Alla fine, con calma, anche l'Inps rende noto che il “boom” dell'occupazione “stabile a tempo indeterminato”, registrato nel 2015, era effetto di una droga momentanea e della distruzione di un diritto dei lavoratori, quello di non poter essere licenziati senza una “giusta causa”.
L'Inps, in effetti, nel rapporto del suo Osservatorio sul precariato, si limita a evidenziare la prima osservazione, in modo però estremamente netto: “Il rallentamento delle assunzioni ha coinvolto principalmente i contratti a tempo indeterminato (– 379.000, pari a – 33,7% rispetto ai primi sette mesi del 2015) e va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni a tempo indeterminato (- 36,2%)”.
Stesso discorso, nei primi sette mesi del 2016, per il saldo tra nuove assunzioni e cessazioni (licenziamenti e pensionamenti), che resta attivo ma con un calo dell'83,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Dato notevole anche perché comprensivo sia dei contratti a termine che del lavoro stagionale, e persino dei contratti di apprendistato (in calo del 21,9%).
Dove è finita l'occupazione non più stabile né temporanea? Tutta in voucher, quell'infame sistema per cui una impresa o un piccolo “datore di lavoro” ti può pagare a ore, senza assumerti mai, senza limiti di monte ore né di durata. Qui, in effetti, c'è stata “crescita dell'occupazione”, se così vogliamo chiamare la saltuarietà programmatica: la vendita di voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, sono stati 84,3 milioni, con un incremento, rispetto al 2015, del 36,2%.
Persino i media più filogovernativi sono dunque costretti ad ammettere che “più del Jobs Act, che garantisce maggior flessibilità in uscita (modo eufemistico di chiamare i licenziamenti, ndr), erano proprio gli incentivi fiscali a sostenere la ripresa del mercato del lavoro”.
Un bluff in piena regola, insomma, che ha regalato alle imprese miliardi in decontribuzione previdenziale e più la libertà di licenziare. L'impatto sull'economia è stato dello zero virgola, quello sui salari è stato invece devastante. L'occupazione “creata” nel 2015 è stata nel complesso fasulla (con 3 anni di contributi pagati dallo Stato, fino al limite di 8.000 euro l'anno per ogni “neoassunto”, si è semplicemente permessa la trasformazione dei contratti esistenti nella nuova formula “incentivata”), un mero trucco statistico.
Tant'è vero che nel 2016 esplode il fenomeno dei voucher, sicuramente più convenienti per le aziende. Ma che tipo di occupazione può essere quella pagata ad ora con un fogliettino? Occupazioni di bassa qualità e competenze (anche quando riguarda mansioni tecnologicamente nuove), volatile e senza futuro. Quindi di bassissimo impatto sulla produzione di ricchezza e per nulla influente sul futuro del paese.
Un vero capolavoro di politica economica, dai costi altissimi – per il bilancio pubblico – e dagli effetti nulli.
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