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27/09/2016

Grillo a Palermo: il M5S continua a guardarsi l'ombelico

Non siamo tra quelli che si terrorizzano per l'egemonia dello spettacolo nella politica. Il movimento 5 stelle però questa egemonia l'ha naturalizzata, come ha fatto il Pd, un po' troppo velocemente

A Palermo è andato in scena uno spettacolo valido più per il movimento 5 stelle, e sostenitori, che per il paese. Non che ci sia qualcosa di male, salvo il dettaglio che il movimento si candida, parole sue, a governare il paese.

Il centro dello spettacolo di Palermo è stato quindi, come prevedibile, il movimento 5 stelle e le sue vicende. Non il cammino che dovrebbe intraprendere il paese in una crisi storica. Di una portata tale da ricordare la crisi del seicento sulla quale diversi storici si sono cimentati per capire il declino strutturale della penisola italiana nel XVII secolo.

Il movimento 5 stelle si posiziona, invece, su qualcosa di molto, molto più immediato: fare spettacolo, aiutato anche dai media che cercano di evidenziare ciò che ritengono essere il negativo di questo spettacolo, con il resto del paese a fare da spettatore. E' già avvenuto in diversi comuni pentastellati, dove comportamenti e atti della giunta sono ridotti, nel male e nel bene, a spettacolo con il resto della società a fare da spettatore. C'è un problema però: se si vuole governare un paese, durando, bisogna esercitare un'egemonia profonda. La Dc, per capirsi, si è talmente identificata col paese da sopravvivere alla propria scomparsa politica nelle pratiche, nelle reti di potere persino nelle modalità di conflitto tra cartelli interni (importate, come si è capito, dallo stesso movimento 5 stelle in altre forme). Niente di questa identificazione si è intravista sino a oggi e niente di sostitutivo. Come non si vede un obiettivo, porlo era tradizione del Pci, da proporre a tutta la società. Senza egemonia, di linguaggio e di pratiche, e senza una direzione risulta molto difficile governare un paese. Figuriamoci per un movimento che, come accaduto a Palermo, ha cercato di tornare alle origini per ovviare alla propria crisi di crescita.

Il movimento 5 stelle, nella fase dell'incubazione del suo successo, è stato un equilibrio, sempre conflittuale, tra potere carismatico e gerarchico e potere di base, orizzontale, tra comunicazione aziendale, la Casaleggio, e comunicazione dal basso. Roma ha aggiunto una nuova fase, quella del governo in quanto rappresentanza e mediazione di interessi in nome del consenso elettorale. Non è andata finora bene e la due giorni di Palermo ha rappresentato quel ritorno alle origini, movimentiste, che si vuole in grado di sciogliere le tensioni interne generate dalla vicenda romana e di riparare il danno di immagine verso l'elettorato.

I sondaggi, come ha detto Grillo, rispetto alla fase più acuta della vicenda romana, sono migliorati e Palermo favorisce questa tendenza. Ma, essendo la giunta Raggi seduta su un casino epocale, il movimento 5 stelle è destinato a vivere di saliscendi nei sondaggi: da una parte salirà quando i disastri del governo Renzi saranno ineludibili, dall'altra scenderà quando l'attenzione dei media sarà su Roma. La tattica del movimento 5 stelle se non è pensata è perlomeno obbligata: gestire le contraddizioni, interne e di governo locale, giocando sull'immagine, mettendo tra parentesi i nodi irrisolvibili rimandandoli di elezione in elezione. Fino alla promessa che l'elezione finale, le politiche, rappresenterà, a sua volta, una sorta di benefica soluzione finale. Ovviamente non sarà così in ogni caso: se vincesse il movimento 5 stelle si troverebbe entro una serie di tensioni globali, non risolvibili diplomaticamente, di cui l'esperienza di Syriza rappresenta un drammatico, e finora inascoltato, case study. E questo, fino ad oggi, senza esprimere un Varoufakis. Anzi, dopo aver espresso, in una società dove se non hai una chiara indicazione economica sei nulla, una serie di apprendisti stregoni economici di cui uno, che speriamo affossato assieme al direttorio di cui faceva parte, ha espresso opinioni lisergiche, da feste californiane degli anni '60. Forte del suo bagaglio culturale, che l'ha portato ad essere responsabile M5S di scuola e università, che poggia sulla convinzione, declamata in un discorso in Parlamento, che "l'uomo non è mai andato sulla luna".

Ma il problema del movimento 5 stelle non è solo di personale da formare, pessima parola ma che evita di dover arruolare nelle giunte tecnici provenienti dal mondo che si vuol abolire e che finiscono invece per farlo valere, ma di mancanza di un modello organizzativo profondo, di respiro, radicato nella società italiana. E neanche, almeno oggi, di assenza di elaborazione egemomica. E' proprio l'uscita dalla fase ombelicale, quella che indica ad una intera società, non al "movimento", gli obiettivi. Certo altamente complessi perché senza una linea di massa su comunicazione, tecnologie, economia ti resta solo il moralismo sui costi della politica, finché dura. Ma anche qui, una linea di massa su questi temi dovrebbe partire dalla rilettura di tanti temi open source che, invece, dovrebbero convivere con una piattaforma organizzativa, Rousseau, che si basa su software proprietario. E questo in un movimento dove il fondatore, Grillo, si è presentato semplicemente sul palco dicendo "io sono di nuovo il capo", saltando ogni tipo di deliberazione democratica. Difficile fare ricorso al sapere diffuso, di base di un paese che ne ha invece bisogno. Molto difficile farlo se si vuol governare un paese storicamente, e geopoliticamente, complicato avendo dietro non un'armata ma un gruppo di persone che si sbrana alla prima seria questione riguardante le competenze di un assessorato. Ma c'è un'astuzia della società, di quelle che bisogna saper vedere, di cui il movimento 5 stelle farebbe bene a tener conto, quello della strumentalità del voto verso i pentastellati che ha una grossa parte dell'elettorato. Che vota per usare Grillo e suoi soprattutto come dinamite contro il sistema politico attuale. Dopo, si vedrà, del resto la società è ormai abituata a cambiare referente elettorale con la frequenza con cui cambia lo smartphone. E, se la società ha spontaneamente destinato il movimento 5 stelle al ruoli di dinamite, il rischio è quello di praticare fino in fondo il ruolo assegnato esplodendo.

Certo, non si vuol fare la predica a nessuno ci mancherebbe. Fare politica oggi è altamente complesso, i problemi ci sono per tutti, e il moralismo è l'estasi dei frustrati. A fare la predica ci penseranno, verso se stessi, gli stessi protagonisti di questa vicenda. Dopo aver picchiato duramente sul muro della storia. A questa velocità e con questa direzione di marcia il problema, naturalmente, non è il "se" ma il "quando" avverrà. Certo, in ogni caso, se deve avvenire che accada dopo la dissoluzione del renzismo e delle reti di potere ad esso correlate. Naturalmente, se avvenisse, quanta energia sprecata. Ma la storia è impietosa con i soggetti politici che si guardano troppo addosso. Guardare oltre l'ombelico potrebbe essere salutare. Il problema è che riproducendo ideologia, quella della fine delle ideologie, si perde di vista una caratteristica del politico classico: la saggezza espressa nei momenti drammatici.

Redazione, 26 settembre 2016

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