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05/04/2017

Russia. Vittime senza solidarietà, miserie dell’empatia

E’ difficile non rimanere colpiti dalla totale assenza di solidarietà ed empatia verso le vittime dell’attentato terroristico nella metropolitana di San Pietroburgo.

Dopo mesi di identificazione con le vittime degli attentati in Francia, Gran Bretagna, Germania e prima ancora negli Stati Uniti, (je suis..., siamo tutti newyorkesi etc etc.) il mercato dell’empatia sembra improvvisamente interrompersi quando a morire sono cittadini innocenti di paesi al di fuori della cerchia ristretta di quelli occidentali. E’ superfluo rammentare la totale disumanizzazione delle vittime in Medio Oriente, in Iraq, Siria, Palestina oppure quella contabilità con cui si indicano solo se e quante vittime europee ci sono in una strage o una tragedia come lo tsunami in Asia o un incidente ferroviario in India.

Nel caso della Russia però i veicolatori dell’empatia sono recidivi. Pochi ricordano che prima dell’11 settembre 2001, in Russia – a Mosca e Volgodonsk alla fine del 1999 – alcuni palazzi di case popolari furono oggetto di sanguinosi attentati degli jihadisti ceceni, con centinaia di morti tra gli abitanti degli edifici (263). Eppure anche in quel caso non si raggiunse neanche un milionesimo del processo empatico dell’attentato alle Torri Gemelle.

In questa occasione, diversamente che in altre, ad esempio non è stata accesa la Porta di Brandeburgo a Berlino. Quello di illuminare la Porta dopo i maggiori atti di terrorismo, era diventato una scelta distintiva ed enfatizzata dai media, un simbolo di solidarietà ai paesi colpiti e una risposta contro la paura. L'ultima volta la Porta di Brandeburgo era stata illuminata con i colori dell'Union Jack, dopo l'attacco a Londra. Prima ancora, le luci erano state accese dopo gli attentati di Parigi, Bruxelles, Istanbul. Ma per i morti di San Pietroburgo la Porta è rimasta spenta.

Di fronte al recente attentato nella metropolitana di San Pietroburgo, la stragrande maggioranza dei commentatori (su giornali e telegiornali) ha dato stura ad un cinismo senza limiti e senza vergogna. “Nel regime mediatico unificato le motivazioni suggerite erano: Putin se l’è cercata, così impara a bombardare in giro per il mondo; Putin non ha il controllo del territorio e delle sue principali città, segno di debolezza; Putin è l’artefice diretto dell’attentato per sviare l’attenzione dalle proteste liberali della scorsa settimana. Poco da piangere le vittime di San Pietroburgo, il problema è Putin, quindi affari suoi” scrive il blog di Militant raccogliendo i commenti che abbiamo letto o sentito in questi giorni.

Il segretario del Partito Comunista della Federazione Russa, Zuganov ha avanzato una sua chiave di lettura dell’attentato a San Pietroburgo: “Richiamo la vostra attenzione sul fatto che l'attacco terroristico è stato effettuato nella città in cui si incontravano i dirigenti di Russia e Bielorussia, per discutere di questioni importanti. A San Pietroburgo era stato appena ospitato il forum dei giornalisti provenienti da tutto il paese, che ha esaminato i problemi più attuali. Sorprendentemente, l'attacco terroristico è stato sferrato proprio nello stesso momento in cui gli studenti terminavano la giornata scolastica. Tutto ciò, a mio avviso, indica che l'attentato è stato ben pianificato ed elaborato dai criminali, che contiene un evidente carattere simbolico” e che “occorre guardare a questo evento sotto tutti i profili”.

In questi anni di menzogne e manipolazioni di guerra, è amaro constatare come l’esistenza di un doppio standard dell’empatia e dell’umanizzazione delle vittime sia diventato strumento di consenso e funzionalità degli apparati. La civiltà liberale occidentale continua a rivendicare a se stessa il massimo della universalità e dell’emancipazione umana. Sono in troppi a omettere che mentre i liberali pontificavano sui diritti dell’uomo per i propri cittadini convivevano allegramente con lo schiavismo nelle colonie.

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