Ieri è uscita contemporaneamente su Repubblica e Corriere un’intervista
(forse un estratto di una conferenza stampa improvvisata) di Roberta
Lombardi sull’attuale situazione del Movimento grillino (intervista subito smentita,
ovviamente). L’intervista esce in una fase calda e criptica del
Movimento, segnato dalle difficoltà della giunta romana, dal ritorno di
Grillo a “capo politico” del Movimento, alla ridefinizione del ruolo del
cosiddetto “direttorio”. Una fase contraddittoria segnata però
dall’oscurità in cui viene avvolta qualsiasi dialettica interna: capire
cosa succede davvero dentro il M5S è affare estremamente complicato.
Tutti i vari commentatori, giornalisti e opinionisti scontano questa
difficoltà nell’interpretare la vita interna al M5S, contribuendo alla
confusione generale su quello che però è, ad oggi, il secondo partito
italiano nei sondaggi e che esprime i sindaci di due delle tre città più
importanti del paese. L’impossibile
decifrazione della vita politica del Movimento è però già di per sé un
segnale inquietante: la forza pentastellata è sempre stata quella di
rappresentarsi in antitesi alla “forma partito” – qualsiasi essa fosse –
sottintendendo con ciò la natura maggiormente democratica del processo
politico avviato. Ci ritroviamo però oggi ad interpretare un rebus, in
cui ogni passaggio dialettico avviene secondo forme, metodi e riti per
nulla chiari, tutto giocato sull’informalità dei processi che genera
leadership equivoche e poco partecipate dalla base. Leggiamo però
l’intervista, anche in questo senso indicativa di uno scontro interno
inevitabile una volta passati da forza di opposizione a forza di governo
(quantomeno cittadino, come oggi).
Roberta Lombardi rappresenta la “parte sinistra” del Movimento,
quella più legata alle periferie romane, ai suoi movimenti sociali, alle
istanze popolari e radicali della base. E’ un dato di fatto, e da un
po’ di tempo ci tiene personalmente a sottolinearlo: “A Roma c’è il
Movimento 5 Stelle e c’è il sindaco di Roma, sono su due strade
diverse[…]Diciamo che c’è un prima e un dopo. Ci sono quelli che sono
arrivati prima del 2012, cioè la vittoria di Parma: io, Carla Ruocco,
Paola Taverna e Roberto Fico. E ci sono quelli arrivati dopo”. Lombardi traccia uno spartiacque, che non sembra tanto generazionale ma politico: c’è
un gruppo politico collettivo e originario, fondato sulle istanze
democratiche del “primo” M5S, e c’è un ceto politico successivo,
aggregatosi sull’ondata dei successi politici e mediatici, che però ha
macchiato l’originaria purezza: “Quell’anno è stato un po’ uno
spartiacque. Noi badavamo soprattutto alla sostanza, al lavoro di
squadra. Chi è arrivato dopo spesso ha fatto prevalere la comunicazione
alla sostanza[…]Tra di noi deve valere il lavoro collettivo. Per essere
leader occorre autorevolezza. E per ora quella ce l’ha solo Beppe[…]Di
Maio e Di Battista sono bravi a comunicare ed è giusto che vadano in tv.
Ma non hanno un ruolo politico”.
E’ uno strano parallelo quello tracciato dalla Lombardi. Fino al 2012
il M5S era una creatura plasmata e modellata unicamente dal duo
Grillo&Casaleggio. Eppure la Lombardi lo ricorda come il periodo più
“democratico” e conseguente col programma radicale che ne ha
determinato il successo. Dopo il 2012 il M5S gradualmente allenta i
legami coi due fondatori, la macchina organizzativa viene sempre più
guidata da un ceto politico dirigente in formazione, che però, nelle
parole della Lombardi, invece di democratizzare ulteriormente il
Movimento ne mina alla base i suoi caratteri originali e popolari. La
realtà di questi anni e le ultime contorsioni grilline sembrano favorire
una spiegazione, non esaustiva ma forse più vicina alla realtà, del
racconto interessato e reazionario dei media mainstream, che in
questi mesi stanno narrando le difficoltà grilline da un punto di
vista di destra e non di classe (anche nei giornali “di sinistra”).
In
realtà l’esperienza sta dimostrando come il ceto politico del M5S, se
lasciato solo da Grillo, tende inequivocabilmente “verso destra”, verso
cioè l’istituzionalizzazione del Movimento, il raffreddamento delle sue
pulsioni democraticiste, l’ibernazione di ogni ipotesi di rottura
anti-sistema.
