Giordano Sivini * è stato docente di Sociologia alla facoltà di Economia dell’Università della Calabria. Recentemente, insieme a Giuliana Commisso, ha pubblicato il libro “Reddito di cittadinanza. Emancipazione dal lavoro o lavoro coatto?” per le edizioni Asterios. Del libro abbiamo già parlato sul nostro giornale.
Due settimane fa, anche l’Eurostat ha certificato che in Italia ci sono ormai 18 milioni di persone a rischio povertà, contemporaneamente il governo ha varato l’ennesimo, risibile, provvedimento contro la povertà con l’introduzione del Rei (Reddito di inclusione). Il M5S continua a parlare di Reddito di Cittadinanza ma i contorni di questa proposta sfumano sempre più al peggio dentro il processo di normalizzazione di questo movimento. Siamo tornati a parlarne con Giordano Sivini, per approfondire le questioni sollevate nel suo libro e soprattutto la loro relazione con una realtà dai costi sociali sempre più pesanti per milioni di persone a crescente rischio povertà ed esclusione sociale. Una spirale che va spezzata, con forza e con urgenza.
Cominciamo da un giudizio sul Rei o Reddito di Inclusione entrato recentemente in vigore. Come giudichi questo provvedimento del governo?
Il Reddito di Inclusione (Rei) è innanzi tutto una misura elettorale, per l’accelerazione del suo avvio dopo la lunga gestazione accompagnata dai ripetuti mirabolanti annunci dell’ineffabile ministro Poletti. Raccontava che con il Rei anche l’Italia attiva un sistema di reddito minimo. Gli altri paesi europei che da tempo ne dispongono, intervengono generalmente sulle persone che si trovano sotto la soglia della povertà relativa. Il Rei invece è rivolto alle famiglie che si trovano in stato di povertà assoluta. Sono un milione 600 mila con 4 milioni 600 mila componenti che non hanno beni e servizi che l’ISTAT considera essenziali. E’ una catastrofe sociale. Ma il governo ha altre priorità di spesa e per il Rei ha stanziato 2 miliardi per il 2018, 2,5 per il 2019 e 2,7 per il 2020, con cui potranno essere alleviate le condizioni di un quarto di esse.
Sono state invitate a mettersi in graduatoria, e dal primo dicembre, gli sportelli dei comuni e quelli dei CAF a cui le funzioni sono state in gran parte delegate, sono intasati. Il sussidio dovrebbe essere erogato dal primo gennaio ma, date le procedure, è improbabile; le elezioni dovrebbero farle accelerare, perché il PD ne fa strumento per acquisire voti. Ne fa una propaganda malaccorta, perché in sede di prima applicazione non tutti possono accedervi, e dal prossimo luglio tutti si accorgeranno del grande bluff.
Nell’immediato, le famiglie oltre ad essere in povertà assoluta devono avere al loro interno bambini, infermi, donne gravide, pensionati con più di 55 anni senza altri sussidi. Le altre famiglie potranno aspirare al reddito a partire dal luglio 2018, quando il Rei assurgerà al rango di miserabile misura di reddito minimo aperta a tutte quelle che sono le condizioni di povertà assoluta. Ma, attenzione,nessuno rileva che per esse a luglio 2018, così come negli anni successivi, la disponibilità finanziaria sarà molto più ridotta. Tenendo conto che il sussidio viene erogato per 18 mesi, quasi metà dei 2,5 miliardi saranno già stati impegnati per coprire le famiglie entrate nel Rei in questa tornata. E’ così di seguito per gli anni successivi. Quindi fino al 2021 non ci sarà alcun sostanziale allargamento dell’intervento.
Il sussidio, poi, è basso, e assorbe eventuali altri sussidi già percepiti (Sia, Asdi); persino la Caritas pensa di ridurre il proprio sostegno. Sono 187 euro al mese per le famiglie con un componente, 294 per due, 383 per tre, 461 per 4, 485 per quelle più numerose. Viene erogato con carta di credito del circuito delle Poste, e per il 50 per cento usato per fare la spesa.
Nel libro sostieni che le misure contro la povertà in realtà cristallizzano nello stato di povertà le persone invece di portarle fuori. Perché?
