Che la classe dirigente politica e militare israeliana annoveri numerosi estimatori di Daesh (o Stato Islamico), considerato uno strumento utile al raggiungimento degli obiettivi egemonici sionisti in Medio Oriente, è noto da tempo.
Una ulteriore riprova è giunta nei giorni scorsi quando uno degli ideologi del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha scritto un articolo nel quale chiede alle potenze occidentali di non eliminare Daesh visto che l’organizzazione jihadista, a detta dell’estensore dell’intervento, avrebbe un grande valore per Usa e Ue. Questo in nome del fatto che il principale nemico dell’Occidente sarebbe l’Iran, giudizio che da sempre caratterizza la visione israeliana.
La difesa di Daesh è stata scritta dal professor Efraim Inbar, direttore del Besa, “Centro di Studi Strategici Begin-Sadat” dell’Università Ortodossa Bar-Ilan di Tel Aviv ormai dal 1992, un influente accademico e consigliere del governo e delle Forze Armate israeliane e anche della Nato. Il docente, molto influente all’atto di decidere le mosse di politica estera, collabora anche con vari think tank in varie parti del mondo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna all’Australia.
“La continuazione dell’attività dello Stato Islamico serve i nostri interessi” e “può servire come strumento per far fallire i piani dell’Iran, di Hezbollah, della Siria e della Russia” scrive Inbar. Che poi aggiunge in una intervista concessa al quotidiano spagnolo Publico: “Barack Obama non vuole impegnarsi in Medio Oriente e non credo che cambierà atteggiamento. E’ certo che sta lottando contro lo Stato Islamico ma lo fa semplicemente per giustificare il suo accordo con l’Iran. Dice che vuole eliminare lo Stato Islamico ma non invia truppe e nega di riconoscere che il principale problema è rappresentato dall’Iran”.
Nel suo articolo “La distruzione dello Stato Islamico è un errore strategico” Inbar sistematizza per la prima volta in maniera molto esplicita quanto numerosi esponenti politici e militari di Israele – e anche della destra statunitense – avevano affermato negli ultimi anni.
Secondo il direttore del Besa, gli Stati Uniti starebbero commettendo una “pazzia strategica” collaborando con la Russia nel contrasto allo Stato Islamico dimenticando il pericolo rappresentato dall’Iran. Secondo Inbar la sparizione di Daesh non renderebbe, contrariamente a quanto si crede in Occidente, il Medio Oriente più stabile. “La stabilità – spiega l’intellettuale sionista – non rappresenta un valore in sé e solo è da ricercare se serve i nostri interessi”. Per questo secondo lui la guerra in Siria, che ha causato centinaia di migliaia di morti e feriti, milioni di profughi ed enormi distruzioni, non va arrestata, ma al contrario prolungata. Una posizione già espressa qualche anno fa da un generale israeliano, secondo il quale “La situazione in Siria non ci piace, e ciò che succederà neanche, quindi è meglio che il conflitto continui”.
A sostenere la tesi di Inbar è anche un altro influente membro del Besa, David Weinberg, che in un articolo – intitolato “Lo Stato Islamico deve sparire?” e pubblicato sul giornale del miliardario ebreo americano Seldon Adelson, fervente sostenitore di Netanyahu – afferma che il Califfato rappresenta una specie di “utile tonto” che l’Occidente dovrebbe utilizzare. Israele teme molto di più la milizie sciite libanesi di Hezbollah che i membri di Daesh che si starebbero radicando tanto nel Sinai egiziano quanto in altri territori di confine con il cosiddetto ‘Stato Ebraico’. Da parte sua se Al Baghdadi in maniera molto sporadica diffonde messaggi minacciosi nei confronti di Tel Aviv finora nessun attacco è stato mai sferrato da Daesh né contro Israele né contro i suoi interessi.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento