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10/05/2017

Boschi-Etruria e la fogna in cui sguazza la politichetta italica

La politica italiana di questi giorni è scaduta a livelli mai visti. E dire che ne abbiamo viste davvero tante...

Una serie di “scandali” sembrano originare da informazioni riservate, rilevabili solo da organismi autorizzati ad intercettare chiunque – anche in proprio, senza autorizzazione della magistratura – ma fornite ad una parte politica per azzoppare gli avversari; oppure da avversari interni allo stesso partito. E’ il caso dei “fondi Addiopizzo”, su cui circola un audio “rubato” nel 2016, in cui un membro dello staff del Movimento Cinque Stelle palermitano accusa il candidato Ugo Forello – avvocato e attuale candidato sindaco del M5S – di aver messo in piedi un “circuito meraviglioso” in cui “si convincono gli imprenditori a denunciare, si portano in questura e gli avvocati diventano automaticamente uno tra Forello e Salvatore Caradonna”. Chiunque dei due ottenga l’incarico, l’altro viene nominato da Addio pizzo (un’associazione antiracket) come difensore di parte civile. In pratica, i due avrebbero costituito un mini-racket monopolizzando per via politica il piccolo ma remunerativo “mercato” degli imprenditori insidiati dalla mafia. Non proprio il massimo, in vista delle elezioni comunali...

Di genere appena diverso, ma diventato quasi “normale” nel corso dei decenni, è invece la messa in stato d’accusa davanti al Csm (Consiglio superiore della magistratura) del pm napoletano Henry John Woodcock – titolare dell’inchiesta su Romeo e la Consip, che ha coinvolto anche Tiziano Renzi, padre di cotanto figlio – per un’intervista in realtà mai data. Woodcock, infatti viene imputato per frasi dette parlando con altri magistrati e da qualcuno di questi riferite alla stampa. Coincidenza vuole, però, che il procedimento sia stato aperto dal procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, uno dei trenta magistrati “salvati” dalla pensione grazie ad un decreto del governo Renzi. Una voce non certo “di sinistra” come quella di Pier Camillo Davigo – in quel momento presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex pm di “Mani pulite” – si alzò per dire che “questo governo vuole scegliersi i giudici”. Era accaduto anche ai tempi di Berlusconi e tutti avevano annuito...

Del resto, che al governo si facciano affari privati invece che pubblici – o addirittura contro gli interessi pubblici – non è una novità sconvolgente. Solo infame. Un esempio? L’inchiesta che ha portato in carcere Guido Fanelli, primario dell’ospedale di Parma, estensore della legge del 2010 che regola l’applicazione delle terapie del dolore. Un medico di grande livello, ben dentro il livello politico, tanto da essere chiamato a scrivere leggi, esprimere pareri decisivi nella promozione o bocciatura di un farmaco. Funzione importante e doverosa, se fosse fatta secondo scienza e coscienza. Purtroppo Fanelli – e dalle intercettazioni appare assolutamente consapevole di “muovere milioni” – preferiva farsi pagare dalle case farmaceutiche ogni giudizio, arrivando persino ad utilizzare i pazienti dell’ospedale come cavie inconsapevoli per testare i farmaci. "L’accordo lo facciamo io e te, facciamo come dici tu un carotaggio su 15/20 malate, le osserviamo, vediamo come va, pubblichiamo – nel senso che la cosa che interessa è che una volta quando abbiamo finito il carotaggio, facciamo un report ad uso interno”. O più rapidamente: “Facciamo noi lo studio di validazione (del farmaco, ndr), tanto i più forti siamo noi (...), venga da noi che le faccio vendere quella roba lì”. Scientifico, vero? Come corrotto, certamente...

Avete voglia di respirare aria pura? Beh, la notizia più normale viene da un maestro del giornalismo economico come Ferruccio De Bortoli, per 12 anni direttore del Corriere della Sera, per cinque anche de IlSole24Ore. Sta per uscire un suo libro – Poteri forti (o quasi) – in cui ad un certo punto, quasi distrattamente scrive: “L’allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’amministratore delegato di Unicredit. Maria Elena Boschi chiese quindi a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all’amministratore delegato di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere”.

E’ il momento in cui il caso della banca di papà Boschi (era il vicepresidente, non un impiegatuccio) sta per esplodere, con la richiesta della Banca d’Italia di commissariarla. Non che in Italia manchino i modi, alla classe politica, di trovare soluzioni alle crisi bancarie, ma la procedura istituzionale è ormai codificata, come ricorda l’ottimo Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano: “Nei momenti di difficoltà di una banca è normale che i vertici del sistema, cioè il governo e la Banca d’Italia, chiedano riservatamente a un istituto più grande e più sano di intervenire per salvare la banca in crisi. Lo fanno di regola (non sempre) seguendo uno specifico galateo istituzionale. Le moral suasion emergenziali vengono fatte, con formale delicatezza, dal ministro dell’Economia e dal governatore della Banca d’Italia. Nei casi più drammatici scende in campo il presidente del Consiglio. Nei casi tragici può scendere in campo, in modo riservatissimo, anche il Quirinale. Non è un mistero che seguendo questo specifico cerimoniale il governo ha cercato a lungo e invano di convincere Intesa Sanpaolo a intervenire sul Monte dei Paschi”.

Tutt’altra cosa, ovviamente, è una figlia ministro che intercede per la banca di papà... Anche nel capitalismo più sfrenato, infatti, si cerca di stabilire un confine ai conflitti di interesse.

Per la cronaca, Maria Elena Boschi ha annunciato querela contro De Bortoli. Federico Ghizzoni tace (è prassi, per un banchiere). Voi a chi credereste?

Il fotomotaggio è di Dagospia

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