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02/09/2017

Napoli o Napolilandia? Solo la monnezza ci salverà. Il turismo come problema


Alcune ricerche sul campo stanno traducendo in dati il processo che già da tempo denunciavamo. La città del turismo si sta mangiando quel che resta della città dell’abitare, almeno nei quartieri storici. Colpisce però la velocità e la violenza con cui avviene.

Grazie al software di un ricercatore canadese che permette di indagare airbnb, solo su questa piattaforma a marzo scorso sono state censite 4600 offerte di locazione turistica, non un record (l’Italia è in generale il terzo cliente mondiale di airbnb...) ma quasi tutte concentrate nel centro storico, più o meno intorno all’area individuata dall’Unesco! Di queste ormai le statistiche generali ci dicono che solo il 5% è davvero airbnb, il 30% è b&b mentre invece addirittura i due terzi sono “case vacanza”, interi appartamenti affittati allo scopo e sottratti al mercato ordinario delle locazioni per gli abitanti. Che infatti sta schizzando sempre più verso l’alto. Un esempio clamoroso l’intero palazzo di proprietà della famiglia dell’ex assessore regionale Severino Nappi, dove tutte gli abitanti storici (già costretti alla locazione in nero...) sono stati sgomberati per affidarlo ad un agenzia per “case vacanza” ai turisti. Ai numeri di airbnb vanno sommati appunto gli immobili gestiti da agenzie come “Napoli Boundless” e i dati imponenti del “turismo religioso”: con una piccola ricerca su google non è stato difficile trovare decine di palazzi dei preti destinati a questo scopo, del resto si tratta, come sappiamo, del primo patrimonio immobiliare della città e a Roma rappresenta addirittura il 30% dell’offerta alberghiera...

Sullo sfondo per tutti la prospettiva di rendite esponenziali e quasi tutte esentasse, vuoi abusando della normativa sul B&B con la collaborazione delle agenzie, vuoi per la mancanza e la difficoltà dei controlli (con cui si può verificare la presenza del momento ma le piattaforme non restituiscono dati su guadagni annuali), vuoi, nel caso dei preti, utilizzando i sotterfugi del decreto Monti sugli immobili ecclesiastici per non essere qualificati come uso commerciale.

I dati recuperati da airbnb parlano di un incremento impressionante nel centro di Napoli negli ultimi due-tre anni e dell’avvio di un nuovo processo di concentrazione. Del resto anche le statistiche nazionali rivelano come in ogni città sono in pochissimi a fare introiti milionari mentre la distribuzione di qualche migliaia di euro a una piattaforma larga di proprietari o gestori crea quella base di consenso e di “corruzione culturale” che rende molto difficile calmierare o controllare il processo.

Al solito chi cerca di raccogliere qualche briciola dalla situazione non ha la percezione che nella deregulation la forbice della ricchezza sociale tende inesorabilmente ad allargarsi: chi ha i capitali un po' alla volta occupa gran parte dello spazio e delle risorse. Ma questa ambiguità (e la convenienza per gli utenti rispetto all’offerta alberghiera) ha fatto si che in una città come San Francisco il referendum per limitare il fenomeno è uscito, seppur di poco, sconfitto. Se guardiamo anche al dibattito di Barcellona e altre grandi città è evidente che parliamo di una questione internazionale, in crescita in tutte le grandi città occidentali da quasi due decenni. Ma nelle città come Napoli il processo può rivelarsi particolarmente violento ancorchè mediaticamente occultato. Sono le città che in questo momento storico rischiano di diventare delle monocolture, perchè non hanno altri vettori di sviluppo e la crescita degli affitti e del costo della vita, il ridislocarsi delle altre attività per fare spazio all’economia turistica della gastronomia e del consumo, spinge con maggiore velocità gli abitanti, non proprietari di appartamento, ad allontanarsi verso la periferia. La presenza nei quartieri storici napoletani di molti palazzi semivuoti e da riqualificare, fuori perciò dalla portata economica di famiglie e ceti popolari, non fa che alimentare questa tendenza e questa tentazione.

