
atto nel continente asiatico, prodotti dall’espansione dell’influenza
economica e politica della Cina e, ancor più, dalle manovre americane
per ostacolarne in tutti modi l’inevitabile ascesa.
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