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19/09/2016

Ahmed non deve diventare il primo di una lunga lista

Un uomo solo, o pochi uomini, in piedi, davanti a un mostro d'acciaio. L'immagine di Tien An Men è solo una delle tante icone che segnano il confine tra l'ammissibile e l'inumano, tra il conflitto che riconosce nell'altro un appartenente alla stessa specie e l'ansia di sterminio che tratta chi si frappone ai propri obiettivi come Untermensch. Sottouomini, come animali o cose.

Entro i confini dell'umano c'è tutto lo spazio conflittuale tipico delle democrazie borghesi, che non hanno mai evitato che si spargesse morte, ma hanno sempre ammesso variegate forme della “non violenza” e persino tollerato – a causa dei rapporti di forza politici e sociali, non certo per magnanimità – addirittura un qualche grado di violenza di massa (gli anni '60 e '70 stanno ancora nell'immaginario globale).

Decenni di picchetti e blocchi stradali, lungo tutto il Novecento e questi primi anni del nuovo millennio, si sono avvalsi di questo spazio nemmeno codificato, per cui degli esseri umani che protestano, arrabbiati ma disarmati, non possono essere schiacciati da un'auto, da un camion, da un blindato. Decine di crumiri e di padroni hanno spesso cercato di forzare i blocchi, qualcuno ha anche ferito dei manifestanti. Ma è stato sanzionato prima dai manifestanti stessi, poi anche dalla magistratura, incaricata – se non altro – di proteggere il monopolio della forza attribuito alle Stato. Che non ha del resto lesinato morte e distruzione, da Portella delle Ginestre a Reggio Emilia, da Piazza Fontana a Carlo Giuliani.

Il carro armato cinese a Tien An Men – va ricordato – si fermò, cercò di scartare quell'omino ostinato che si spostava per impedirgli di passare. Alla fine desistette e restò immobile, marcando uno stallo e la fine delle ostilità. Un attimo sospeso prima dell'abisso, un passo che non fu fatto.

Il tir del padroncino di Piacenza, incitato dal manager Antonio Romano, è andato avanti e ha schiacciato Ahmed Abd Elsalam. È un fatto.

Peggio. Il procuratore locale, in poche ore, ha saltato tutta la fase delle indagini, accettando senza obiezioni la versione dell'azienda e dell'autista. Versione avallata dalla polizia, per coprire una propria defaillance nel doppio ruolo svolto davanti alla Gls (gestire la piazza e accompagnare la trattativa). È un altro fatto.

Un episodio del genere fa precedente, cambia la costituzione materiale e l'orientamento di tutta la legislazione ammessa in giudizio.

La velocità con cui il governo e il sistema dei media mainstream ha immediatamente accolto la versione dell'”incidente stradale” parla da sola. Nell'ansia di impedire che un omicidio possa sedimentare una consapevolezza dell'orrore legislativo e regolamentare costruito negli ultimi venti anni – la storia della precarizzazione legalizzata, dal “pacchetto Treu” alla “legge 30” al Jobs Act – la classe dirigente ha preso una decisione decisamente vile, ma che di fatto rende possibile il moltiplicarsi di “omicidi stradali” nelle piazze italiane.

Un precedente storico e giudiziario ha un peso impossibile da sottovalutare. Determina gli orientamenti e le decisioni successive. Rafforza negli assassini la certezza dell'impunità davanti al giudice e alle varie polizie. E indebolisce nelle vittime la certezza di poter lottare e veder riconosciute ovunque – persino in sede giudiziaria – le proprie ragioni. La “certezza del diritto” si trasforma in pochi attimi in certezza dell'ingiustizia e dell'impossibilità di vedersela riconosciuta. Prima ancora del processo.

Con in più il sottaciuto razzismo che mette la nazionalità e/o la religione della vittima davanti a ogni altra considerazione, appunto. Proprio come – simmetricamente – Giulio Regeni in Egitto. “Che cazzo pretendeva?”

I video hanno mostrato molto, anche se non tutto. Persino quello prodotto dalla difesa del manager (non “padrone”, solo un dipendente di una multinazionale tedsca…), Antonio Romano, certifica il contrario di quanto incautamente affermato dal procuratore di Piacenza. C'era una protesta in corso, e numerosi uomini corrono infatti dietro il tir che ha appena travolto Ahmed, costringendolo a fermarsi definitivamente. Un altro camion, a pochi metri di distanza, innesta la marcia indietro davanti a tanto orrore e all'umanissimo terrore di essere scambiato per un complice dell'assassino. Numerosi funzionari dell'azeinda Gls si alternano nel parlare all'autista del tir killer prima dell'accelerata omicida. Cos'abbiano detto non possiamo saperlo dal video aziendale – stranamente privo di audio – ma soltanto dai testimoni diretti. Tanti, ma inascoltati dalla magistratura locale.

