Da quando Billions, la serie tv dedicata alle trame della finanza americana, è visibile al pubblico del nostro paese è chiara a tutti la differenza tra questo genere di trame e quelle del sistema bancario del nostro paese. L’assoluta assenza di adrenalina, con la quale i media rappresentano queste vicende, favorisce la distrazione su questi temi. Anche perché, quando si tratta di rapporti tra politica e banche, invece delle rappresentazioni, comunque paludate, da cronache da consiglio di amministrazione prevalgono le narrazioni da salotto. Si tratta del solito salotto all’italiana, fatto di equivoci ereditati dal linguaggio della buona borghesia e indiscrezioni culturalmente originate dalla sacrestia, nel quale si creano due effetti. Nel primo i protagonisti litigano nella massima attenzione spettacolare, nel secondo solo gli stretti addetti ai lavori sono in grado di decodificare davvero quanto sta accadendo. Sono tutti fenomeni che hanno radici nella logica della società di corte: lo scandalo deve essere visibile a tutti, in modo che faccia effetto, il suo significato invece deve essere capito e governato da pochi. E che tutto questo abbia effetti nella nostra società è intuibile: lo stesso Norbert Elias, autore di un fondamentale La società di corte, arrivò a questo genere di studi partendo dall’esigenza di capire le origini della società liberale francese. Nel nostro mondo non è quindi un caso che le vicende bancarie siano mediaticamente rappresentate come uno scandalo di corte: i protagonisti devono essere visibili a tutti, per ratificare i cambiamenti di potere, ed essere comunque gestiti da un ristretto numero di persone. Del resto, nonostante tante mutazioni, anche nelle nostre società il potere vero è affare di pochi.
Certo, il triangolo delle rivelazioni tra De Bortoli, Vegas e la ministro Boschi, il teatro ristretto della commissione sugli scandali bancari, le narrazioni televisive sono materia da noia mortale. Il confronto tra protagonisti è giocato tutto sul rispetto dell’etichetta e privo, in apparenza, di contenuti. Travaglio che rimprovera la Boschi di essere dove non doveva essere è esemplare di questo modo di narrare le crisi bancarie. Maria Elena Boschi che si agita mentre risponde argomentando sul filo del rispetto della forma è il massimo che lo spettacolo può, in Italia, garantire. Eppure è evidente che tra potere (in declino) renziano e tradizionale potere bancario istituzionale (altrettanto in declino) lo scontro si è aperto almeno da prima della crisi di banca Etruria e delle altre tre consorelle. Ed è altrettanto evidente, almeno nelle intenzioni, che lo scontro in atto è sul controllo del sistema bancario italiano (in declino). Almeno nelle intenzioni, come abbiamo detto, perché la presenza francese nel settore, attraverso un intricato quanto evidente sistema di acquisizioni e partecipazioni, è tale da far pensare che il sistema sia in mano a Parigi oppure sia vicino a quest’esito. La Boschi e De Bortoli, e chi per loro, si trovano quindi di fronte ad un oggetto bancario del contendere che ha dimensioni minori rispetto alle aspettative (o ai desideri). Questo sempre senza contare il convitato di pietra, quello più grande e inquietante di tutti: quella dimensione della Fintech, la tecnologia finanziaria, che è destinata a cambiare irrimediabilmente il volto del sistema bancario italiano. Con la speranza che, come è accaduto per altri fenomeni, la sinistra italiana non se ne accorga dopo un quarto di secolo.
In Italia si potrebbe dire che manca tutta quella capacità di rappresentazione, a tinte forti quanto disperate, dello scontro tra poteri in fase di declino. Ma è meglio, piuttosto, entrare nella rappresentazione di quanto sta accadendo al sistema bancario italiano. Nodo tanto più essenziale nelle nostre economie tanto più ignorato da ciò che resta del mondo politico-sindacale della sinistra. Anche perché, se andiamo a vedere la sinistra più istituzionale, quella Cgil ed ex Pd asserragliatasi nella ridotta chiamata Liberi ed uguali, la linea è quella di sempre, visibile già dai lontanissimi anni ’70: allinearsi a quello che dice Bankitalia. Quindi non c’è bisogno di una strategia autonoma e, non a caso, scopriamo un altro terreno di scontro tra Renzi e Bersani, legato non all’articolo 18 ma alla tenuta degli assetti di potere sulle banche. A chi legge lasciamo la scelta di cosa accade, in questi soggetti, quando articolo 18 e assetti di potere bancario entrano in contraddizione. Anche se, pure qui, vale la regola in vigore per i precedenti protagonisti. Di quali poteri stiamo parlando quando Bankitalia si è vista ridurre, piano piano, le competenze tra cui la vigilanza, oggi esercitata dalla Bce, delle banche strategiche? Sarebbe una domanda da attendersi pubblicamente se non fosse che lo scontro sulle banche è tutto regolato dalle norme non scritte degli scandali di corte.
