Chi pensava che la scuola fosse un posto sicuro e relativamente al riparo dalle controriforme che in questi anni si sono abbattute sul mondo del lavoro, è stato costretto a ricredersi. La legge 107 ha cominciato, in pochi mesi, a dispiegare i suoi nefasti effetti sul reclutamento e sui rapporti di lavoro all’interno degli istituti di ogni ordine e grado.
Il mondo della scuola è stato trasformato velocemente in una sorta di piramide feudale, nella quale i lavoratori sono disposti in ordine gerarchico, sottoposti in toto al dirigente scolastico e alla sua idea di istruzione/educazione (PTOF). L’ultimo gradino di questa piramide è stato occupato dai cosiddetti insegnanti di “potenziamento”, reclutati tramite la famigerata fase C, stabilita dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea che, nell’ottobre 2014, ha dichiarato illegittimo il continuo ricorso da parte dello Stato italiano a reiterati contratti a termine.
Anche in questo caso, i sindacati confederali sono riusciti a trasformare una vittoria dei lavoratori in una sconfitta, non opponendosi radicalmente ai progetti di “riforma” del governo e avallando, di fatto, uno scambio: l’immissione in ruolo dei precari contro l’introduzione della cosiddetta “Buona scuola” di Renzi, con tutto il suo carico autoritario – padronale e la sua matrice aziendalistico – meritocratica.
La scure della “Buona scuola” si è così abbattuta immediatamente sui docenti neo – assunti, introducendo la mobilità coatta, la flessibilità d’impiego e il demansionamento. Tutti i docenti assunti in fase C sono stati costretti a produrre una domanda di assegnazione su tutto il territorio nazionale, mettendo in ordine le centinaia di ambiti territoriali nei quali esso è stato suddiviso. In seguito, un fantomatico algoritmo del quale, nonostante varie interrogazioni parlamentari, non è dato sapere il reale funzionamento, ha assegnato d’ufficio ogni docente a un ambito.
Abbiamo assistito a vicende assurde e, talvolta, aberranti: insegnanti mandati a centinaia di chilometri di distanza, mariti e mogli spediti ai due capi opposti della penisola, docenti costretti a licenziarsi dopo molti anni di precariato per ragioni economiche o familiari dovute al trasferimento (doppie case da affittare, doppie bollette, figli che non si riescono ad affidare).
Ma l’aspetto più umiliante del nuovo processo di selezione del personale è certamente quello della cosiddetta chiamata diretta, in base alla quale, in palese contrasto con l’articolo 97 della nostra Costituzione, il dirigente scolastico può scegliere dall’ambito di appartenenza (chi scrive ha sentito un dirigente definirlo “recinto”) i docenti che ritiene più adatti alla sua idea di scuola. In questa occasione, i nuovi “manager” della “Buona scuola” hanno dato il peggio di sé. Li abbiamo visti esigere video a figura intera delle/dei candidate/i, chiedere se le docenti aspiranti all’assunzione avessero intenzione di avere figli, sollecitare opinioni politiche circa le proteste in atto contro la legge 107.
Superate le forche caudine della chiamata diretta, i nuovi insegnanti del cosiddetto organico potenziato si sono trovati a fare i conti con la realtà del demansionamento e dell’assoluta flessibilità: da supplenti tuttofare senza orario, a tappabuchi per le più svariate attività, a fotocopiatori, fino alla sostituzione dei bidelli.
Da questi pochi esempi si può comprendere come il grado di arbitrio del preside – sceriffo, tanto voluto dalla “Buona scuola”, stia superando anche le più fosche previsioni della vigilia: autoritarismo, discriminazione e umiliazione professionale sono tutti ingredienti basilari della controriforma renziana.
Ora quel che serve è uno scatto di rabbia e di orgoglio della categoria, da tramutare in una serie di vertenze per demansionamento e in un impegno costante per la riconquista della dignità lavorativa e professionale, a partire dal rinnovo del contratto. È più che mai necessario coinvolgere tutti i docenti e far comprendere a tutti i lavoratori della conoscenza che, dopo l’approvazione della 107, non esistono più zone franche e nessuno può più sentirsi garantito. Gli insegnanti devono smetterla di percepirsi come categoria a se stante e partecipare alle lotte degli altri lavoratori della pubblica amministrazione e del settore privato.
Se vogliamo che le nostre rivendicazioni abbiano un peso significativo, aderiamo alle lotte del sindacato conflittuale, allo sciopero generale del 21/22 ottobre e votiamo NO al referendum costituzionale, per punire chi vuole distruggere la scuola pubblica e i diritti dei lavoratori.
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