Incubo e morte - Come in un racconto di Edgar Allan Poe, il titolo dice quasi tutto: “Siamo nelle tombe”. Ma non ci troviamo davanti a un trattato d’archeologia su Piramidi e faraoni. Le tombe in questione sono le celle di una delle peggiori prigioni d’Egitto, il cosiddetto Scorpione all’interno della struttura penitenziaria di Tora, a sud della capitale. Lì i famigerati mukhabarat della Qata` al-Amn al-Watani che rispondono al ministro dell’Interno Abdel Ghaffar (una delle eminenze grigie dell’omicidio Regeni) e i Servizi di sicurezza militari seppelliscono attivisti, giornalisti, intellettuali, oppositori del regime. E pure concittadini e stranieri sgraditi. “E’ rivolta ai prigionieri politici. E’ stata progettata in modo che chi vi entra non possa che uscirne morto” precisava Ghaffar in persona in un’intervista televisiva del 2012, quando la nazione era in mano al Consiglio Supremo delle Forze Armate, di cui lui è un esponente di rango. Tutto è inserito in un dossier di ottanta pagine redatto da Human Rights Watch. Racconta i trattamenti inumani in spazi angusti senza letto né materasso, con privazioni di cibo e medicine, vari tipi di tortura e maltrattamenti basati su pestaggi e abusi anche sessuali, senza che alcun legale o familiare possa incontrare i sepolti vivi.
”Corpi da gettare e dimenticare” - Seppelliti e abbandonati, appunto. Presentando il rapporto Joe Stork, direttore dell’Ong per il Medioriente e il Nordafrica, ha affermato: “La prigione Scorpion si colloca al termine del percorso repressivo di Stato, che lascia gli avversari politici senza voce né speranza. Il suo scopo sembra esser quello d’un luogo dove gettare chi critica il governo e dimenticarlo”. Gli operatori di HRW hanno raccolto le dichiarazioni dei familiari di venti detenuti, di due loro legali, di un ex prigioniero e visionato referti medici e foto di soggetti malati e deceduti. Quanti sono i reclusi in Egitto? Non ci sono dati certi. Alcune statistiche hanno contato 41.000 arresti dal golpe bianco contro Morsi all’elezione presidenziale di Sisi, nel maggio 2014. Altri 26.000 sono gli arresti effettuati dall’inizio del 2015. La storia dello Scorpione è legata al progetto repressivo attuato da Mubarak dopo l’assassinio di Sadat per stroncare l’azione antigovernativa del gruppo islamista al-Gama`a al-Islamiyya. Il settore speciale, già attivo nel 1973, venne ampliato. Oggi conta 320 celle e un migliaio di detenuti, fra cui il Gotha della Fratellanza Musulmana. Altri leader, fra cui Morsi, sono rinchiusi al Borg al-Arab vicino Alessandria.
Prossimi cadaveri - Dopo un graduale allentamento repressivo all’inizio del 2000, quando il raìs firmò anche il rilascio di alcuni prigionieri, c’è stato un ritorno in auge del supercarcere con le operazioni di extraordinary renditions. Una riguardò anche il nostro Paese: il sequestro dell’imam Abu Omar, effettuato a Milano nel 2003 da un manipolo di agenti della Cia, col supporto logistico fornito dal Sismi del generale Pollari. Un rilancio della struttura coincise con la stretta sulle crescenti agitazioni sociali avvenute fra il 2004 e 2008. Dal momento dell’incarico conferito da Sisi a Ghaffar quale ministro dell’Interno, la situazione nel già terribile carcere per oppositori è peggiorata. Il divieto alle visite dei familiari vuole celare le tragiche condizioni generali dei detenuti che di fronte a cibo scarso o immangiabile deperiscono, s’ammalano, muoiono. Decessi per queste cause si sono registrati in più occasioni. Mentre accadevano il ministero dell’Interno continuava a proibire l’ingresso ai parenti che avrebbero potuto introdurre cibo e medicine, fino a ordinarne il sequestro nelle rarissime revoche del divieto. Anche nelle circostanze in cui qualche giudice ha consentito ai familiari d’introdurre farmaci per i malati più gravi si sono verificate requisizioni preventive.
Vittime illustri e sconosciute – Per la mancanza di un’infermeria nella prigione i detenuti affetti da malattie croniche (diabete, epilessia, epatite C, insufficienza cardiaca) non sono assistiti e rischiano la vita. Casi conosciuti hanno coinvolto soggetti pubblici, com’era Essam Derbala, esponente d’un gruppo islamico affetto da diabete e deceduto mesi fa per l’impossibilità di cure, sebbene un procuratore nell’agosto 2015 gli avesse accordato la possibilità di assumere farmaci. Il fratello ha testimoniato che quest’ultimi venivano forzatamente trattenuti dalle guardie. Medesima situazione vissuta da un deputato del Partito della Giustizia, Farid Ismail, deceduto nel maggio 2015 per mancata assistenza sanitaria. Uno dei leader della Fratellanza, il noto al-Shater detenuto anch’egli nel braccio H dello Scorpione, ha raccontato l’episodio alla sorella che l’ha riferito a HRW. Si tratta di nomi noti che fanno notizia, quel che accade a semplici attivisti e cittadini comuni non giunge neppure a HRW. Nel febbraio scorso un gruppo di 57 detenuti ha lanciato un simbolico sciopero della fame per sensibilizzare le strutture mondiali dei diritti. Il governo tramite il responsabile per la detenzione, il generale Hassan al-Sohagi, ha dissuaso i già deboli protestatari a bastonate.
Richieste ad Al Sisi - Un altro detenuto noto, il giornalista di Al Jazeera al-Shamy passato anch’egli per quella prigione, aveva raccontato che durante il suo sciopero della fame veniva forzatamente sedato e indotto a ricevere nutrimento. Mentre varie umiliazioni con denudamenti forzati, calpestìo dei corpi distesi sul pavimento da parte dei soldati sono stati narrati sempre da Al-Shater. Col dossier Human Rights Watch lancia alle autorità egiziane un monito per mutare atteggiamento di fronte a simili crudeli condizioni. Lo rivolge al ministero dell’Interno affinché la stessa persecuzione politica non si trasformi in una condanna a morte per via dei trattamenti descritti. Si chiede al presidente Al Sisi di: abolire aggressioni e punizioni contro i reclusi, permettere l’assistenza sanitaria e familiare, invitare la Commissione africana dei diritti dell’uomo per visite e controlli periodici in quei luoghi. E ai magistrati locali si chiede di indagare su abusi e piani illegali di violenza rivolta ai carcerati, politici e non. Proprio come per Giulio Regeni.
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