Ma andiamo oltre: su quale sistema bancario si esercita questo scontro, di corte per quanto ridotta, tra poteri renziani e poteri bancari tradizionali?
Evitiamo di parlare delle banche che hanno fatto parlare di sé nel recente passato (come le venete, Etruria etc.) dando per scontato che i danni – a risparmiatori, imprese familiari e non, lavoratori del comparto bancario – siano in qualche modo, anche doloroso, assorbiti. Mettiamo tra parentesi la questione, congelata perché fa comodo in Italia come a Francoforte, di come dovranno essere trattati in futuro i crediti deteriorati ancora esistenti. Evitiamo di dilungarci su come sono stati trattati i crediti deteriorati, e altri problemi bancari (con l’alternanza tra tosatura dei risparmiatori, clienti di alcune banche, e quella dei cittadini, con il fondo Gentiloni da 20 miliardi). La domanda reale qui si formula in questo modo: in presenza di uno scontro sul presunto controllo del sistema bancario, le banche producono valore?
La risposta è che le banche italiane continuano non solo ad essere in fase di declino di produzione di valore ma anche a finanziare poco l’economia reale. E questo anche se non fanno come le loro consorelle estere, ad esempio le tedesche, che si sono buttate a suo tempo, scottandosi, sulla finanza di rischio. Proprio questa situazione fa si che le banche italiane producano la stragrande maggioranza dei ricavi da attività con la clientela privata da una parte e con le istituzioni e l’amministrazione pubblica dall’altra. Con attività spesso tradizionali, con problemi di innovazione tecnologica che fanno pensare molto per la tenuta futura del sistema.
Il calo continuo dei ricavi, della messa a valore delle banche dalla clientela deriva nel settore privato dallo spread nullo o negativo sui depositi e dalla riduzione dei mutui casa su cui è pesata la situazione del mercato immobiliare (visto ora in ripresa). Il grande calo dei ricavi sulle imprese deriva invece dalla combinazione tra riduzione dei volumi dei prestiti e il calo dei tassi/spread praticati e molte volte decisamente bassi. Insomma, se il quantitative easing di Draghi ha calmierato il debito pubblico da un lato, da un altro ha messo, non solo in Italia (basta vedere il dibattito in Germania), le banche in croce da un altro: con minori tassi di interesse prestare denaro si è fatto molto più difficile in termini di guadagno.
Oltretutto nei confronti del numero, sempre più ridotto di imprese affidabili si è accesa, tra banche italiane, una forte concorrenza basata sul prezzo e non sulla qualità dei servizi. Insomma, le banche italiane sono nel bel mezzo di cambiamenti epocali (finanziari, tecnologici, economici) mentre attraversano un forte declino di redditività. Si spiega quindi perché lo spettacolo della politica sia tutto sullo scontro che le riguarda. Nel declino i poteri consolidati saltano e si apre lo scontro sul potere rimanente. Mentre il resto del mondo politico-sindacale assiste o parla con frasi senza molto senso.
Sul declino delle banche italiane è utile vedere il grafico che linkerblog ha pubblicato il mese scorso.
Come si nota nel periodo 2010-2016 si sono ristretti sia i prestiti alle imprese sia i margini di interesse (ricavi). Considerando che nel presente, e nelle previsioni sul futuro, non ci sono grosse variazioni da rilevare, abbiamo un sistema bancario che è in declino di produzione di valore e, allo stesso tempo, declina la propria fornitura di liquidità a imprese, singoli e famiglie.
Non è quindi un caso, nel mezzo dello scontro tra renziani e Bankitalia, che Berlusconi tenga una linea conciliante. Perché con questi problemi strutturali del sistema bancario non può che confermarsi la linea morbida che altro non è che la tradizionale attenzione del Berlusconi imprenditore per le banche (e i loro giochi). Da investitore sa che gli istituti di credito sono fondamentali per piccole e grandi aziende, e per un colosso come ancora è la sua. Non a caso già un anno fa Berlusconi, nel garantire a Paolo Gentiloni il suo sostanziale sostegno, aveva indicato proprio nella vicenda Mps, la banca senese, uno dei terreni di non belligeranza. E la sua difesa è proseguita, nonostante la linea critica di Renato Brunetta, lungo tutta la filiera che va dalle banche alla Bce, passando per la stessa Bankitalia.
