Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno fatto ciò che non si erano permessi – e che gli era stato impedito dal sostegno russo e cinese a Damasco – dall'inizio della cosiddetta 'guerra civile siriana'. In una serie di raid i caccia di Washington e forse di altri paesi della “coalizione internazionale anti-Isis” hanno preso di mira delle postazioni e dei convogli dell'esercito siriano nella regione di Deir Ezzor, in un'area dove le forze lealiste erano impegnate contro i jihadisti del Califfato. Il bilancio delle vittime tra i militari di Damasco sarebbe salito addirittura a 90 morti e a centinaia di feriti.
Gli Usa hanno affermato che si è trattato di un errore e hanno presentato le loro scuse al governo siriano. Ma ovviamente nessuno degli attori coinvolti nel conflitto siriano potrà fare finta di niente, e il quadro muterà ulteriormente dopo i capovolgimenti di fronte delle scorse settimane.
Possibile che i piloti dei caccia statunitensi e chi li comandava abbiano compiuto un errore così madornale e gravido di conseguenze? O quanto avvenuto ci dice che tra i comandi militari di Washington c'è qualcuno che intende mettere i bastoni tra le ruote al proprio stesso governo e provocare una riesplosione del conflitto interrompendo la seppur sospettosa collaborazione tra le due coalizioni anti jihadiste, quella a guida statunitense e quella capeggiata da Mosca? O non si tratta invece di una scientifica decisione dell'amministrazione Obama, animata da chi sa quale oscura strategia?
Fatto sta che ore le speranze che la tregua venga prolungata come inizialmente previsto sono assai scarse.
Il cessate il fuoco ormai sbriciolato, le tensioni tra Russia e Usa sono improvvisamente tornate ai massimi livelli e la già provata popolazione di Aleppo che aspettava aiuti umanitari si è vista di nuovo piovere addosso le bombe. Da Mosca si ribadisce l'accusa a Washington – “La Casa Bianca difende l'Isis!” – che ovviamente Obama respinge sdegnosamente.
Della guerra in Siria non si vede la fine. L'esercito siriano e i suoi alleati hanno ricominciato a martellare diverse aree del paese occupate dai ribelli fondamentalisti di diversa specie. Da parte loro i jihadisti dello Stato Islamico hanno rivendicato ieri l'abbattimento di un caccia siriano proprio a Dayr az Zor e la distruzione con un missile di un carro armato turco a Jakkah, nella regione di Aleppo.
E' proprio nel nord della Siria, dove si concentrano le spinte e gli interessi di numerosi attori, che nel fine settimana un episodio ha esplicitato per l'ennesima volta la confusione che regna a Washington, superpotenza in crisi di identità e in declino dal punto di vista egemonico che rincorre i contendenti locali contraddicendosi ogni due giorni e infognandosi sempre di più in un pantano da cui tutti, purtroppo, usciranno con le ossa rotte.
Gli Stati Uniti continuano a compiere raid di sostegno alle milizie curde siriane e alle altre formazioni inquadrate nelle cosiddette Forze Democratiche Siriane che oltre ai jihadisti di Daesh ora sono impegnate anche contro le truppe corazzate turche e uno stuolo di mercenari pagati e addestrati da Ankara e spacciati per l'Esercito Siriano Libero. Ma Washington sta rapidamente aumentando negli ultimi giorni il proprio sostegno anche ai ribelli 'moderati', gli stessi che Ankara utilizza per mettere i propri stivali sul terreno e il cui obiettivo principale è ricacciare indietro le Ypg curde. Di fatto Washington sostiene due schieramenti che si combattono, oggettivamente a vantaggio delle formazioni jihadiste che pure, anche se senza esagerare, l'amministrazione Obama ha deciso dopo qualche anno di tolleranza di contrastare.
Washington, dopo aver ottenuto dai curdi lo scorso anno la possibilità di utilizzare una pista d'atterraggio abbandonata dall'esercito siriano nella zona di Hasaka, ora starebbe aprendo anche una seconda base a pochi chilometri da Kobane.
Questo mentre gli Stati Uniti mandano altri 40 membri delle forze speciali a sostenere i soldati turchi e i loro servitori dell'Els; presto di “consiglieri” e di commandos da Washington ne dovrebbero arrivare ben 300, con l'obiettivo di sostenere le truppe di Ankara e i ribelli filo-turchi a contrastare l'Isis (in realtà i curdi).
Un grosso, ennesimo regalo dell'amministrazione Obama ai cosiddetti 'ribelli moderati', dopo la pioggia di milioni che sono spesso serviti ad armare e addestrare miliziani passati poi ad al Qaeda o a Daesh. Peccato che i 40 militari americani arrivati ad al-Rai, dove i turchi preparano un'offensiva verso sud, non sono stati ben accolti dai cosiddetti 'ribelli moderati', che li hanno fischiati e sommersi di slogan in particolare da alcuni gruppi definiti “più oltranzisti”, come Ahrar al-Sharqiyah e Furqat Hamza. La colonna delle forze speciali Usa, scortata da due carri armati turchi, è stata coperta di insulti e minacce – “Crociati. Morte all’America. Vi sgozzeremo” – tanto da essere costretta a ripiegare.
Poi i comandi militari turchi avrebbero tirato il guinzaglio ai loro servitori e le truppe americane sarebbero arrivate senza problemi. Ma chi glie lo spiegherà ai cittadini statunitensi, od europei, quando alcuni dei terroristi fondamentalisti addestrati, armati e stipendiati da Washington spargeranno il terrore in qualche città del nostro continente o dall'altra parte dell'oceano in nome del jihadismo?
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