Siete un premier in crisi, che vede la fine vicina, che ha finito le idee brillanti e si arrampica ormai sugli specchi nella speranza di ritrovare un briciolo di consenso elettorale a breve termine? Abbiamo il prodotto che fa per voi: un bel Ponte sullo Stretto di Messina…
Roba vecchia, direte voi. L'aveva promesso Berlusconi e guardate che fine ha fatto...
Beh, ora l'ha riscoperto anche Matteo Renzi, e quasi senza farsi scappare da ridere mentre lo diceva. Sarà perché parlava davanti a Pietro Salini, numero uno dei costruttori delle "grandi opere" (il gruppo Salini-Impregilo), in una celebrazione alla Triennale per il 110 anniversario della società. Sarà perché nella testa sua e di Padoan (e della Troika) non ci sono altre possibilità di intervento pubblico in economia... ma è rimasto quasi serio nel tirar fuori il pacco-regalo impolverato e consunto dal riciclo.
Il modo di condire un'idiozia del genere è uno solo, appunto sfruttato fino all'inverosimile dal suo lontano predecessore e maestro (venerabile magari non troppo, ma maestro certamente...): può creare «centomila posti di lavoro», va visto come una parte del completamento della “Napoli-Palermo”. «Se siete nella condizione di sbloccare le carte e di sistemare quello che è fermo da 10 anni, noi ci siamo».
Dieci anni fa Berlusconi non si era certo fermato per mancanza di volontà speculatrice, ma per una più prosaica mancanza di soldi. Gli imprenditori privati, in certe opere, non ci hanno mai messo una lira, se non dopo che lo Stato aveva completato il lavoro e avviate le trattative per la concessione. E lo stato, tutti quei soldi, semplicemente non li aveva.
Stiamo parlando di tempi in cui la crisi finanziaria non era ancora esplosa, non c'erano il Fiscal Compact e altri trattati europei che inchiodano la spesa degli Stati ai vincoli di Maastricht, non c'era l'obbligo al pareggio di bilancio inserito nella Costituzione. Insomma: se non si poteva fare allora (e non certo per l'inesistente forza degli ambientalisti che oggi, infatti, siedono sui banchi del governo), tanto meno si può fare in tempi di ristrettezze, dopo quasi dieci anni di crisi globale.
Sarà poi solo un caso, ma non ci sembra: questa mastodontica fesseria prende improvvisamente vita a pochi giorni dall'inabissamento dell'altro grande pacchetto di opere medie e piccole: le Olimpiadi a Roma.
Ma Renzi ha una sola cosa in testa: il 4 dicembre. Quel giorno, se il referendum dovesse andar male come oggi sembra, per lui sarebbe la fine. Potrebbe traccheggiare fino a dopo le feste (la "legge di stabilità" è da concludere entro il 31/12, ma in fondo ormai la scrivono a Bruxelles...), non molto oltre. E sa meglio di noi che dietro le quinte, ai piani alti del capitale multinazionale, stanno già sfogliando l'album dei possibili sostituti.
Quindi ogni promessa va bene, per quanto balzana, irrealizzabile o già troppo sfruttata possa essere. La conferma di questa lettura arriva dalla sortita di Pier Carlo Padoan, occhiuto ex capoeconomista dell'Ocse (ed ex esperto economico del Pci...), arrivato – per pura disperazione contabile – a indicare in una riunione dei ministri delle finanze del G7 da fare in maggio (un'altra era geologica, per questo esecutivo) una "grande possibilità". Letteralmente: «Dopo Sendai 2016, nel 2017 il G7 Finanze si terrà a Bari. Un'opportunità unica per discutere di crescita, occupazione e diseguaglianza».
Il Mezzogiorno – Bari per Padoan, Sicilia e Calabria per Renzi – diventa un campo in cui cercare i consensi che si sentono sfuggire altrove. E quindi le promesse da fare in quella direzione somigliano tantissimo a quelle del Berlusconi al tramonto.
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