Dunque, non ci avevo visto male, un mese e mezzo fa, quando scrissi che la sparata di Renzi contro Bankitalia era solo guerriglia
preventiva nei confronti della commissione Banche dove stava covando
l’attacco su Banca Etruria e che su questo si sarebbe giocato un bel
pezzo di campagna elettorale. Stiamo assistendo all’affondamento del Pd e
questo è il colpo di grazia.
Colpisce la velocità con cui tanti stanno
abbandonando la barca che affonda e, a leggere Repubblica e
l’Huffinghton in questi giorni, sembra di legge “Il Fatto”: nessuna
clemenza, Renzi e Boschi sono gentilmente invitati a farsi da parte per
salvare il salvabile della ditta Pd.
Il punto è che per il Pd non c’è più niente da fare.
Possono anche pensare ad un veloce rimpiazzo con Gentiloni, in attesa
di trovare un nuovo segretario, ma non bisogna essere frate indovino per
prevedere la débacle elettorale del Pd.
Dicono che al Pd sono rassegnati ad un 25% (stessa quota di 5 anni
fa) mentre temono un 20%: non hanno capito niente, se dovessero prendere
il 20 dovrebbero andare scalzi alla Madonna di Lourdes per ringraziare.
Vedremo i sondaggi dei prossimi giorni, ma già da adesso non è
difficile immaginare la via crucis che si prospetta davanti al Pd.
Intanto per un po’ tutti continueranno a picchiare il tamburo sulla
questione Etruria, ma subito dopo si aprirà la tragedia delle
candidature.
Se ricordo bene il Pd ha un po’ più di 350 parlamentari, frutto in
parte del premio di maggioranza indebitamente attribuitogli nel 2013, in
parte della confluenza di Scelta Civica e di transfughi di Sel che
hanno più che compensato gli scissionisti di sinistra. Di questa massa
di deretani da allocare, è facile prevedere che, (per bene che vada e
sperando che il quadrilatero “rosso” regga per gli uninominali)
torneranno a sedersi non più di 150-160. E bisogna mettere nel conto le
candidature degli esordienti (in particolare Renzi ne vorrà piazzare un
po’) e forse qualche ospite come quelli provenienti da Capo Progressista
o dagli alfaniani.
Insomma, degli attuali, forse ne rientreranno il 40%. Per di più,
nessuno è in grado di prevedere dove avverrà la frana ed i seggi
“sicuri”, fra capolista del proporzionale e collegi uninominali molto
forti (ma ce ne sono ancora?) al massimo sono una quarantina alla Camera
ed una ventina al Senato. La strage avverrà fra i numeri due ed i
numeri tre dei listini e nei collegi uninominali in partibus infidelium.
Non ci vuole molto a capire che ci saranno risse da saloon
per ottenere doppie candidature: la grande maggioranza dei candidati
nei collegi uninominali chiederanno un buon piazzamento nei listini del
proporzionale e i non capolista ugualmente vorranno almeno un paio di
chances su cui puntare. E questo significa che o vanno tutti allo
sbaraglio su una sola candidatura (ma chi accetterà di candidarsi senza
nessuna speranza?) oppure, anche a concedere le doppie candidature con
il bilancino del farmacista, già una bella fetta degli attuali
parlamentari non sarà ricandidata.
E qui si porrà il problema delle minoranze: quanti posti vorrà
concedere Renzi ad esse? E quale è la soglia oltre la quale si
rischierebbe una nuova scissione? E quante fuoruscite individuali ci
saranno?
Poi verrà la campagna elettorale che il Pd dovrà affrontare
inesorabilmente da terzo, con la pressione di centrodestra e M5s che
inviteranno al “voto utile”. Peraltro, la carta forte delle altre volte
– il carisma di Renzi – non c’è più, perché ormai è polvere da sparo
bagnata.
In queste condizioni, ditemi se il 20% non è una meta da leccarsi le dita!
Ed il peggio verrà dopo, quando il Pd sarà ufficialmente retrocesso
nella serie B dei terzi o dei quarti: quanti ancora lo abbandoneranno?
A quel punto si aprirà ufficialmente il grande rimescolamento di carte del nostro sistema politico.
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