di Michele Giorgio
Si è aperta con il botto
la registrazione delle candidature alle elezioni presidenziali del 19
maggio in Iran. Contro la posizione espressa pubblicamente dalla Guida
suprema Ali Khamenei, l’ex presidente e falco della politica iraniana, Mahmoud
Ahmadinejad ha aggiunto ieri il suo nome a quello degli altri 197
candidati, tra i quali otto donne, che si erano già iscritti.
Il clamore è stato enorme. Solo la settimana scorsa, Ahmadinejad aveva
detto di non aver «alcun piano per presentarmi ma sostenere (il suo ex
vice presidente) Hamid Baghaie come il miglior candidato».
Tra lo sbigottimento dei presenti ieri ha detto di sentirsi
ancora vincolato alla promessa fatta a Khamenei – che considerava una
sua candidatura «polarizzante» sulla nazione – precisando però che il
consiglio della Guida suprema non era un divieto. «Ripeto che
sono impegnato con la mia promessa morale e la mia presenza e
registrazione è solo per sostenere mio fratello Baghaie», ha aggiunto.
La candidatura di Ahmadinejad come quelle degli altri sfidanti del
presidente uscente Hassan Rohani, deve ottenere il via
libera dal Consiglio dei Guardiani – che il 27 aprile annuncerà la lista
dei nomi “approvati” – sulla cui decisione potrebbe pesare il parere di
Khamenei.
Si ragiona ora sui retroscena della mossa dell’ex presidente.
Secondo alcuni avrebbe preso la sua improvvisa decisione dopo il
bombardamento americano della Siria che lascia presagire un ulteriore
irrigidimento nei confronti dell’Iran, alleato di Damasco, da parte
dell’Amministrazione Trump. Il presidente Usa si è sempre
proclamato contro l’accordo internazionale del 2015 sul programma
nucleare iraniano sul quale ha costruito gran parte delle fortune
politiche il moderato Rohani. Le cose però non stanno andando per il
verso auspicato dal presidente.
Il regime di sanzioni che ha schiacciato per anni l’economia iraniana
è ufficialmente finito ma non c’è stata quella corsa dell’Occidente ad
investire in Iran e l’apertura definitiva a Tehran che si attendevano
Rohani e i suoi sostenitori. Pesa sempre la disoccupazione (12%)
e una crescita limitata anche a causa dei prezzi bassi sul mercato
internazionale del petrolio, di cui l’Iran è uno dei maggiori
produttori.
Ieri alcuni dei quotidiani che appoggiano Rohani, come Aftabe-e Yazd, Arman e Etemad,
si affannavano a spiegare che il presidente non aveva mai promesso,
come affermano i suoi avversari, di risolvere nei primi mesi del suo
mandato tutti i problemi economici del Paese. Rohani resta
avanti nelle preferenze degli elettori ma il suo vantaggio cala anche
per le dichiarazioni bellicose di Trump che alla popolazione iraniana
fanno temere nel migliore dei casi il ritorno delle sanzioni economiche e
nel peggiore una guerra. Timori non eccessivi ad ascoltare i
rappresentanti della Amministrazione Usa.
«L’Iran sta gettando del carburante sul fuoco della guerra (in
Siria), in modo che possa ampliare il proprio raggio d’azione», ha
proclamato ieri l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, durante
la riunione del Consiglio di Sicurezza chiedendo uno sforzo collettivo
per «fermare tali dinamiche».
Ahmadinejad forse pensa, con la sua candidatura, di ridare forza al
campo conservatore nell’attacco alla linea moderata di Rohani, in casa e
in politica estera. Tuttavia ieri a lanciargli pesanti accuse e
invettive sono stati proprio i conservatori, per alcuni dei quali
violare il consiglio del leader supremo è un oltraggio. «Con
l’iniziativa odierna, la mia fede in te è rotta» ha scritto sui social,
Mehdi Koochakzadeh, ex parlamentare, a suo tempo leale ad Ahmadinejad.
«È la fine di Ahmadinejad», ha proclamato da parte sua con un tweet
Elyas Naderan, un’altro ex fedelissimo.
I conservatori con grande fatica cercano di unirsi intorno ad
un unico candidato e sabato hanno tenuto un raduno di massa durante il
quale hanno indicato una rosa di cinque nomi, che sarà ridotta a uno
prima del voto. Il preferito è Ebrahim Raisi,
un giudice che attualmente dirige “Imam Reza”, una potente fondazione di
beneficenza nella città santa di Mashhad. Dietro di lui c’è il sindaco
di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf, alla sua terza
candidatura per la presidenza. Ahmadinejad con la sua candidatura
rischia di scompaginare ulteriormente il fronte della linea dura. E così circola una teoria che non sembra fantapolitica.
Ahmadinejad si sarebbe candidato non contro ma proprio su
sollecitazione di Khamenei intenzionato a dare una mano alla rielezione
che si è fatta più incerta di Rohani spaccando ulteriormente lo
schieramento conservatore.
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