Ma come finirà questo scontro? Finirà per prevalere una linea Berlusconi, di mediazione, o anche questa finirà per dissolversi nel declino delle banche italiane?
Invece di rispondere a queste domande come se fosse un quiz bisogna fare qualche considerazione.
La prima è che, a differenza del passato, sulle banche italiane (ammesso che il loro controllo complessivo sia ancora italiano e considerato che la loro vigilanza passa sostanzialmente dalla Bce) i fattori di ristrutturazione sono sempre meno in mano a poteri sovrani, nazionali. Ad esempio la rivoluzione Fintech – le tecnologie finanziarie di cui la banca online, la app bancaria, il bitcoin o il trading automatico sono solo una piccola parte dei prodotti in campo – viene da un altrove destinato a materializzarsi specie all’inizio della prossima, vicina decade. E si tratta di un settore che ha già mostrato di saper crescere a detrimento dei profitti del banking tradizionale. Un altrove che può cambiare antropologicamente un paese come lo fa una rivoluzione industriale visto che ridefinisce le condizioni di circolazione della ricchezza.
La seconda è che, per risolvere i conflitti all’interno del sistema bancario nazionale si pensa più ai consigli di amministrazione che alla crisi del valore (che suggerirebbe il ritrarsi di un privato incapace, tra l’altro, di fare profitti). Fubini sul Corriere ha pubblicato dei dati che indicano come poche famiglie, nel corso degli ultimi anni, hanno collezionato mezzo millennio complessivo di incarichi in un ristretto numero di istituti. Dati realistici, che mostrano tutto il nepotismo tipico da capitalismo di relazione del sistema bancario italiano. Il punto è che nel sistema bancario il problema non è solo, o tanto, il nepotismo ma la crisi del valore.
Il terzo è che, nel momento in cui candidati premier come Di Maio sponsorizzano pubblicamente, come esempio di buone pratiche, banche come Widiba (la banca online filiazione di MPS) deve esser chiara, per chi si presenta come forza di governo, sia la visione di sistema, sia la collocazione dei lavoratori, che la politica di sviluppo di tecnologie Fintech a uso pubblico in Italia (per non finire doppiamente colonizzati, sul piano finanziario come tecnologico). E qui – basta vedere la tragicomica vicenda della collocazione del taglio della deducibilità degli interessi bancari passivi che i grillini un giorno vedono come utile per il reddito di cittadinanza, un altro per l’assunzione dei precari della ricerca, un altro ancora per l’acquisto di una good bank e infine per finanziare l’autorecupero – diradare le nubi della retorica e della confusione non farebbe affatto male. C’è poi un ultimo punto che, se si attiva, farà sentire la sua forza devastante non tanto, o solo, sul sistema bancario-finanzario nazionale. E’ un punto ben esposto in questa infografica di finanza.com che ricorda come il 2000 e il 2007 abbiano visto una sola grande bolla mentre, ai nostri tempi, se ne preparano diverse.
Già, perché mentre le piume, come al solito, volano alte, e copiose, sopra il pollaio Italia sia la tecnologia sia le bolle proseguono i loro itinerari di mutazione e di distruzione economico-sociale. Disegnando, in prospettiva, un rapporto banche-società, e una struttura bancaria, molto diversa dall’attuale. Ma, del resto, il nostro paese è abituato a ratificare cambiamenti di cui non prevede l’arrivo, non ne percepisce l’estensione ma, in compenso, ne metabolizza la presenza rappresentandosi i fenomeni di farsa in farsa. E’ la società dell’avanspettacolo, nota specialità italiana, che dispiega le proprie luci kitch nella dissoluzione della politica.
Comunque vada, infine, la commissione Casini sulle banche che sembrava avviarsi tranquilla verso un esito ecumenico, o comunque pro Renzi, si è rivelata un qualcosa che è scoppiato in mano, finora, al solo segretario Pd e alla sua sodale Maria Elena Boschi. Gli scandali, nelle società di corte come oggi, hanno infatti sempre esiti imprevedibili. Renzi, abituato a gestire scandali da fiera del venerdì, probabilmente sperimenta ora quanto sottile, avvolgente e velenoso possa essere l’ambiente rarefatto del potere.
Redazione, 18 dicembre 2017
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