Evidenti gli impatti negativi sul diritto all’abitare. Rischia così di svanire o di ridursi ad attrazione esotica quella diversità sociale, che pur in presenza di un processo di espulsione dei proletari dai quartieri storici avviato dopo il terremoto del 1980, continuava a mostrarci Napoli come una delle pochissime città europee il cui centro non fosse musealizzato, escludente e destinato al puro consumo: basta vedere quel che sta succedendo nei Quartieri Spagnoli nelle prime due-tre parallele di via Toledo e gli investimenti di capitali legali e illegali che stanno arrivando in tal senso. Al confronto impallidisce la vecchia speculazione immobiliare su studenti e immigrati.

E’ una specie di “corsa all’oro”: da un dato qualitativo raccolto empiricamente su alcune decine di appartamenti che si affittano, il proprietario spiega che il 60-70% di quelli che vengono a visitarli vogliono locarli o addirittura comprarli per destinarli a pseudo B&B o case vacanza.

Su questo fronte francamente l’Amministrazione Comunale mi pare immobile anche perchè strumentale o succube verso le retoriche mediatiche del turismo.
Eppure abbiamo già fatto i conti negli anni ’90 con i discorsi sul Rinascimento-vetrina: la retorica Bassoliniana sulla “civilizzazione” traduceva in realtà l’assenza di una prospettiva per i ceti subalterni nell’aspirazione (irrealizzata) di post-fordizzazione della città. Tutto rischia oggi di riproporsi su un binario ancora più stretto e politicamente meno consapevole, nel vortice ingestito e vorace di un economia turistica per altro notoriamente poco redistributiva, dispensatrice di lavori malpagati, precari e spesso in nero proprio mentre la crisi decennale sta allargando ulteriormente la sfera degli esclusi e dei marginalizzati.

Nulla è stato fatto per controllare il fenomeno del B&B in quelli che dovevano essere i suoi confini ispiratori e ancor meno per recuperare da questo flusso di risorse compensative per il diritto all’abitare dei più deboli.

Un esempio in negativo è la delibera di tre anni fa che permette di partizionare le case del centro storico, senza neanche porre alla proprietà, insieme agli evidenti benefici economici, qualche vincolo in termini di utilizzo sociale, canone concordato ecc.

Non sono state fissate regole o vincoli al processo di trasformazione della casa in “bene-consumo” e i controlli sono inesistenti, anche sugli abusi e l’elusione fiscale del “turismo religioso”. Non è stato avviato nemmeno l’ormai annoso aggiornamento dei dati catastali che risolva finalmente lo sbilanciamento paradossale per cui chi vive in palazzi storici a Posillipo paga spesso di Imu quanto o addirittura meno di chi sopravvive nei più recenti palazzoni popolari a Piscinola o Ponticelli (non è poco, in termini di redistribuzione, in una città “sudamericana” con una collina di ricchi e ricchissimi...).

L’ultima campagna elettorale è stata condotta anche sull’onda di queste retoriche e sui social c’è stata l”inondazione di foto che nei fiumi di gente che attraversava i decumani vantavano i segni di un riscatto dopo gli anni dell’umiliazione nazionale e dell’emergenza rifiuti. Un sentimento e una percezione comprensibili, ma di cui rischia di restare solo l’ingenuità o la strumentalità. Abbiamo perciò l’urgenza di definire un’azione politica che difenda il diritto all’abitare da questa ennesima e veloce aggressione. Prima che, in una specie di nemesi paradossale, riempire le strade di sacchetti della monnezza (quando non ci pensa l’Asia) non diventi un gesto di resistenza urbana…

(ps: per gli analfabeti funzionali, l’evocazione della crisi rifiuti è una metafora e una evidente provocazione retorica)

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