Scrive Zizek, ieri sul Corriere della Sera: “Donald
Trump è un sintomo di Hillary Clinton, nel senso che l’incapacità del
partito democratico di svoltare a sinistra ha creato lo spazio occupato
da Trump”. E’ una verità generale, riproducibile negli Usa come in
Europa: l’affermazione delle forze populiste non è avvenuta “a scapito”
delle sinistre, ma per mano di queste, del loro fallimento, delle
macerie che hanno lasciato nella rappresentanza degli interessi
popolari. Il dilemma Donald Trump (dei Donald Trump di tutto il mondo,
da Le Pen a Grillo) si risolve non accanendosi contro il sintomo, ma
svelandone le cause.
Ancora Zizek: “Trump promette negli Usa quel
che nessuno, a sinistra, si sognerebbe di proporre: mille miliardi di
dollari di grandi lavori pubblici per aumentare l’impiego”. Ancora una verità generalizzabile: è il populismo che promette resistenza alla globalizzazione liberista.
Cosa promettono le sinistre, che Zizek limita a quelle “moderate” e
“liberali”, ma che noi estendiamo anche a gran parte di quelle radicali?
Promettono accomodamento progressista ai fenomeni globalizzanti:
dall’Unione europea all’abbattimento di ogni forma di frontiera, dal
dissolvimento degli Stati nazionali all’Erasmus per tutti.
Prosegue il
filosofo sloveno: “La sinistra liberale ufficiale è la migliore
esecutrice delle politiche di austerità, anche se conserva il suo
carattere progressista nelle nuove lotte sociali antirazziste e
antisessiste; dall’altra parte, la destra conservatrice, religiosa e
anti-immigrazione è l’unica forza politica a proporre ingenti
trasferimenti sociali e a sostenere seriamente i lavoratori […] Per fare
un minimo di politica di sinistra, per lo meno in un senso
tradizionale, bisogna essere nazionalisti di destra, e per perseguire le
politiche di austerità bisogna essere moderati di sinistra”. Il ghigno dell’élite intellettuale, giornalistica, politica, universitaria, che
bacchetta dai propri troni culturali quel popolo rozzo che escogita
false soluzioni di destra ai propri problemi sociali, talvolta
addirittura negati (“sono i contadini ricchi e bifolchi che hanno votato
per la Brexit”, “è il suprematista bianco che vota per
Trump”), non fa che rafforzare il giudizio (che non è un pre-giudizio,
ma un vero e proprio giudizio post-festum) di quel popolo sulla sinistra, intesa nel suo complesso. “Proprio
poiché la recente esplosione del populismo di destra è il sintomo del
fallimento della sinistra liberale odierna, il nostro compito non può
limitarsi a combattere Trump e Le Pen. Se lo facessimo, perseguiremmo
quella che in medicina si chiama “remissione sintomatica”: sei ammalato,
l’effetto è che provi dolore, prendi gli antidolorifici ma la malattia è
sempre lì. Le critiche a Trump non sono che cure sintomatiche: il vero
compito è analizzare che cosa non ha funzionato nella sinistra moderata e
liberale”. Troppo facile cavarsela con la condanna di quelle sinistre à la Pd.
Il problema è in noi, non fuori da noi. Sono le sequela di posizioni
falsamente progressiste prodotte in questi decenni: da un cosmopolitismo
di maniera in linea con la globalizzazione, alle proposte sociali che
aggiravano la contraddizione tra capitale e lavoro, da una
“controcultura” che si è trasformata in sotto-cultura e in vera e
propria anti-cultura per élite benestanti, all’assenza di prospettive
generali. “Abbiamo bisogno di superare l’ossessione della sinistra
per l’autorganizzazione locale e la relazione diretta con la base in
direzione di una più efficiente e ampia organizzazione a livello statale
e sovrastatale”. Serve una prospettiva generale, delle soluzioni
globali, una visione complessiva e unitaria del presente, che
disarticoli il localismo minoritario, l’ideologia del “quartierismo”
entro cui vengono percepiti i problemi del mondo e da cui se ne pensano
incredibili soluzioni.
Zizek è quanto di più lontano possa esserci dal nostro pensiero. Non a
caso le soluzioni che prospetta alla fine di questo ragionamento
ribadiscono i motivi della reciproca differenza, ricadono in quel
velleitarismo progressista in fin dei conti innocuo perché
incomprensibile alle masse. Per anni è stato uno dei pensatori più
citati da certo pensiero radical. Forse proprio per questo,
certe sue riflessioni possono raggiungere più profondità nel dibattito
nella sinistra radicale. O forse no, ritrovandosi relegato tra il
pensiero rossobruno e quello sovranista entro cui si suole confinare
ogni forma di pensiero non in linea coi dettami del progressismo radical.
Eppure la riflessione sul populismo non potrà limitarsi alla denuncia
della sinistra liberal. Dovrà, prima o poi, fare i conti con la nostra
sinistra, che condivide parte del problema della nascita di questo
fenomeno politico.
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