Come spesso ci accade di dire, avremmo fatto volentieri a meno di occuparci di certe cose maleodoranti. C’è sempre la sensazione che ti si appiccichino addosso, anche se ovviamente sei solo un osservatore (molto) esterno.
Ma le conseguenze della deposizione di Federico Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, sono un fatto politico. Dunque dobbiamo prenderne tutti atto.
La vicenda è nota, l’hanno ripetuta tutte le televisioni e i siti per una giornata intera: Ghizzoni ha riferito che Maria Elena Boschi, allora ministro “per le riforme costituzionali”, era andata da lui a chiedergli se la sua banca potesse assorbire Banca Etruria. Ovvero l’istituto vice-presieduto dal padre del ministro. “Mi chiese di valutare l’acquisizione della banca di Arezzo”.
E’ stata così confermata la “rivelazione scandalosa” contenuta nel libro di Ferruccio De Bortoli, ex direttore – fra l’altro – del Corriere della Sera e de IlSole24Ore. Circostanza prima negata dalla “signorina Meb” e ora ammessa sotto la rassicurante qualifica di “normale interesse all’economia del proprio territorio”.
Già questo, in una normale democrazia parlamentare, sarebbe sufficiente per pretendere – non “chiedere” – le dimissioni della signorina Meb da qualsiasi carica pubblica.
Peggio ancora. Ghizzoni ha dato conto anche delle pressioni fatte da Marco Carrai, con una mail in cui candidamente scriveva: “Ciao, Federico, solo per dirti che su Etruria mi è stato chiesto di sollecitarti”. Come si fa in certi ambienti per caldeggiare l’assunzione di un raccomandato in qualità di scopino...
Carrai, però, non è un personaggio qualsiasi. Amico d’infanzia di Renzi, era anche colui che gli aveva messo a disposizione un appartamento quando era solo sindaco di Firenze. E quello che Renzi voleva investire della delega ai servizi segreti, visto che la sua attività imprenditoriale è nel campo della cyber security, ossia intercettazioni, controllo, controspionaggio (tra privati), blindatura di sistemi informatici, ecc. Non arrivò su quella sedia per l’opposizione compatta di tutti i corpi militari – “servizi” compresi – perché prefigurava una situazione intollerabile: le agenzie di spionaggio al servizio diretto di un singolo cittadino momentaneamente presidente del consiglio senza mai esser stato investito di un voto popolare. Magari non era questa la vera motivazione (i servizi hanno molto pelo sullo stomaco), magari c’erano altri interessi da tutelare, ma già solo il fatto di provare un colpo simile certifica da parte di Renzi una “cultura di governo” incompatibile con l’assetto costituzionale del paese.
Si aggiunga il fatto – reso noto in queste ore – che tra le “amicizie” (non feisbukkiane) di Carrai c’è gentaccia come Tony Blair o Michael Ledeen (romanziere ed ex capostazione della Cia in Italia), e il quadro assume contorni davvero horror...
Insomma: se Carrai riferisce “mi hanno chiesto di sollecitarti” significa “Renzi me l’ha chiesto”. Ma se è un Carrai a ricordartelo, puoi sentire tutto il peso di “poteri molto forti” sulle tue spalle (e dire che l’ad di Unicredit non è esattamente un “potere debole”). E, come riferisce Il Fatto, “sarà un caso, ma dopo il no all’acquisto della banca aretina la legge sui crediti fiscali – che interessava anche Unicredit – si arenò” in Parlamento. Senza spiegazioni. Risultato: un danno da 300 milioni per la prima banca italiana. Diciamo che quelli del “giglio magico” sanno come farsi capire...
Gli ultimi due giorni di audizioni in Commissione stanno insomma producendo un risultato opposto a quello voluto da Renzi quando ha preteso l’istituzione della Commissione stessa. Doveva servire ad addossare a Ignazio Visco e alla Banca d’Italia i fallimenti di un buon numero di banche italiane, sta affossando questa banda di provincia investita di poteri troppo grandi per i loro circuiti neuronali.
Basta guardare la preoccupazione con cui il dirttore di Repubblica, stamattina, arriva a chiedere alla Boschi di “farsi da parte per salvare i Dem”. Troppo poco e troppo tardi, perché è mediaticamente impossibile – dopo quattro anni di ammiccamenti e tacchi a spillo – disgiungere l’immagine della signorina Meb da quella di Renzi e dunque dal capo assoluto del Pd.
L’effetto politico è dunque evidente a tutti. I sondaggi vedono il Pd crollare di un punto a settimana. Per il 4 marzo – probabile data delle elezioni – rischia di finire addirittura sotto il 15%, il che finirebbe per eliminare l’asse portante del sistema politico degli ultimi dieci anni.
E’ una buona notizia.
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