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19/12/2017

16 Dicembre, una nuova leva è entrata in azione


E’ stata una grande e bella manifestazione quella che ha attraversato Roma dietro lo striscione Diritti senza confini sabato 16 dicembre. Migliaia di migranti, lavoratori delle campagne e della logistica oppure profughi e richiedenti asilo assieme ad un fiume di gente che rivendica un vasto spettro di diritti negati. Una manifestazione che è stata fortemente e caparbiamente voluta da un tessuto nascente di nuovi militanti ed attivisti che non sono italiani ma che hanno imparato a costruire percorsi di organizzazione e di mobilitazione sui posti di lavoro, nelle città, e dentro le contraddizioni del nostro paese. Questa è la novità più interessante che ci propone questa mobilitazione di fine 2017.

Erano tanti anni che non si svolgeva una grande manifestazione sui temi e le condizioni dei migranti. Ed era tanto tempo che se ne sentiva la necessità. Ma questa nuova leva di attivisti non si è limitata a costruire la propria piattaforma ma ha realizzato l’intreccio tra gli obiettivi del popolo migrante e quella di milioni di italiani poveri o in difficoltà che vivono contraddizioni simili. Una miscela di rivendicazioni e proposte che ribalta lo schema mentale che ci viene imposto, dei migranti come un problema in più per chi vive in questo paese.

Welfare, diritti sui posti di lavoro, reddito, casa, stop al lavoro nero, sono rivendicazioni che uniscono lì dove le politiche neoliberiste stanno invece dividendo, mettendo per esempio lavoratori poveri contro lavoratori migranti.

Si sono visti nella manifestazione del 16 i primi segnali di una nuova sindacalizzazione. Non è un passaggio da sottovalutare.

Se quella parte del mondo del lavoro che è più ricattabile, anche a causa della legge Bossi-Fini che tiene legato il diritto al permesso di soggiorno al contratto di lavoro, non si organizza e lotta sarà difficile fermare il piano inclinato dei diritti di tutti i lavoratori. Organizzare chi sta peggio non è solo una scelta ma anche una necessità per un sindacato di classe, perché sono gli ultimi che devono riuscire a costruire la diga e rigettare indietro le politiche neoliberiste.

L’impegno che l’USB sta mettendo nel far crescere il sindacato in questi strati di lavoratori non autoctoni è una scelta strategica che ha un senso politico per tutti gli altri settori del mondo del lavoro. Quello che si sta innescando è un processo nel quale due sono le condizioni fondamentali. La prima è che si allarghi e moltiplichi l’area dell’attivismo e del sindacalismo migrante e che pertanto si formino centinaia di quadri migranti capaci ad organizzare il conflitto ed allargare l’organizzazione stabile tra i lavoratori, tra tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro provenienza. Solo quando una buona fetta dei quadri sindacali avrà questa caratteristica potremo effettivamente dire di aver realizzato un sindacato meticcio.

La seconda condizione è la maturazione tra i delegati italiani degli altri settori a condividere fino in fondo questo percorso, la costruzione di un processo ancora lungo di connessione effettiva tra lavoratori, italiani e non.

Il razzismo c’è nel nostro paese e si diffonde proprio nei settori popolari e in diversi strati di lavoratori. E’ una brutta bestia che non sconfiggiamo con una manifestazione.

Il lavoro da fare purtroppo è più lungo. Il 16 dicembre è stato un passaggio, non certo un punto di arrivo. Ma è un passaggio che abbiamo costruito con successo e del quale dobbiamo andare orgogliosi. Entusiasmo, allegria, forza, lucidità e determinazione abbiamo visto a piazza del Popolo: armi fondamentali per continuare su questa strada.

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