Il feticismo ribellistico ha prevalso sin da subito sull’interpretazione realistica degli eventi, come se *qualsiasi* mobilitazione popolare avesse incorporati geneticamente i caratteri della progressività e della democraticità (secoli di vandee, fascismi e “rivoluzioni colorate” non hanno ancora insegnato che il “popolo”, entità mitica della sinistra utopistica, non ha alcunché di geneticamente “progressivo”; e che “popolo” è definizione truffaldina se non si indaga *quale* parte del “popolo” si mobilita, e contro quale altra).
Stamane sul Corriere Paolo Mieli, esponente di primo piano di quell’universo mediatico che ha costruito la rappresentazione tossica di una Siria divisa in “buoni” e “cattivi”, fa il punto della situazione siriana:
“Alla base della tregua tra russi e americani c’è un chiarimento. Chiarimento che riguarda il ruolo di Al Nusra, la formazione nata nel 2012 da una costola di Al Qaeda che ha fin qui combattuto gomito a gomito con l’Esercito libero siriano finanziato e armato in funzione anti Assad dagli Stati Uniti. Negli ultimi tempi il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov aveva avuto buon gioco a far osservare al collega americano John Kerry la singolarità di questa alleanza – sia pure indiretta – tra gli Stati Uniti e una formazione jihadista composta, per così dire, da eredi degli attentatori delle Torri gemelle. La reazione un po’ ipocrita era stata quella di indurre i qaedisti siriani a cambiar nome[…]Ma le loro finalità sono identiche a quelle del califfato. E i militanti delle diverse formazioni jihadiste, pur divise da rivalità talvolta anche accese, sono interscambiabili."E così, come se niente fosse successo dal 2012 a oggi, sul principale quotidiano della borghesia nazionale i buoni si trasformano negli “eredi degli attentatori delle Torri gemelle”, ruoli e militanti delle varie formazioni jihadiste divengono “intercambiabili”, e soprattutto l’esperienza della ribellione siriana ricondotta a più modeste verità: quella di un’operazione targata Usa, con buona pace di chi ancora gioca al ruolo di pifferaio magico delle rivolte esotiche.
Cosa sta succedendo allora? Come è possibile che pezzi di verità emergano così schiettamente e persino violentemente sulle testate nazionali? Il problema forse risiede nel cambiamento di strategia degli Stati Uniti, che hanno messo da parte il proprio interesse principale (rovesciare Assad), per risolvere la questione Isis che nel frattempo è divenuta ingestibile. Una contraddizione di cui fanno parte anche il golpe turco e il riavvicinamento momentaneo tra Turchia e Russia. Non sappiamo se sia sicuramente così, ma più indizi favoriscono la lettura di questo scontro interno, uno scontro che vede la nostra borghesia nazionale sempre fedele alla linea Usa.
Vista la capacità che hanno i media generalisti di far presa su di un’opinione pubblica completamente destrutturata, non dubitiamo che, se dovesse andare avanti questo scontro, tra qualche settimana Assad tornerà ad essere un “bravo governante” (come lo era, per i media, fino al 2012) e l’Isis la minaccia finale dell’umanità. Senza capire che né l’una né l’altra cosa sono in realtà vere a prescindere, ma solo in base agli interessi momentanei e strategici delle potenze imperialiste in campo. L’importante, come sempre, sarebbe riuscire ad articolare una posizione autonoma e di classe di fronte a eventi e letture di questo tipo, che riesca ad emanciparsi dall’opinionismo mediatico imposto, che egemonizza di fatto la visione del mondo anche a sinistra. Liberandoci una volta per tutte del moralismo umanitario, veicolato dall’alto per giunta, che contraddistingue le posizioni politiche a favore o contro gli Stati della periferia globale.
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