di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il commento di Benyamin
Netanyahu è stato immediato. «Israele condanna con forza l’uso di armi
chimiche contro civili innocenti in Siria... Sono sconvolto e indignato. Ci
appelliamo al mondo per tenere le armi chimiche fuori dalla Siria», ha
detto il premier israeliano mentre su Damasco piovevano le critiche per
il presunto bombardamento con armi chimiche nella provincia di Idlib,
attribuito dall’opposizione alle forze governative siriane, in cui
sarebbero morti decine di civili.
Il ministro dell’istruzione israeliano, Naftali Bennett, ha chiesto
una riunione del gabinetto di sicurezza per discutere di contromisure al
(presunto) possesso di armi chimiche da parte di Damasco e le
ramificazioni per la sicurezza di Israele.
La Siria si è disfatta del suo arsenale chimico nel 2014,
sulla base di una risoluzione delle Nazioni Unite e di un’intesa con la
Russia che evitò all’ultimo istante un attacco militare americano. La
distruzione dei depositi siriani fu supervisionata internazionalmente. Per Israele invece Damasco terrebbe nascosta una parte di quelle sostanze chimiche, a scopo bellico.
Comunque stiano le cose, il governo Netanyahu intende
sfruttare l’occasione per mettere sotto pressione Damasco, soprattutto
ora che Assad pare intenzionato a rispondere ai raid aerei israeliani
che la Siria subisce da anni, come ha dimostrato il mese scorso
ordinando alla contraerea di entrare in azione. A Tel Aviv inoltre non è
piaciuta la linea espressa dall’amministrazione Trump, e ribadita anche
ieri, contraria ad un cambio di regime in Siria.
Israele vuole la caduta di Bashar Assad, anche se ciò dovesse
far precipitare la Siria nel caos e in una spartizione del paese tra
formazioni armate jihadiste e qaediste. Sostiene che il presidente
siriano sia ormai legato a doppio filo all’Iran e troppo
dipendente dall’assistenza militare che riceve dal movimento sciita
libanese Hezbollah, alleato di Tehran. In sostanza, sempre secondo
Israele, Damasco sarebbe pronta ad aprire tutto il suo territorio agli
scopi militari dell’Iran, in particolare il sud del paese lungo
le linee armistiziali sul Golan occupato. E, aggiunge, si preparerebbe a
permettere a Tehran la costruzione di una base navale sulla costa
mediterranea.
Vero o falso che sia parla dell’esistenza di una “mezzaluna
iraniana”. Appena qualche giorno fa, Chagai Tzuriel, direttore generale
del ministero dell’intelligence di Israele, ha spiegato che «se
l’Iran rimarrà in Siria, allora sarà una costante fonte di attrito e
tensione con la maggioranza sunnita, con i paesi sunniti al di fuori
della Siria, con le minoranze sunnite fuori della regione, e con
Israele». Secondo Tzuriel, Tehran intenderebbe creare una sorta
di “ponte di terra sciita” che passando per l’Iraq, la Siria e il
Libano arrivi fino al Mediterraneo, in modo da tenere la costa
israeliana sotto il tiro della sua marina militare.
È evidente che al governo Netanyahu cominci a stare stretta la “linea
verde”, il coordinamento con Mosca che sino ad oggi ha evitato scontri
tra le forze aeree dei due paesi quando l’aviazione israeliana lancia i
suoi raid in territorio siriano contro presunti convogli di armi
destinati a Hezbollah. Il movimento sciita, riferiscono fonti
libanesi, avrebbe adottato delle contromisure costruendo in Siria
gallerie sotterranee, tra la zona del Qalamoun e quella meridionale,
dove custodire missili a medio raggio in grado di colpire ogni punto di
Israele.
Guerra che si avverte sempre di più nell’aria e molte scintille potrebbero innescarla. Una di queste è il
possibile desiderio di Israele di imporre nel Mediterraneo orientale la
sua sovranità su una zona marittima contesa rivendicata anche dal
Libano. Zona che si ritiene ricca di petrolio e gas. Nabih
Berri, presidente sciita del Parlamento libanese, ha avvertito che il
passo fatto da Israele «equivale a una dichiarazione di guerra».
La disputa va avanti da anni ma le intenzioni di Israele in quel
tratto di mare e la recente costruzione da parte di Beirut di cinque
piattaforme (tre delle quali nella zona contesa) per l’esplorazione
petrolifera, hanno fatto immediatamente salire la tensione. Hezbollah ha
più volte ammonito Israele dall’approvare una legge di annessione della
zona marittima contesa simile a quella che più di 30 anni fa dichiarò
il Golan siriano parte del territorio israeliano.
La superiorità militare di Israele è fuori di dubbio ma
Hezbollah possiede missili anti-nave Nour, una versione iraniana dei
cinesi C-802, e potrebbe essere in possesso anche dei missili russi
Yakhont, tra i più avanzati al mondo, in grado di colpire le
installazioni petrolifere israeliane. Tel Aviv ha risposto raddoppiando
il numero di batterie antimissile Iron Dome che saranno montate su
quattro nuove corvette che entreranno in servizio nel 2019.
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