I commentatori russi non nascondono un discreto ottimismo, dopo i colloqui di ieri pomeriggio tra il Ministro degli esteri Sergej Lavrov e il Segretario di stato USA Rex Tillerson. Il presidente della Commissione difesa del Senato, Viktor Ozerov ha dichiarato che il principale risultato dell'incontro sarebbe quello dell'inizio di un dialogo su larga scala. Ozerov nota che il successivo colloquio tra Vladimir Putin e l'ospite americano (inizialmente escluso) testimonierebbe del fatto che “Lavrov e Tillerson avrebbero trovato punti di contatto, altrimenti l'incontro con Putin non sarebbe avvenuto”. Ciononostante, ha detto Ozerov, è impossibile attendersi progressi sostanziali da un singolo incontro: così come è inverosimile che anche Washington, nonostante l'entusiasmo di Donald Trump per la missione moscovita del Segretario di Stato, si attendesse una diversa riposta, da parte russa, al tentativo di far passare in sede ONU una proposta di condanna del governo siriano sull'incidente di Idlib “senza nessuna ispezione” da parte di una commissione internazionale.
Ad ogni modo, se è tutt'altro che archiviato l'argomento Siria, all'ordine del giorno sono però gli aperti propositi bellicosi USA nei confronti della Corea del Nord. Quasi dando per scontata l'aggressione contro Pyongyang, Donald Trump avrebbe promesso a Seoul e Tokyo di darne loro preventiva informazione, “comprendendo i rischi” cui Giappone e Corea del Sud potrebbero andare incontro per l'eventuale risposta nordcoreana. In un colloquio telefonico, Trump avrebbe informato il primo ministro giapponese Shinzo Abe dell'intenzione di varare nuove sanzioni contro la Cina, se questa non eserciterà più forti pressioni affinché Pyongyang receda dai propri programmi missilistici. Il pretesto (se ne trovano sempre, basta inventarseli) per l'azione di forza yankee sarebbe, a detta di Washington, un previsto nuovo test nucleare nordcoreano.
Nemmeno a farlo apposta, secondo la Reuters, Pyongyang avrebbe annunciato ai circa 200 giornalisti stranieri presenti nel paese di prepararsi a un “grande e importante avvenimento”, presumibilmente in occasione del 105° anniversario della nascita del fondatore della RDPC, Kim Il Sung, il 15 aprile. La Yonhap (ma la notizia non è confermata) scriveva ieri che circa 600.000 abitanti di Pyongyang sarebbero stati allontanati dalla città: l'agenzia sudcoreana ipotizza che i rifugi antiaerei non siano in grado di accogliere l'intera popolazione della capitale della RDPC.
Sembra che, nelle ultime ore, alla squadra navale USA già in prossimità delle coste coreane, stiano per congiungersi altri due vascelli (per il momento, non se ne conosce la classe), che hanno lasciato il porto californiano di San Diego. E, nota tvzvezda.ru, se Tillerson ha parlato a Mosca di “denuclearizzazione della penisola coreana” – in un colloquio telefonico con Trump, Xi Jinping si sarebbe detto d'accordo su tale obiettivo – un sommergibile atomico della classe “Ohio”, armato con 154 “Tomahawk”, si sta però dirigendo nel bacino marittimo prospiciente la penisola. Life.ru, con riferimento a un servizio di The Sun, scrive inoltre che contemporaneamente al dispiegamento anticipato, agli inizi di marzo, del sistema THAAD in Corea del Sud, vi sarebbe stato trasferito anche il sesto reparto dei “Navy seals”, lo stesso che nel 2011 assassinò Osama Bin Laden: è noto che, tra le opzioni “di pacificazione” del Pentagono, c'è anche quella della eliminazione fisica di Kim Jong Un e dei principali leader nordcoreani.
La RDPC si dice comunque pronta a sostenere qualsiasi tipo di azione bellica americana e dopo l'attacco missilistico alla Siria, scrivono le Izvestija, “nessuno può escludere un colpo militare USA anche contro la Corea del Nord”. Era stato proprio Tillerson, un mese fa, a ipotizzare un'azione militare, se Pyongyang non avesse “cessato le sue provocazioni”, con il che a Washington si intendono i test missilistici, che la Corea del Nord ha sempre ribadito costituire l'unica via di autodifesa contro le intenzioni aggressive USA. Anzi, dopo il bombardamento siriano, la RDPC si è detta ancora più convinta della necessità di difendersi dai “metodi bellici unilaterali” di Trump. Tra l'altro, non sembra che qualcuno abbia ancora definito “provocazioni” i test sudcoreani di missili balistici a medio raggio. Di più: il fatto, notano le Izvestija, che nessun accenno a una funzione di “intermediazione” cinese fosse stato comunicato al termine dell'incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, sabato scorso, indica che nessuna intesa sia stata raggiunta, a proposito della richiesta USA affinché Pechino eserciti pressioni su Pyongyang.
Ad oggi, stando a notizie pubblicate (ma non verificate) da novostikartinaday.mirtesen.ru, sommergibili nordcoreani sarebbero in navigazione nelle acque del Pacifico, mentre al largo delle coste californiane sarebbero in volo a bassa quota velivoli USA di sorveglianza elettronica “EP-3E Aries II”, “P-3C Orion” di rilevamento subacqueo e “Boeing P-8 Poseidon”, di attacco antisom.
Aleksandr Rogers scrive su news-front.info che non è il caso di sostenere che quello nordcoreano sia l'esercito più potente del continente – “queste parole lasciamole a Petro Porošenko e all'esercito ucraino”, scrive ironicamente Rogers – ma di sicuro i coreani sono tra i più risoluti combattenti al mondo.
Quanto alle potenzialità tecniche, Pyongyang dispone di alcune migliaia di pezzi di artiglieria e altrettanti di contraerea, oltre al sistema missilistico a corto e medio raggio, perfettamente in grado di colpire le basi yankee in Corea del Sud e Giappone e arrecare non pochi danni a VII e III flotte USA. Un grafico pubblicato dalle Izvestija mostra il potenziale nordcoreano: i missili a corto raggio “Huason-5” coprono un raggio di 350 km, cioè ben oltre la metà del territorio sudcoreano; i “Nodon” coprono 1.500 km, cioè praticamente tutte le basi USA anche in territorio giapponese; per colpire Seoul, è sufficiente invece la portata delle artiglierie nordcoreane. Di contro, i nuovi missili sudcoreani (portata: 800 km) raggiungono l'intero territorio della RDPC e alcune province cinesi confinanti.
In generale, conclude Rogers, se i coreani sono come un ghiottone, gli americani sono come un cane rabbioso, cui è indifferente contro chi avventarsi: Iran, Siria, Corea, Russia o qualcun altro. Non a caso il loro Segretario di stato si chiama Rex e il capo del Pentagono porta il soprannome di «Mad Dog»”. Sarebbe tempo che qualcuno mettesse loro la museruola.
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