Quando muore un personaggio della
statura di Ciampi, i pericoli sono sempre due: l’agiografia acritica per
cui il defunto è caricato di ogni merito al di là di ogni
ragionevolezza e con una vis laudatoria tanto esagerata da sfociare
nell’oltraggio, e, dall’altro lato, l’offesa gratuita, l’irragionevole
addebito di colpe esagerate o inesistenti. Al solito: il servo encomio ed il codardo oltraggio dai quali vorremmo restar lontani.
Ciampi non ha fatto eccezione: la gran parte di media e politici ha
attaccato il coro delle lodi mentre il solito tanghero Salvini si è
prodotto in una uscita di rara volgarità.
Cerchiamo di dare un giudizio più equilibrato:
Ciampi è stato sicuramente un personaggio di statura storica
ragguardevole e non solo perché è stato Presidente della Repubblica. Ha
retto la Banca di Italia da pochissimo investita dal ciclone
Baffi-Sarcinelli e riuscì a restaurarne l’autorevolezza, ciò che non era
scontato che avvenisse.
Ha salvato la lira nel 1993,
pur se con misure non sempre condivisibili, quando è stato Presidente
del Consiglio governando il paese nel torbido passaggio fra prima e
seconda repubblica, fra stragi ed oscure manovre interne alle
istituzioni. Gli va riconosciuto d’essere stato un Presidente della
Repubblica di grande correttezza (quel che sicuramente non si può dire del suo successore).
Così come gli va riconosciuta l’onestà personale e la dedizione al
compito. Questi sono meriti oggettivi che solo con molta faziosità gli
si possono negare.
Poi c’è l’esame storico obiettivo della sua azione di finanziere, economista e politico
a cominciare dall’infelice divorzio fra Banca d'Italia e Ministero del
Tesoro, di cui Andreatta fu il proponente e Ciampi la necessaria
sponda a palazzo Koch. E Ciampi fu il massimo regista della politica
delle privatizzazioni (all’epoca descritte come la quintessenza della
modernità) e l’organizzazione della celebre crociera sul Britannia, in
cui ne venne sancito il canone culturale (ma direi quasi religioso). Ed,
ovviamente, a lui va dato il merito-demerito (a seconda dei punti di
vista) dell’entrata dell’Italia nell’Euro con tutte le scelte correlate.
Poi ci sarebbero scelte occasionali, come l’uscita temporanea
dell’Italia dallo Sme nel 1993 che servì a salvare la lira dall’urto
speculativo di Soros, ma questo richiederebbe un esame a sé che rinviamo
ad altra occasione.
Personalmente, sin dal 1992 ho sempre dato un giudizio negativo di tutte queste scelte
(divorzio Tesoro-Bankitalia, privatizzazioni ed Euro), e non ho motivo
di modificare il mio giudizio sul carattere fallimentare di quelle
scelte, questo però non implica alcun giudizio sprezzante sull’uomo che
fu l’architetto di quelle scelte. Fu (come Cuccia, del resto) un gran
sacerdote della finanza che amministrava il suo potere senza interessi
personali, ma servendo un blocco di classe che io ritengo avversario.
In questo pesava la sua formazione
politica che proveniva dalla destra del Partito D’Azione (quella che si
ispirava ai vari La Malfa, Tarchiani, Cianca ecc.) che fu sempre vicina
all’èlite finanziaria dei Cuccia, Mattioli ecc. e che era il punto di
contatto con Scalfari e la base ideologica della Repubblica. E questo
spiega anche la sua fede europeista saldamente creduta sino ai suoi
ultimi giorni, quando il fallimento del progetto europeista è ormai
conclamato.
Dunque non nascondiamo le ragioni della nostra critica all’uomo ed alla sua cultura azionista
su cui torneremo a dire, ma questo non ci esime da un omaggio ad un
avversario che servì gli interessi delle classi dominanti, ma con
innegabile disinteresse personale, intelligenza e studio.
La critica storica è cosa diversa
dall’insulto becero e sguaiato e, di fronte ad un avversario di classe
del genere, nel momento della morte, si possono chinare le bandiere
senza, per questo rinunciare alla critica ed alla difesa degli interessi
di classe contrapposti.
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