Illuminante in questo senso la tendenza delle varie decine
di fuoriusciti dal M5S: lasciato il Movimento, nessuno di questi ha
abbracciato progetti politici di “sinistra radicale”, ma si sono tutti
riposizionati nei partiti tradizionali a destra del M5S (Forza Italia,
Lega Nord, Pd, Scelta Civica). Al più, sono confluiti in Sel, cioè in
una “sinistra” del Pd che ha come ruolo quello di cementare,
legittimandole “a sinistra”, le scelte politiche di quest’ultimo.
Fuori
dal guinzaglio grillino non c’è la liberazione di spinte popolari tenute
a freno dalla Casaleggio Associati, c’è al contrario la pacificazione
del Movimento. Paradossalmente, e questo dovrebbe far riflettere molti, è
lo stesso Grillo a tenere in vita artificialmente le istanze politiche
“di sinistra” (o comunque più popolari) presenti dentro il Movimento. La
Lombardi si accorge di questo, ma si accorge soprattutto di un’altra
cosa: senza la sovraesposizione mediatica di Grillo quelle istanze
popolari presenti dentro il M5S verrebbero immediatamente fagocitate e
normalizzate dal corpo del Movimento.
Alla sinistra del M5S, che pure
esiste soprattutto nelle sue istanze di base, serve la leadership forte
di Grillo, e non a caso questa viene usata contro il ceto dirigente grillino, verso il quale la Lombardi si scaglia con inusitata violenza: “Il
Direttorio ha avuto soprattutto un ruolo di comunicazione. Poi è vero
che con il tempo si è creato un po’ un equivoco e certe uscite
comunicative sono diventate politiche. E dunque sbagliate[…]Noto che a
volte c’è più spinta a livello comunicativo e meno attenzione alla
sostanza. Il problema è quando tu cerchi di inseguire Matteo Renzi sul
suo stesso terreno”.
Non si può certo affermare che le manda a
dire. Il problema di Grillo e del M5S è però più complesso di così.
Grillo non è “di sinistra”, e se si fa garante delle istanze popolari
non è per interesse personale ma per calcolo politico. Il M5S, nella sua
ottica, deve rimanere al centro e fuori la distinzione destra-sinistra.
Quando questo vira eccessivamente a destra, si preoccupa di limitare le
tendenze istituzionalizzanti del duo Di Maio-Di Battista, come accaduto
anche per Pizzarotti. Ma quando c’è il rischio che questo prenda una
strada troppo “di sinistra”, come poteva essere ipotizzato a Roma (con
un assessore forte come Berdini e un sindaco ombra legato ai movimenti
come la Lombardi), ecco che fa fuori la Lombardi mandandola in Sicilia e
copre politicamente le scelte di Virginia Raggi nonostante queste
vadano contro gli stessi interessi della base del M5S.
Più che destra e sinistra, la vita interna del M5S sembrerebbe essere
divisa tra una sorta di “peronismo”, personificato dalla Lombardi, che
si accorge della necessità del leader forte attraverso cui portare
avanti la “parte sinistra” del programma ideale grillino, e un’ideologia
tecnicista anti-politica (in realtà intimamente liberista),
simboleggiata in questo caso da Di Maio, che vorrebbe rompere con
qualsiasi tentazione anti-sistema. Questo per quanto riguarda la natura
soggettiva dello scontro in corso dentro il Movimento. Ma oggettivamente
il M5S sembrerebbe sempre più ritagliarsi la funzione di “pope Gapon”
collettivo: un movimento populista ambiguo, trasversale e con venature
reazionarie, che però contiene, e in un certo senso favorisce e
addirittura organizza, quelle istanze popolari e di classe lasciate
senza rappresentanza dalla morte della sinistra politica nel paese.
Il
pope Gapon fu al tempo stesso strumento della polizia zarista ed
elemento decisivo dell’organizzazione operaia che portò alla Rivoluzione
del 1905. A differenza della situazione russa del primo Novecento,
però, manca oggi quel soggetto sociale di massa e organizzato capace di
raccogliere la sfida una volta smascherata la natura utile ma corrotta
del M5S. In assenza di questo, qualsiasi tentativo di “cavalcare” il M5S
o, peggio ancora, qualche sua presunta “corrente interna”, si risolve
in lobbismo spicciolo incapace di produrre risultati concreti. Ma anche
l’atteggiamento opposto, quello cioè di bollare tutto ciò che il M5S
rappresenta accomunandolo in senso regressivo al resto del quadro
politico, inibisce in partenza qualsiasi dialogo proficuo con quel pezzo
enorme di classe operaia e di proletariato metropolitano oggi
rappresentato dal M5S. Il Movimento grillino è un movimento anti-sistema
a rischio costante di normalizzazione. Lavorare per raccogliere la
sfida anti-sistema che viene dalla sua base dovrebbe essere uno dei
compiti della sinistra di classe, soprattutto a Roma dove queste
contraddizioni stanno raggiungendo rapidamente il punto di saturazione.
Nessun commento:
Posta un commento