A Genova le industrie sono ormai un ricordo del lontano passato, e il governo non si mette mai contro un'azienda che vuol chiudere e delocalizzare. Neanche quando quell'azienda aveva preso impegni e soprattutto fondi pubblici.
Accade con ben due imprese diverse, una multinazionale svedese e una del tutto italica, ossia Ericsson e Piaggio, settore Aerospace (che non è affatto un settore in crisi, sul piano globale).
La prima si è presentata all'incontro con governo e sindacati presentando un piano di esuberi per 107 dipendenti, da buttare fuori subito, entro Natale. Per altri 44 la dead line è spostata al prossimo giugno. Il governo aveva promesso, per bocca di esponenti ormai ammutoliti, un “robusto sostegno” alle ragioni dei lavoratori. Zero carbonella. La multinazionale potrà fare quel che ha deciso, senza impedimenti, scaricando i dipendenti agli ammortizzatori sociali (che nel frattempo lo stesso governo ha drasticamente ridotto per tipologia e durata).
La Piaggio, invece, ne vuole eliminare 89 a Genova e 43 ad Albenga.
Sommando le due dismissioni si arriva a quasi 300 posti persi in una regione che ha visto i disoccupati crescere di quasi il 9% nei soli tre primi mesi dell'anno.
Soprattutto il caso Ericsson solleva il velo sull'atteggiamento prono – eufemismo – dei governi rispetto alle multinazionali. Nel 2012 governo e Regione concedevano agli svedesi alcune decine di milioni di finanziamenti pubblici (42, per la precisione) alla precisa condizione di mantenere l'occupazione in loco. Impegno mai sottoscritto. In particolare, riferiscono delegati Cgil – dalla multinazionale “Hanno detto che non si poteva. Ma quaranta giorni dopo il trasferimento nella nuova sede è stata avviata la procedura di mobilità”.
Non manca il coté politico, visto che i finanziamenti pubblici erano stati concessi per lanciare il progetto centro ricerche Erzelli, operazione condotta da privati (imprenditori spesso vicini al Pd).
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