Una constatazione che dovrà spingere d'ora in poi ogni manifestante – specie se impegnato nell'antica arte di frapporre il proprio corpo all'ingiustizia – a strutturare collettivamente una mini-troupe audiovideo che registri ogni secondo e ogni movimento in qualsiasi faccia a faccia, di piazza o “in trattativa”. Con Chiunque. Così come del resto fanno polizia e imprenditori.

Guardando il video girato in occasione di un altro blocco, a Milano, si vede un manager della Gls spintonare e picchiare i lavoratori stesi a terra, invitando i tir a "passarci sopra". La tragedia era insomma stava evitata più volte per un pelo. E' bastato poco – un autista forse troppo sicuro di sè, forse un varco mal calcolato nel muro dei corpi sulla strada – perché si verificasse.

Le immagini da sole non parlano, ma sono più difficili da confutare delle testimonianze oculari ed orali. Il procuratore di Piacenza, nell'emettere la sua pre-sentenza, nemmeno ha ritenuto di dover ascoltare i compagni e colleghi di lavoro di Ahmed. Figli della stessa classe ed interesse, il loro punto di vista è stato preventivamente espulso dal futuro processo. Lasciando intravedere persino un rifiuto alla richiesta di costituzione di parte civile del sindacato Usb e degli stessi colleghi di lavoro.

Cosa si può fare davanti a tanta protervia?

Va fatto molto di più di quel che siamo abituati a fare, questo è il minimo. L'omicidio di Ahmed è un salto di qualità e di livello nel conflitto di classe. E' qualcosa che non avveniva da decenni – neanche noi siamo sicuri se dover tornare, nella ricerca, agli anni '60 o '50 – è un bivio della Storia in questo paese.

Da come si chiuderà questa vicenda dipenderà molto del materiale conflitto sociale dei prossimi anni, della sua agibilità, delle sue forme.

Se dovesse affermarsi davvero come “verità giudiziaria” – l'unica che conti, nel conflitto – quell'osceno addossare ad Ahmed una “corsa suicida contro il Tir”, ogni altro picchetto o blocco stradale correrà l'identico rischio. Ogni “manager”, crumiro, poliziotto, carabiniere, si sentirà legittimato a fare altrettanto, pronto ad invocare il destino cinico e baro che presiede agli incidenti stradali. Una condannuccia pro forma, un fastidio burocratico come la sospensione della patente, nulla di più...

C'è un problema, ovviamente. E va risolto subito, prima che le carte giudiziarie vengano scritte e composte consolidando una lapide stesa sulla verità.

In anni recenti, le battaglie giudiziarie sono state tutte di basso livello. Scontri, manganellate, insulti, resistenza a pubblico ufficiale, infrazione dei sigilli, occupazioni, manifestazioni non autorizzate, ecc, hanno selezionato un'abitudine e un personale corrispondenti.

Su un altro versante si sono giocate partite ignobili contro singoli compagni di fatto abbandonati a se stessi e ad accuse fuori dalla grazia di dio. Dalla Val Susa al 15 ottobre, per capirci.

Qui c'è un morto in terra e un processo – tutto da fare – per omicidio. E' un altro mondo, un'altra sapienza giuridica e giudiziaria, un mondo in cui improvvisare è suicida.

In altri tempi l'omicidio di Ahmed avrebbe mosso, senza bisogno di chiamata, intellettuali e avvocati, giuristi e costituzionalisti ai massimi livelli. Questa convocazione va oggi promossa, organizzata, chiamata a gran voce.

C'è in gioco la “prassi materiale” del conflitto sociale dei prossimi anni. Una posta in gioco del tutto coerente con la battaglia per il NO alla controriforma costituzionale Renzi-Boschi, contro il Jobs Act o la Buona Scuola. È la stessa battaglia.

I migliori avvocati, intellettuali, costituzionalisti e “periti settori” vanno coinvolti a difesa di quell'oscuro ex professore egiziano costretto a fare il facchino in Italia per sfamare i suoi cinque figli.

Non devono – non dobbiamo – farlo solo per tutelare la vedova e i figli. Devono farlo per se stessi, per qualsiasi cittadino si possa trovare di fronte alla prepotenza materiale dell'azienda o delle “forze dell'ordine”, in un giorno e in un incrocio qualsiasi.

Devono/dobbiamo farlo. Dobbiamo richiamarli alle loro responsabilità.

Dobbiamo bloccare quel tir o quel blindato che, in qualche oscuro garage, sta scaldando i motori in cerca di altra carne umana da travolgere.

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