Il dubbio non esiste più da molto tempo. Almeno da quando Eugenio Scalfari provava a inventare leader politici “di sinistra” che fossero anche degli accertati campioni di anticomunismo. Negli anni propose e sponsorizzò Ciriaco De Mita, Bettino Craxi, Mariotto Segni, Francesco Rutelli e poi avanti, senza mai un attimo di ripensamento autocritico, fino a Renzi e – per quanto complicato possa sembrare – Gentiloni.
Il giornale ha cambiato direttore “nella continuità”, come si usa dire, e oggi funziona da “narratore ufficiale” della bontà dei governi in carica – e chissene se sono nominati dall'Unione Europea (Scalfari è nel frattempo finito a teorizzare la bontà dell'oligarchia vs la democrazia, visto che gli straccioni "non sanno votare”) – e, all'opposto, bastona la protervia dei pochi soggetti istituzionali non allineati. Non "rivoluzionari", semplicemente non allineati...
Le giunte grilline vengono pedinate minuto per minuto (se avesse fatto lo stesso con quelle del Pd-Pdl forse non si sarebbe potuta formare la banda rosanero di Mafia Capitale), ben al di là della loro evidente inadeguatezza. L'unica altra “testa matta” che ha osato – non diciamo ribellarsi, ma almeno eccepire – alla razzia renziana è stato Luigi De Magistris, eletto sindaco di Napoli da una vera e propria coalizione sociale che ha sbaraccato sia la destra cosentinian-camorrista che il centro piddin-camorrista.
Contro questa coalizione sociale, più ancora che contro la figura del sindaco, Repubblica ha in questi giorni scatenato una delle sue firme più note, tenuta in grande considerazione per la sua fama più che per la sua declinante produzione – diciamo così – “letteraria”. Quel Roberto Saviano con cui abbiamo più volte anche noi polemizzato quando “a sinistra” sembrava peccato mortale farlo (ricordiamo ancora, sorridendo, Norma Rangeri che definiva, su il manifesto, “Saviano bene comune”).
Lo ha fatto con un articolo, che prendeva spunto dall'agguato camorristico in cui sono rimasti feriti una bambina e tre ambulanti senegalesi, per attaccare la città, il sindaco, le istituzioni locali. Tutto per dire che "non è cambiato niente", che a Napoli puoi fare quel che vuoi, ma comanda sempre e solo la camorra...
La risposta di De Magistris, moderata nei toni ma secca nel contenuto, non è piaciuta al quotidiano di De Benedetti (tessera numero 1 del Pd, se l'ha rinnovata...), che ha incaricato Attilio Bolzoni di sparare a palle incatenate contro “il reprobo”.
L'articolo ve lo potete gustare qui di seguito. Noi ci limitiamo a sottolineare alcuni passaggi che rendono chiaro il senso politico dell'operazione mediatica in atto.
Perché è indubbiamente vero che “Sulla pelle di Napoli si arricchisce la borghesia camorrista, sulla pelle di Napoli si arricchiscono i pascià intoccabili del sottobosco amministrativo, politico e imprenditoriale che trafficano in tangenti e appalti, sulla pelle di Napoli si arricchiscono ruffiani e spacciatori e riciclatori. Si arricchisce un'umanità disumana che arraffa ogni giorno tutto quello che può arraffare”. Ma la lista non può finire qui. E l'aveva ben spiegato Leonardo Sciascia – sulle pagine di Corriere della Sera, in tutt'altra stagione politica – parlando dei “professionisti dell'antimafia”. Un mix di politici, amministratori, giornalisti, magistrati in cerca di notorietà (mentre quelli dell'antimafia reale venivano ammazzati), che costruivano carriere e gonfiavano i portafogli recitando la parte dei puri di cuore. Un po' come i tanti consulenti delle varie “commissioni parlamentari di inchiesta”, incentivati a produrre “necessità di ulteriori indagini” per incrementare i lauti compensi garantiti dal ruolo.
Ricordare che “raccontare la camorra” può essere un mestiere molto redditizio viene descritto da Bolzoni come “un confine che non può essere superato”. E perché mai?
Certo, è un argomento che possono sollevare tutti, quelli che la camorra la combattono creando un tessuto sociale solidale su cui non può più crescere indisturbata come un tumore (i tre senegalesi feriti per non aver voluto pagare il pizzo ne sono un frammento involontario) e persino quelli al soldo della camorra. Per il semplice fatto che è vero: Saviano ha un solo tema su cui pontificare a reti unificate e senza contraddittorio, e su quello è stato nominato “espertissimo” da una solido conglomerato di potere. Mediatico e politico. Un conglomerato che non disdegna affatto – come mostrato dalle riprese televisive alle “primarie” piddine proprio a Napoli o dalle esortazioni a comprare voti a forza di fritture di pesce – di mantenere buoni rapporti con pratiche e personaggio non esattamente estranei al demi monde che Saviano-Repubblica dicono di combattere.
Bolzoni, per rafforzare la sua zoppicante invettiva, mette sullo stesso piano le sparate savianee con il giornalismo di inchiesta di tanti bravi cronisti che rischiano tutti i giorni la pelle (l'elenco è fortunatamente molto più lungo di quello indicato nell'articolo).
