Medio Oriente è una definizione inventata dal colonialismo
anglosassone agli inizi del ‘900, precisamente nel 1902 (sebbene la
locuzione sia stata coniata da un analista statunitense per una rivista
londinese). Prima di questa data, la parola stessa non aveva alcun
significato né per gli europei né, tantomeno, per le popolazioni
asiatiche che lì vivevano effettivamente. Una definizione che voleva
circoscrivere quell’insieme di territori, dalle caratteristiche
geografiche, culturali, linguistiche, etniche, sociali, economiche e
politiche affatto differenti, che si situavano tra l’Egitto e l’India,
cioè tra i due principali possedimenti britannici d’inizio Novecento.
Uno sterminato territorio che costituiva però l’anello debole del
sistema coloniale inglese, perché al centro dei progetti espansionistici
di Germania e Russia. Un territorio per
gran parte amministrato dal decrepito Impero Ottomano, uno Stato
multinazionale a guida turca, di fatto fallito da decenni ma tenuto in
piedi dagli interessi contrapposti di Inghilterra e Germania, ambedue
preoccupate del possibile espansionismo reciproco, ed entrambe
preoccupatissime dell’influenza russa nella regione. Questo uno dei
passaggi chiave del testo di Fabio Amodeo e Mario José Cereghino, due
autori al di sopra di ogni sospetta simpatia antimperialista (non va più
di moda oggi), e che però ha il notevole pregio di rimettere i fatti
nel loro ordine, senza aggiustamenti ideologici, ma senza neanche celare
una verità storica che in questi anni sta facendo sentire tutto il suo
peso negli eventi globali. La bomba sociale esplosa nel 2003 a seguito
dell’invasione statunitense in Iraq covava un risentimento storico
datato almeno un secolo prima. E’ la Prima guerra mondiale il detonatore
che avvia la catena di tragici eventi.
La Grande guerra è stata sempre storicamente studiata e valutata dal
punto di vista franco-tedesco. Il “fronte occidentale” è sempre stato al
centro degli interessi storici, tutto il resto a fare da contorno. Più
che marginale fu l’attenzione data alla Rivolta araba e alla
disgregazione dell’Impero Ottomano. Un secolo dopo, possiamo affermare
al contrario che le vicende arabe occuparono un posto decisivo, e la
gestione di quelle vicende un problema colossale che si riverbera ancora
oggi. In questi ultimi anni anche i meno attenti hanno dovuto
rapidamente ripassare la storia di quegli eventi. Il libro in questione
ripercorre la storia di T.H. Lawrence, con l’obiettivo di smontare molta
della mitologia suscitata dal suo libro e, soprattutto, dal celeberrimo
film di David Lean, Lawrence d’Arabia. Lawrence, come assodato
da tempo, non era lo sprovveduto e romantico paladino della causa araba
che emerge dall’agiografia cinematografica, quanto un eminente,
ancorché onesto ed emotivamente coinvolto, dirigente colonialista che da
tempo andava effettuando lavori di spionaggio nelle terre arabe per
conto del Colonial Office britannico. Il sostegno inglese alla
Rivolta araba fu l’ultimo e faticoso passaggio nel tentativo britannico
di smembrare l’Impero Ottomano senza farlo cadere in mani russe (che
ambiva al controllo degli stretti tra il Mediterraneo e il mar Nero) ma,
al contempo, senza neanche regalarlo alle popolazioni arabe
nel frattempo fomentate nella rivolta nazionalista e poco disposte a
farsi da parte una volta terminato il lavoro sporco per conto terzi. Un
gioco pericoloso ma necessario perché, nonostante il “fronte
occidentale” fagocitò le energie degli Stati in guerra, era nei
territori mediorientali che si giocava la partita economica decisiva per
il futuro. Nelle terre arabe erano presenti infatti i due principali
asset che avrebbero determinato l’egemonia imperialista dall’immediato
dopoguerra: il Canale di Suez, attraverso cui veniva esercitato il
controllo della maggiore via di comunicazione commerciale globale; e il
petrolio, che proprio in quegli anni andava sostituendo il carbone come
principale combustibile per l’industria e il commercio. Il controllo di
quelle terre permetteva alla Gran Bretagna di assicurarsi la difesa dei
suoi maggiori domini coloniali, l’Egitto e l’India, di garantirsi
l’accesso quasi esclusivo alle riserve petrolifere arabe, di controllare
lo stretto di Hormuz da cui passa ancora oggi gran parte del traffico
petrolifero iracheno e iraniano, sottraendo al contempo queste decisive
risorse alla Russia, nel frattempo uscita fuori dai giochi a causa della
Rivoluzione del 1917. Dopo aver fomentato, finanziato e supportato la
Rivolta araba nonché promesso l’autonomia politica alle popolazioni
insorte sotto la guida dello Sceriffo della Mecca Ibn Ali Hussein, gli
inglesi, come arcinoto, si accordarono segretamente con la Francia
attraverso il patto denominato Sykes-Picot, accordo smascherato proprio dalla Russia rivoluzionaria.
[La linea tracciata sulla sabbia da Mark Sykes e Georges Picot,
una frontiera anti-storica, illegittima, avulsa da qualsiasi
considerazione d'ordine linguistico, etnico, religioso o culturale.
Nella fretta(!), gli inglesi lasciarono originariamente la zona di
Mosul- ricca di pozzi di petrolio - ai francesi, questione che venne poi
ridefinita nella successiva Conferenza di Sanremo del 1920.]
Gli effetti di quell’accordo sono tutt’oggi al centro dello scontro
politico in Medioriente. Paradossalmente, la richiesta dell’Isis di uno
Stato unitario sunnita tra Siria e Iraq va incontro alle necessità
storiche di quelle popolazioni, ma questo è proprio ciò che per più di
un secolo le potenze imperialiste hanno cercato in tutti i modi di
evitare secondo l’antico adagio del divide et impera. Purtroppo
il panarabismo d’ispirazione socialista è stato raccolto in forma
deleteria e reazionaria dall’islamismo salafita, su presupposti
religiosi regressivi, ma ciò non toglie che la complessità di queste
vicende richiedono uno sforzo di comprensione che mal si adatta a certe reductio ideologiche,
per quanto rincuoranti. La tensione araba, nonostante tutte le
interferenze interessate dall’esterno e dall’interno, è quella di
procedere eliminando i confini, e non aggiungendoli. Con dovuta perizia
di fonti, il libro descrive egregiamente, seppure in forma sintetica e
fruibile al pubblico più vasto, tutti i particolari connessi alla
Rivolta araba e alla politica britannica in Medioriente, soprattutto
l’intreccio indissolubile tra la politica e le prime società
petrolifere. Uno strumento in più per capire da dove viene lo scontro in
corso oggi, e per tentare di abbozzare una possibile soluzione, che
però non potrà che venire dalla stessa società araba, vittima delle
politiche occidentali e in prima linea nella resistenza all’Isis e ai
suoi mandanti più o meno occulti.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento