Non tutti i presidenti del consiglio di
centrosinistra sono uguali: tra un premier di scuderia (Letta) e uno
acquisito (Monti) abbiamo avuto delle vere iniezioni di serietà. Sia
nelle forme della comunicazione, Letta parla un ottimo inglese che Renzi
si è messo in testa di imitare con l'effetto che sappiamo, che nelle
intenzioni. Peccato che le politiche fossero disastrose, tipiche di chi
vuol restare dentro un modello di sviluppo bollito perché, almeno con
quello, ha una rendita certa. Basti ricordare che, con Monti,
l'Italia ha finanziato il salvataggio dei crediti delle banche tedesche e
francesi, rimasti incagliati nelle banche greche e portoghesi, in
misura molto maggiore di quanto sia intervenuta sulla situazione
bancaria nazionale.
Matteo Renzi che, a parole, è arrivato a
palazzo Chigi per dare una spinta al paese, è altrettanto disastroso e,
in compenso, non è neanche serio. Oltretutto la riforma costituzionale, sulla quale si gioca la testa (politicamente parlando), non ha alcun peso economico.
E le eventuali oscillazioni di borsa, prima o dopo il referendum, nel
caso saranno collegate allo stato del settore bancario, scosso magari
anche dall'ennesima crisi di comando, piuttosto che alla Costituzione
magari non approvata. La riforma Renzi-Boschi della costituzione non
consente un risvolto neanche contabile: Cnel e province, che sarebbero
abolite con un "si" al referendum, sono enti svuotati da tempo senza
possibilità di rinascita. L'abolizione della riforma del titolo V della
Costituzione, promossa da Renzi, se non la faranno l'elettorato o il
parlamento ci penserà l'eventuale pressione dei mercati finanziari.
Insomma, Matteo Renzi si gioca tutto su una riforma non organica, non epocale. Probabilmente la
Costituzione riformata serviva più a una nuova grande coalizione
(quella morta dopo il Nazareno) che alle esigenze di una finanza che ha
già le mani libere. La vera riforma costituzionale l'ha fatta il centrosinistra di Bersani assieme a Monti: l'introduzione del pareggio di bilancio.
Un orrore economico-sociale che ha accompagnato il crollo degli
investimenti pubblici e privati nel paese. Nessuno che ci abbia fatto
caso, dove c'è l'obbligo del pareggio di bilancio il pubblico non può
investire e il privato non vuole (non si investe in un paese fermo), ma
in Italia quando ci si è riempiti la bocca col "rigore" ci si considerava
politicamente arrivati.
Il punto però è che Renzi questa
benedetta riforma, che contiene articoli che sono un inno al contenzioso
presso la Corte Costituzionale (il famigerato articolo 70 ad esempio),
deve farsela approvare. Per poi continuare a tirare politicamente a
campare quanto possibile. E allora vai, prima di tutto, con trasmissioni
a reti unificate: una muraglia crossmediale di dichiarazioni di Renzi e
dei suoi prossimi, tutte uguali e tutte accolte in modo acritico, che
tessono l'elogio della propria riforma. E poi vai con le
promesse: dai centomila posti di lavoro con il ponte sullo stretto, al
raddoppio della quattordicesima per le fasce di pensionati più
indigenti, al bonus di 5000 euro per trovare un nuovo lavoro. Un diluvio
di promesse di sconti, di vantaggi, di benefit come se si fosse appena
scaricato un volantino Unieuro piuttosto che un programma di palazzo
Chigi.
Certo, la dice lunga sulla concezione che il governo ha
della società italiana. Quale sia il rapporto tra la quattordicesima
"raddoppiata" ai pensionati e l'abolizione della riforma del titolo V
della costituzione è un mistero. Anzi, il rapporto viene, di fatto,
negato. Eppure, l'insistenza di Renzi, in termini di messaggio di
propaganda, serve proprio per rafforzare questo legame: se votate la
riforma il governo tiene allora arrivano le pensioni. E' uno dei
punti più bassi della storia della repubblica, pur in un paese rotto
ad ogni cialtroneria: un governo senza prospettiva economica, emarginato
in Europa (basta leggere lo scherno con il quale la stampa tedesca
tratta Renzi da sempre), senza consenso maggioritario cerca la strada
del consenso spicciolo. Quello strappato a suon di piccole
promesse, di bonus immaginari, di promesse improbabili (la mitica
riduzione delle tasse, tirata fuori in primavera poi lasciata cadere in
discrezione) nella speranza di rosicchiare qualche voto e rimanere così
in sella.
Il cantore della rottamazione, ottimo
per gonfiare il petto alle serate presso la platea amica della Leopolda,
prova così, di cazzata in cazzata, a sopravvivere come il presidente
del consiglio di un governicchio balneare dei tempi andati. Della boria e
della baldanza tipiche della partenza è rimasta, quella si, la
disinvoltura nello spararle sempre più grosse. Eppure Renzi era arrivato
anche a dire che l'Italia sarebbe cresciuta più della Germania. Il
successore, che si tratti di un proconsole di qualche fondo di
"assistenza" europea o di un sobrio interprete dello stile
littorio-liberista ministeriale, non sarà così vivace. Dopo il carnevale
renziano, con i suoi personaggi improbabili e chiassosi, la quaresima
sarà tra le più luttuose di sempre.
Redazione, 27 settembre 2016
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