E qui cade la maschera. Saviano non fa “giornalismo di inchiesta”. Non gira per le strade, non fa domande e soprattutto non le sopporta (il suo format è il monologo...). Fa un altro mestiere. Ha a che vedere con lo storytelling, con la traduzione “letteraria” di inchieste fatte da altri (polizie, soprattutto, come si può verificare nei ringraziamenti che aprono le pagine di Zero Zero Zero). Al massimo mette in prosa leggibile mattinali di questura, sentenze giudiziarie, sbobinature di intercettazioni, mandati di cattura, ecc.
Un mestiere, non un posto di combattimento.
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De Magistris e Saviano, il confine superato
Attilio Bolzoni
NON POTEVA dire nulla di più odioso, Luigi de Magistris. Lui, Roberto Saviano, che si arricchisce sulla pelle di Napoli. Lui che aspetta la “sparatina” o l’“ammazzatina“ per far lievitare il suo conto in banca. Sulla pelle di Napoli si arricchisce la borghesia camorrista, sulla pelle di Napoli si arricchiscono i pascià intoccabili del sottobosco amministrativo, politico e imprenditoriale che trafficano in tangenti e appalti, sulla pelle di Napoli si arricchiscono ruffiani e spacciatori e riciclatori.
Si arricchisce un'umanità disumana che arraffa ogni giorno tutto quello che può arraffare. Ma Luigi de Magistris, ex pubblico ministero di prima linea come si definisce lui, che non fa più il magistrato "per avere contrastato mafie e corruzioni sino ai vertici dello Stato", come sindaco di Napoli sta intraprendendo un duello che non potrà mai vincere se non nel piccolo cortile di casa sua. È una mossa che supera un confine che nessuno – soprattutto un ex "magistrato di prima linea" – dovrebbe mai oltrepassare. I confini contano. Sempre.
Non c'è soltanto un'eccitazione sopra le righe nelle parole contro Saviano – qui non sono importanti i dettagli o le posizioni e le opinioni sulla vera o presunta rinascita di una capitale meridionale, cruciale è la sostanza della sua dichiarazione di guerra – ma c'è anche un calcolo politico dove il sindaco sembra intravedere l'incasso di un profitto dall'attacco sferrato contro un italiano che continua a parlare e a scrivere di camorra e di quella Napoli. Inaccettabile per uno che è stato magistrato e che Napoli adesso la rappresenta, la guida, la sente come cosa sua e che non vuole scocciatori e osservatori critici fra i piedi.
La reazione di de Magistris è molto più grave di come potrebbe sembrare a prima vista, fatta solo d'istinto e passione. C'è di più, c'è qualcosa di più inquietante per noi che di queste faccende di mafie ci occupiamo da tanto tempo. C'è un capovolgimento, c'è un pericoloso deragliamento di de Magistris e una scelta di campo che cancella un passato che lui stesso altezzosamente rivendica e che subito dopo rimuove attraverso un linguaggio che non piace per niente. Somiglia troppo a quello di quei personaggi che attaccano da anni Saviano con le stesse frasi, le stesse insinuazioni, lo stesso tono subdolo che serve sostanzialmente per mettere al centro della questione lui e non quello che racconta. Il problema è Saviano o una certa Napoli?
Il sindaco de Magistris è scivolato o si è coscientemente e opportunisticamente gettato in questa trappola. Ne ricaverà forse vantaggio dalle sue parti con qualche titolone in queste ore, sicuramente ha fatto un passo che lo segnerà per il futuro. Troppo scaltro, troppo. E così scontato, così interessato che alla lunga il suo assalto contro Saviano – ne siamo convinti – gli si ritorcerà contro. Avrebbe potuto rispondergli garbatamente manifestando le sue perplessità, ricordandogli i cambiamenti positivi di Napoli durante la sua sindacatura, avrebbe potuto contestare le sue cronache fornendo spiegazioni.
Invece ha preferito colpirlo alle spalle con il più banale e insultante rimprovero. Non è stato al suo posto come sindaco. E nemmeno come ex magistrato "di prima linea". E neanche come cittadino. Ha usato argomenti che neppure i sindaci di Palermo del grande "sacco edilizio" o quelli che assistevano muti e sordi alle carneficine degli anni Ottanta avevano osato agitare così violentemente, contro giornalisti e scrittori del tempo che descrivevano una città losca e una realtà feroce.
Il sindaco di Napoli non gradisce più che si parli di quello, delle camorre, perché adesso a Napoli c'è lui. Se ne poteva parlare prima, ma ora non più. Come quegli altri sindaci o quegli altri potenti sparsi per l'Italia che non vogliono rompiballe nei dintorni. Un giorno è Lirio Abbate che raccoglie informazioni su Carminati e la banda di neri e di compagni e di verdi prezzolati che regna sul Campidoglio, un altro giorno è Giovanni Tizian che scopre i legami di Reggio (non Calabria, ma Emilia) con i boss della 'ndrangheta. Una volta tocca alla giovanissima Ester Castano che denuncia l'infiltrazione mafiosa nel tranquillo comunedi Sedriano (poi sciolto per mafia, primo comune in Lombardia), un'altra volta tocca a Paolo Borrometi che per avere descritto le vergogne di Scicli è isolato come un cane rognoso anche dai suoi colleghi.
Tutti, a turno. Roberto, Ester, Lirio, Paolo, Giovanni. Mentre quegli altri nei convegni continuano a riempirsi la bocca di giornalismo d'inchiesta. È bello il giornalismo d'inchiesta, vero sindaco de Magistris? Sì, ma lontano da casa propria.
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