di Michele Giorgio
Donald Trump e Jimmy Morales,
fino a un paio d’anni fa un palazzinaro amante della bella vita e un
attore comico con poco talento, poi catapultati dal voto popolare
rispettivamente ai vertici della superpotenza Usa e del malandato
Guatemala, si sono messi in testa di segnare il futuro di Gerusalemme,
nodo centrale della questione israelo-palestinese. Dopo il
riconoscimento fatto dalla Casa Bianca lo scorso 6 dicembre di
Gerusalemme capitale d’Israele, seguito dall’annuncio che l’ambasciata
statunitense sarà trasferita da Tel Aviv nella città santa – non è
chiaro quando –, due giorni fa Morales ha comunicato che anche il
Guatemala sposterà la sua sede diplomatica. «Ho dato istruzioni
al ministro (degli esteri, Sandra Jovel) di intraprendere i passi» per
attuare questa decisione, ha scritto il presidente sul suo profilo
Twitter. Morales poco prima aveva avuto un colloquio telefonico con
Benyamin Netanyahu. «Uno dei temi più importanti del colloquio con il
primo ministro israeliano è stato il ritorno dell’ambasciata di
Guatemala a Gerusalemme», ha fatto sapere Moraes, sottolineando le
«eccellenti relazioni» tra i due Paesi «da quando il Guatemala ha
sostenuto la creazione dello stato di Israele».
Da parte sua
Trump non è rimasto a guardare. Dopo aver minacciato apertamente i Paesi
membri dell’Onu che hanno votato contro gli Usa sulla questione di
Gerusalemme, il tycoon è passato all’attacco ordinando il taglio di 285
milioni di dollari dei fondi americani destinati alle Nazioni Unite nel
bilancio 2018-19 (oltre cinque miliardi di dollari che gli Usa nel 2017
hanno coperto per il 22%). «Non permetteremo più che si
approfitti della generosità del popolo americano», ha avvertito
l’ambasciatrice Nikki Haley, braccio armato dell’Amministrazione Usa al
Palazzo di Vetro, facendo intendere che altri risparmi sono
all’orizzonte per ridurre «l’inefficienza e l’eccesso di spese da parte
dell’Onu». Washington il prossimo anno uscirà dall’Unesco, un passo che
farà anche Israele.
Il Guatemala è stato uno dei nove Paesi a votare contro la
risoluzione con cui l’Assemblea Generale dell’Onu – con 128 voti
favorevoli – la scorsa settimana ha condannato la dichiarazione di Trump
contraria al diritto internazionale. In realtà, come riferiva
ieri il quotidiano Haaretz, Morales sposterà l’ambasciata in Israele
solo quando lo faranno gli Stati Uniti, quindi ci vorranno almeno
due-tre anni. Ma conta l’annuncio. L’effetto domino è stato immediato.
Altri due Stati centroamericani, da sempre giardino degli Stati Uniti e
legati a doppio filo a Israele, sono pronti a seguire Trump e Morales.
Honduras e Panama – che, come il Guatemala, all’Onu hanno votato contro
la risoluzione anti-Trump – avrebbero già informato l’Autorità
nazionale palestinese della loro intenzione di trasferire le ambasciate a
Gerusalemme. Tegucigalpa in particolare ha ulteriormente stretto le
relazioni con Tel Aviv e lo scorso anno il presidente Juan Orlando
Hernandez ha annunciato un ampio accordo militare che vede Israele
impegnato a rafforzare e addestrare le forze armate honduregne. Sulle
orme di Morales ci sono altri Stati che hanno votato contro la
risoluzione dell’Onu, e, pare, anche due Paesi europei: Slovacchia e
Romania.
«Dio ti benedica, amico mio, presidente Jimmy Morales, Dio
benedica entrambi i nostri Paesi, Israele e Guatemala». Così Netanyahu
ha ringraziato e lodato il presidente del Guatemala. Più significative e cariche di contenuto ideologico sono state le dichiarazioni, fatte alla radio israeliana, dalla vice ministra degli esteri Tzipi Hotovely.
«Gli Stati Uniti sono il fattore scatenante che sta mettendo in moto
ogni cosa – ha spiegato – grazie al fatto che, nel corso degli anni,
abbiamo insistito nel sostenere i nostri principi e abbiamo rifiutato di
pagare un prezzo (per il riconoscimento di Gerusalemme, ndr) o di
scambiarlo per guadagni diplomatici, come la sinistra ha sollecitato in
tutti questi anni». Ciò – ha concluso la vice ministra degli esteri – «è
un nuovo mondo che pensa in modo diverso sulla maggior parte delle
questioni in Medio Oriente. Ecco perché siamo arrivati a questo
straordinario successo». Hotevely in sostanza dice che diplomazia e
negoziati sono roba del passato e che, grazie a Trump e a un mondo che
guarderebbe al Medio Oriente in modo nuovo, la legge internazionale non
avrà più valore.
Il ciclismo intanto riserva qualche dispiacere al governo
Netanyahu, uno degli sponsor della partenza del Giro d’Italia da
Gerusalemme il prossimo 4 maggio. Ahmet Orken, un ciclista
molto famoso in Turchia ha lasciato la squadra israeliana – l’Israel
Cycling Academy – in cui militava, in risposta al riconoscimento Usa di
Gerusalemme come capitale d’Israele avversato da Ankara. «Ho deciso di
lasciare la squadra per la mia famiglia e il mio paese», ha detto Orken.
«E’ stata una decisione che ho preso da solo», ha spiegato il ciclista
che con il suo team avrebbe dovuto partecipare alle prime tre tappe del
Giro 2018, una a Gerusalemme e due in Israele.
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