Un consiglio dei ministri brevissimo (25 minuti, il tempo del caffé) per prendere la più scontata delle decisioni: si voterà il 4 dicembre per il referendum confermativo o abrogativo della riforma controcostituzionale targata Renzi-Boschi, ma di ispirazione apertamente piduista.
Evitiamo di ripetere il coro polemico che si è alzato ieri sera dalle finte opposizioni parlamentari: era assolutamente ovvio che sarebbe stata scelta la data più lontana possibile (il governo, per legge, poteva decidere entro un ventaglio tra i 50 e i 70 giorni), per i motivi che tutti conoscono: il governo sa che in questo momento è perdente (al contrario di quanto si pensava prima del voto amministrativo di giugno, che lo ha azzoppato molto più del previsto), cercherà di sfruttare il tempo per recuperare il margine di vantaggio del NO, usando ovviamente soprattutto la legge di stabilità per distribuire promesse.
Promesse di mancia, ma niente affatto sicure. Tra il 4 e il 31 dicembre, infatti, c'è un abisso. E la legge di bilancio per il 2017 vedrà la sua forma definitiva solo dopo l'approvazione della Commissione Europea. Quindi, quel che verrà detto fino al 4 potrà (e dovrà, secondo i vertici della Troika, da Juncker a Dijsselbloem, da Weidmann a Merkel e Schaeuble) essere cancellato con un tratto di penna.
A leggere i giornali di stamattina – che anticipano il consiglio dei ministri del pomeriggio, in cui appunto si discuterà della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, da presentare a metà mese alla Commissione Europea – si vede con facilità lo sforzo governativo di conquistare consensi. Un esempio? L'Ape (anticipo pensionistico per gli over 63) è stato immediatamente sputtanato come un presa in giro pensata per portare altri soldi alle banche, costringendo i pensionandi ad accendere un mutuo supplementare per pagarsi la pensione negli anni che mancano al limite fissato dalla Fornero? Bene, si promette che sarà gratuito fino a 1.500 euro mensili (netti? Lordi? Impossibile saperlo). Una decisione che porterebbe la spesa prevista a 600 milioni, anziché i 300 inizialmente ipotizzati. Ma che importa? Tanto non si tratta di una misura che debba andare in porto sul serio, perlomeno nei limiti indicati. Altro esempio? Più quattordicesime nelle pensioni fino a 1.000 euro! Chi può opporsi? Nessuno. Ci sono i soldi? Vedremo.
Tutto così, pillole distribuite ai media mainstream perché ci ricamino sopra un'immagine “socialmente sensibile” di quel governo che, nel frattempo, sta tagliando nella sanità persino gli interventi alla cataratta e gli anticoncezionali per le donne con patologie rilevanti.
Il referendum deciderà del futuro costituzionale di questo paese. E quanto c'è da perdere è possibile capirlo anche dalla truffa contenuta nel quesito referendario proposto dal governo, ridotto a una serie di messaggi pubblicitari (pro domo sua).
Da qui al 4 dicembre sarà battaglia a tutto campo. Il governo e i suoi sponsor multinazionali useranno tutti i mezzi, senza limiti di spesa, per instillare la paura di un salto nel vuoto nel caso vincesse il NO (basta guardare il dinamismo interventista dell'ambasciatore statunitense in Italia). E proprio il terrorismo mediatizzato sembra l'ultima arma in mano a quel potere per far passare la propria gestione della crisi. Un terrorismo che non sempre produce il risultato voluto, come si è potuto vedere con il voto sulla Brexit, ma che semina egualmente sconcerto e persino morti.
Non staremo a guardare, questo è sicuro. Cominciamo a preparare le due giornate del 21 e 22 ottobre (sciopero generale indetto da Usb, SinCobas e Usi, acampada notturna a San Giovanni e manifestazione nazionale il giorno dopo a Roma, come Coordinamento per NO sociale alla controriforma costituzionale). Sarà quello il punto di partenza vero per la volata che il 4 dicembre spazzerà via il pupazzo Renzi e metterà un po' più in crisi i suoi burattinai.
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