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19/09/2016

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Lawrence d’Arabia e l’invenzione del Medio Oriente

Medio Oriente è una definizione inventata dal colonialismo anglosassone agli inizi del ‘900, precisamente nel 1902 (sebbene la locuzione sia stata coniata da un analista statunitense per una rivista londinese). Prima di questa data, la parola stessa non aveva alcun significato né per gli europei né, tantomeno, per le popolazioni asiatiche che lì vivevano effettivamente. Una definizione che voleva circoscrivere quell’insieme di territori, dalle caratteristiche geografiche, culturali, linguistiche, etniche, sociali, economiche e politiche affatto differenti, che si situavano tra l’Egitto e l’India, cioè tra i due principali possedimenti britannici d’inizio Novecento. Uno sterminato territorio che costituiva però l’anello debole del sistema coloniale inglese, perché al centro dei progetti espansionistici di Germania e Russia. Un territorio per gran parte amministrato dal decrepito Impero Ottomano, uno Stato multinazionale a guida turca, di fatto fallito da decenni ma tenuto in piedi dagli interessi contrapposti di Inghilterra e Germania, ambedue preoccupate del possibile espansionismo reciproco, ed entrambe preoccupatissime dell’influenza russa nella regione. Questo uno dei passaggi chiave del testo di Fabio Amodeo e Mario José Cereghino, due autori al di sopra di ogni sospetta simpatia antimperialista (non va più di moda oggi), e che però ha il notevole pregio di rimettere i fatti nel loro ordine, senza aggiustamenti ideologici, ma senza neanche celare una verità storica che in questi anni sta facendo sentire tutto il suo peso negli eventi globali. La bomba sociale esplosa nel 2003 a seguito dell’invasione statunitense in Iraq covava un risentimento storico datato almeno un secolo prima. E’ la Prima guerra mondiale il detonatore che avvia la catena di tragici eventi.

La Grande guerra è stata sempre storicamente studiata e valutata dal punto di vista franco-tedesco. Il “fronte occidentale” è sempre stato al centro degli interessi storici, tutto il resto a fare da contorno. Più che marginale fu l’attenzione data alla Rivolta araba e alla disgregazione dell’Impero Ottomano. Un secolo dopo, possiamo affermare al contrario che le vicende arabe occuparono un posto decisivo, e la gestione di quelle vicende un problema colossale che si riverbera ancora oggi. In questi ultimi anni anche i meno attenti hanno dovuto rapidamente ripassare la storia di quegli eventi. Il libro in questione ripercorre la storia di T.H. Lawrence, con l’obiettivo di smontare molta della mitologia suscitata dal suo libro e, soprattutto, dal celeberrimo film di David Lean, Lawrence d’Arabia. Lawrence, come assodato da tempo, non era lo sprovveduto e romantico paladino della causa araba che emerge dall’agiografia cinematografica, quanto un eminente, ancorché onesto ed emotivamente coinvolto, dirigente colonialista che da tempo andava effettuando lavori di spionaggio nelle terre arabe per conto del Colonial Office britannico. Il sostegno inglese alla Rivolta araba fu l’ultimo e faticoso passaggio nel tentativo britannico di smembrare l’Impero Ottomano senza farlo cadere in mani russe (che ambiva al controllo degli stretti tra il Mediterraneo e il mar Nero) ma, al contempo, senza neanche regalarlo alle popolazioni arabe nel frattempo fomentate nella rivolta nazionalista e poco disposte a farsi da parte una volta terminato il lavoro sporco per conto terzi. Un gioco pericoloso ma necessario perché, nonostante il “fronte occidentale” fagocitò le energie degli Stati in guerra, era nei territori mediorientali che si giocava la partita economica decisiva per il futuro. Nelle terre arabe erano presenti infatti i due principali asset che avrebbero determinato l’egemonia imperialista dall’immediato dopoguerra: il Canale di Suez, attraverso cui veniva esercitato il controllo della maggiore via di comunicazione commerciale globale; e il petrolio, che proprio in quegli anni andava sostituendo il carbone come principale combustibile per l’industria e il commercio. Il controllo di quelle terre permetteva alla Gran Bretagna di assicurarsi la difesa dei suoi maggiori domini coloniali, l’Egitto e l’India, di garantirsi l’accesso quasi esclusivo alle riserve petrolifere arabe, di controllare lo stretto di Hormuz da cui passa ancora oggi gran parte del traffico petrolifero iracheno e iraniano, sottraendo al contempo queste decisive risorse alla Russia, nel frattempo uscita fuori dai giochi a causa della Rivoluzione del 1917. Dopo aver fomentato, finanziato e supportato la Rivolta araba nonché promesso l’autonomia politica alle popolazioni insorte sotto la guida dello Sceriffo della Mecca Ibn Ali Hussein, gli inglesi, come arcinoto, si accordarono segretamente con la Francia attraverso il patto denominato Sykes-Picot, accordo smascherato proprio dalla Russia rivoluzionaria.


[La linea tracciata sulla sabbia da Mark Sykes e Georges Picot, una frontiera anti-storica, illegittima, avulsa da qualsiasi considerazione d'ordine linguistico, etnico, religioso o culturale. Nella fretta(!), gli inglesi lasciarono originariamente la zona di Mosul- ricca di pozzi di petrolio - ai francesi, questione che venne poi ridefinita nella successiva Conferenza di Sanremo del 1920.]
 
Gli effetti di quell’accordo sono tutt’oggi al centro dello scontro politico in Medioriente. Paradossalmente, la richiesta dell’Isis di uno Stato unitario sunnita tra Siria e Iraq va incontro alle necessità storiche di quelle popolazioni, ma questo è proprio ciò che per più di un secolo le potenze imperialiste hanno cercato in tutti i modi di evitare secondo l’antico adagio del divide et impera. Purtroppo il panarabismo d’ispirazione socialista è stato raccolto in forma deleteria e reazionaria dall’islamismo salafita, su presupposti religiosi regressivi, ma ciò non toglie che la complessità di queste vicende richiedono uno sforzo di comprensione che mal si adatta a certe reductio ideologiche, per quanto rincuoranti. La tensione araba, nonostante tutte le interferenze interessate dall’esterno e dall’interno, è quella di procedere eliminando i confini, e non aggiungendoli. Con dovuta perizia di fonti, il libro descrive egregiamente, seppure in forma sintetica e fruibile al pubblico più vasto, tutti i particolari connessi alla Rivolta araba e alla politica britannica in Medioriente, soprattutto l’intreccio indissolubile tra la politica e le prime società petrolifere. Uno strumento in più per capire da dove viene lo scontro in corso oggi, e per tentare di abbozzare una possibile soluzione, che però non potrà che venire dalla stessa società araba, vittima delle politiche occidentali e in prima linea nella resistenza all’Isis e ai suoi mandanti più o meno occulti.

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