Maan Bashur, intellettuale e politico arabo, è il fondatore del Forum Nazionale Arabo in Libano, della Federazione delle Leghe e dei Comitati Popolari e della Conferenza Nazionale Araba, e attualmente è il coordinatore di numerose campagne di sostegno al popolo palestinese. Dopo l’aggressione e l’invasione a guida statunitense dell'Iraq, il governo nord-americano lo ha inserito nella black list dei sostenitori della resistenza irachena.
Qual'è dal suo punto di vista la situazione attuale per il popolo palestinese?
Quello palestinese è un problema ormai storico, cominciato con il progetto che ha portato in Palestina ebrei da tutto il mondo per dare forma all'occupazione sionista: naturalmente non ho nulla contro gli ebrei, ma sono contro l'occupazione. La lotta del popolo palestinese è cominciata all'inizio del XX° secolo ed è tutt'ora molto forte: molti giovani palestinesi provano a resistere all'occupazione, specialmente a Gerusalemme e nella West Bank.
A Gaza la situazione è diversa: Gaza è stata liberata dalla resistenza, ma il milione e trecentomila palestinesi che vivono lì dopo essere stati messi alla prova da tre guerre continuano a dover fare i conti con l'assedio militare ed economico di Israele e di altri stati, anche arabi.
Sfortunatamente, molti dei governi del Medio Oriente anziché sostenere la resistenza palestinese sostengono il governo israeliano in varie forme: in special modo normalizzando le relazioni con questo, benché naturalmente le forze popolari del Medio Oriente vi si oppongano.
A suo avviso, quali sono in questa fase gli obiettivi di Israele?
Il progetto sionista deve fare i conti con non pochi problemi: ad esempio, quello del rifiuto della normalizzazione dei rapporti da parte di vari stati e quello delle continue difficoltà a cui è messo di fronte dalla resistenza. Al confine settentrionale dei Territori Occupati della Palestina c'è la resistenza libanese che ha inflitto gravi sconfitte al progetto sionista: un progetto che peraltro rivendicherebbe come propri tutti i territori compresi tra il Nilo e l'Eufrate. Le persone che abbandonano l'entità sionista sono più delle persone che vi si stabiliscono.
L'occupazione sionista sta facendo i conti con un empasse strategico, andando a perdere progressivamente i propri elementi di forza: il trascinarsi del conflitto, seppur a bassa intensità, segna la sconfitta dell'ideologia sionista.
Shimon Peres, ad esempio, parlava di un “mercato aperto” tra Israele e gli arabi e contemporaneamente diceva di voler fare di Israele un fortino inespugnabile. E' evidente come i due scenari siano incompatibili tra loro. Per tutte queste ragioni il futuro dell'entità sionista è assolutamente dubbio. L'opinione pubblica internazionale in passato ha dato sostegno al progetto di Israele, sia sul piano finanziario che ideologico e militare. Ma questo supporto è diminuito e va assottigliandosi sempre di più giorno dopo giorno. Israele teme per il proprio futuro.
Esiste a suo avviso un nesso tra questo e la guerra siriana?
Quello che sta succedendo in Siria è strettamente collegato alla strategia sionista: una strategia che si sviluppa attraverso la destabilizzazione dell’intero Medio Oriente, e sopratutto della Siria, che è sempre stata un bastione della resistenza contro il progetto sionista. Per questo Israele vuole distruggerla. Il piano israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti, da alcuni stati europei, ed anche alcuni leader arabi, è quello di distruggere i campi palestinesi intorno all'entità sionista provocando un'ennesima diaspora che allontani ulteriormente i palestinesi dai territori occupati. All'inizio della guerra le forze che hanno cercato di destabilizzare la Siria hanno utilizzato i campi palestinesi in Siria, dopo averli infiltrati, per isolare il governo siriano – con l'accusa di uccidere i palestinesi – soprattutto nel caso del campo di Yarmouk. Quello che è successo in Libano nel 2007 a Nar El-Bared, quello che è successo in Siria, e quello che si vorrebbe far succedere in altri campi in Libano, è assolutamente indicativo della volontà di distruggere i campi per rendere in questo modo meno vulnerabile l'occupazione sionista. Non è certo un caso che ai palestinesi che vivono – o vivevano – in Siria sia accaduto quello che è accaduto negli anni ai palestinesi che vivevano in Libano – come a Sabra e Shatila – o nelle altre zone oltre i confini della Palestina occupata.
Nel 1972 durante la guerra civile mi trovavo nel campo di Nabatieh con Yasser Arafat: arrivarono alcuni aerei israeliani e bombardarono il campo. Arafat mi disse: “La guerra per la distruzione dei campi è cominciata”.
Quali effetti ha prodotto la guerra in Siria nei confronti dei palestinesi?
Nei campi palestinesi prima dell'inizio della crisi siriana la situazione era già critica, e come si può intuire, l'afflusso di migliaia di palestinesi provenienti dalla Siria l'ha peggiorata notevolmente rendendola drammatica. Ma il problema non riguarda solo i palestinesi, ma anche le migliaia di siriani che hanno lasciato la propria terra a causa della guerra scatenata contro la Siria e che si sono rifugiati in Libano e in altri paesi. E' una catastrofe da ogni punto di vista, ed è una responsabilità internazionale quella di farvi fronte. Naturalmente la soluzione è quella di ristabilire la pace in Siria per permettere loro il ritorno alla propria terra, ma fino a quel momento queste persone devono essere aiutate.
Nel 2011 si è voluto scatenare la guerra in Siria intendendo punire il popolo siriano per aver sempre dato il proprio sostegno alla resistenza palestinese e per aver sostenuto quella irachena durante l'occupazione americana del 2003. All'inizio della guerra civile la retorica di molti politici occidentali era quella del supporto ai siriani “oppressi” dal “regime”: una retorica presto smentita dalla mancanza totale di ogni sostegno reale nei loro confronti. “Andate a combattere, siamo con voi, ma se dovete lasciare il paese non venite a cercarci” Alcuni stati arabi coinvolti in questa crisi non hanno concesso il visto nemmeno ad una famiglia siriana. Questo rivela il vero obiettivo, il vero scopo di questa guerra: non solo la sconfitta del governo siriano, ma la dissoluzione della Siria e del suo popolo, da sempre un bastione ed un baluardo del nazionalismo arabo.
La radicalizzazione dell'Islam che si sta sviluppando da alcuni anni nella società araba non sembra prospettare degli scenari auspicabili né per il Medio Oriente né per il resto del mondo, non crede?
Credo che a poco a poco gli arabi stiano comprendendo di nuovo che quella del nazionalismo arabo è l'unica strada che può preservare la sicurezza e lo sviluppo economico del “Medio Oriente”. Certamente, alcuni esperimenti che andavano in questa direzione non hanno funzionato nel passato, soprattutto per non aver saputo soddisfare le aspettative delle persone che li avevano sostenuti: questo è il motivo per cui altre ideologie hanno trovato terreno fertile in Medio Oriente. Fortunatamente, però, ci sono molti giovani che stanno riscoprendo il significato del nazionalismo arabo.
Traduzione dall'inglese a cura degli autori
di Maurizio Vezzosi e Giacomo Marchetti
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