La strage di San Pietroburgo non aggiunge nulla di nuovo a quel che sapevamo
del modus operandi del terrorismo Jihadista: tutto come da copione dei
casi di Madrid, Londra eccetera. Il che rende ancora più strana la
strage londinese che ha “sprecato” (consentitemi l’espressione) uno
scenario come Westminster per un attentato a così basso potenziale
terroristico, mentre da altra parte il terrorismo jihadista esprime una
aggressività ben maggiore. Tutto può essere, ma l’attentato londinese
sembra più opera di un personaggio isolato (o, al massimo, collegato a
pochi complici) e non in contatto con l’Isis o simili, mentre qui, nel
caso russo, siamo perfettamente nell’ambito della strage jihadista.
Comunque sia, questa strage segna il ritorno del terrorismo radicale
islamico in grande stile, dopo circa un anno di relativo calo del
fenomeno.
Come è fisiologico, anche in questo caso non tutto è chiaro:
la polizia parla di ordigno rudimentale, ma questo non pare, dato che è
stato fatto esplodere a distanza, ha avuto un potenziale non proprio
basso e per di più è stato compiuto in un paese dove entrare non è
semplicissimo, dove i controlli di polizia sono stringenti ed i servizi
segreti hanno un notevole livello di efficienza.
Anzi proprio questo qualche dubbio lo fa nascere: in rete c’è la foto
del presunto attentatore, chiaramente di origine centro asiatica, con
il suo bravo berretto che lo identifica come tale, barba folta senza
baffi (che fa pensare ad un salafita) e pastrano lungo chiuso. Manca
solo che porti un cartello: “Porto bombe”. Come abbia fatto a passare
inosservato un personaggio così in una città della Russia settentrionale
(altra cosa sarebbe stata se fosse accaduta a Saratov oppure Orenburg
dove il tipo è assai più comune) e senza un controllo di polizia?
Per di più in una giornata resa particolare dalla presenza in città
del Presidente per l’incontro con un altro Capo di Stato. Altra
stranezza è la rivendicazione dell’Isis che tarda a venire.
Certo: cose che possono accadere (il che, peraltro, dimostra che
frontiere chiuse, rete di controlli di polizia, servizi segreti occhiuti
possono rendere più difficile un’azione terroristica ma non impedirla
in assoluto e, se uno vuol fare una strage, la fa) ed un certo tasso di
stranezze e cose non spiegate è fisiologico nei casi di terrorismo.
Tuttavia, siamo sicuri al 100% che si tratti di un attentato jihadista?
Certo, quella del radicalismo islamico resta la pista più seria e
probabile, ma non è detto che sia l’unica da prendere in considerazione:
a trarre giovamento dall’episodio saranno in diversi, da quei settori
di intelligence americana che non sono in linea con il Presidente
fautore della distensione con Mosca, agli stessi servizi russi che
traggono giovamento nella repressione del dissenso interno ed in un
momento non proprio tranquillo. O forse oppositori di Putin nella
nomenklatura. Ormai siamo in un mondo in cui, più che della ricerca
degli stragisti, conta occuparsi delle conseguenze politiche di un gesto
di questo tipo, che possono coinvolgere anche soggetti molto distanti
dall’area di probabile provenienza del colpo. Per il resto, qualunque
attentato ha già un colpevole bello pronto: lo jihadista della porta
accanto e questo invoglia anche altri a mettersi sulla scia.
Quello che balza agli occhi è quanto sia pericoloso il perdurare di
questa situazione. Ormai ci stiamo abituando (da un quindicennio) alla
strage periodica degli jihadista: un po’ di indignazione, lutto, solite
storie di vita delle vittime, deprecazione dei maledetti islamici e poi
tutto torna come prima, in attesa della prossima strage, in quella che
ormai sembra una nuova “normalità”.
Non è così: questa cronicizzazione del terrorismo porta con sé ulteriori degenerazioni e pericoli molto peggiori.
E mi pare che sia il caso di interrogarci sulla reale efficacia del
contrasto allo jihadismo operato in questi anni: se dopo 16 anni dalle
due Torri siamo ancora a questo punto, anche se non sono mancati colpi
molto duri al nemico, come la morte di Bin Ladin, qualcosa non ha
funzionato.
La verità, insisto sino alla noia su questo punto, è che è
mancato il contrasto politico al radicalismo islamico. La guerra con il
terrorismo non si vince solo sul piano del contrasto militare e di
polizia, anche se entrambe le cose sono necessarie.
Ad esempio, qualcuno vuole spiegarci come fa l’Isis, dopo tre anni, a
fornirsi di armi e munizioni che non si capisce per quali strade
passino? E cosa sappiamo delle reti europee della jihad? Mai si sono
spese tante risorse di intelligence (sia di uomini che di denaro,
apparecchiature ecc.) per combattere un fenomeno terroristico e mai i
risultati sono stati così deludenti, Qualcosa vorrà dire.
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