Mi soffermo ancora sul Ris. Nel caso della proposta del Movimento Cinque Stelle l’effetto di cristallizzazione c’è ma il meccanismo è diverso e mira a realizzare un cambiamento strutturale. Il Ris invece strutturalmente non incide per niente; non è più di una ‘boccata di ossigeno’ come dicono gli operatori sociali.
Il Ris enuncia l’obiettivo di far uscire le famiglie dallo stato di povertà assoluta. Sta scritto nella legge. Ma è un obiettivo che non sta in piedi, anche per quelle famiglie che riescono ad accedere alle graduatorie. Il sussidio viene infatti erogato solo per 18 mesi, rinnovato – forse – per altri 12, ma con un intervallo di 6 mesi durante il quale le famiglie devono arrangiarsi. Non c’è alcuna continuità di prospettiva. Questa tempistica indebolisce l’efficacia degli interventi di accompagnamento, ammesso che possano averla.
Lo strumento centrale del Rei è costituito proprio da questi interventi – se saranno realizzati – non dal sussidio. L’ipotesi implicita è che la povertà è una colpa. Pertanto la colpevolezza va indagata nella multidimensionalità delle carenze e dei bisogni. Il sistema prevede che ogni famiglia sia sottoposta a questa indagine. Letteralmente, come dice la legge, la famiglia viene presa in carico dall’ente locale preposto alla gestione del Ris, e ciascun suo componente viene indagato su questi fronti: 1. condizioni personali e sociali, 2. situazione economica, 3. situazione lavorativa e occupabilità, 4. educazione, istruzione e formazione, 5. condizione abitativa, 6. reti familiari e sociali di prossimità. Conclusa l’indagine viene emesso un giudizio sulla cui base viene formulato un ‘progetto personalizzato’ relativo alla famiglia e ad ogni suo componente, con cui si definisce il loro impegno a realizzare le pratiche di attivazione prescritte. Tutti gli adulti abili devono inoltre impegnarsi con il centro per l’impiego a lavorare.
Per quanto pazzescamente anticostituzionale sia questa pretesa, la normativa prevede che se anche uno solo dei componenti non si attiva nel senso indicato dal progetto personalizzato, il sussidio (che viene interamente erogato a chi ha domandato il Rei a nome dell’intero nucleo familiare) viene ridotto e persino tolto.
Il bisogno del sussidio, insomma, è un’arma di cui ci si appropria tramite il Rei per normalizzare i componenti della famiglia e per rafforzarne la gerarchia.
Cosa ne pensi dell’azione messa in campo dall’Alleanza contro la povertà?
L’Alleanza contro la povertà ha concepito il Ris fin nei particolari. Il governo lo ha fatto proprio in tutta la sua articolazione, salvo il finanziamento. Ma anche per la limitatezza dei fondi stanziati la responsabilità è dell’Alleanza contro la povertà. Al fine di rendere accettabile il progetto da parte del governo, ha proposto che venga realizzato un po’ alla volta e che i 7 miliardi di costo previsti a regime siano scaglionati in un crescendo nel tempo.
Quattro milioni e seicentomila mila persone senza accesso a beni e servizi essenziali è una catastrofe? Si, ma non ci sono i soldi... Allora, i think thank dell’Alleanza hanno pensato di stratificare la povertà adottando il principio di ‘dare prima a chi sta peggio’. “Detto altrimenti si comincia da coloro i quali versano in condizioni economiche più critiche, e cioè i più poveri tra i poveri, e progressivamente si raggiunge anche chi sta ‘un po[1] meno peggio’ sino a rivolgersi dal quarto anno – a chiunque sperimenti la povertà assoluta”. Una soluzione, dopotutto, consustanziale all’assistenza caritatevole, e l’Alleanza contro la povertà comprende una trentina di associazioni cattoliche. Non tutte, perché c’è una parte che fa capo alla Rete dei numeri pari (don Ciotti), a cui il Ris fa vomitare. Quanto a CGIL, CISL e UIL, che si sono accodate nella rete dell’Alleaza, che dire? Non c’è un limite al loro collaborazionismo e alla loro inettitudine.
Nel libro dai un giudizio estremamente severo e negativo della proposta di Reddito di Cittadinanza del M5S. Puoi spiegarne i motivi?
Abbiamo svolto un lavoro attento e senza pregiudiziali per risalire alle fonti del Reddito di Cittadinanza. Di primo acchito non era facile, perché Grillo lo ha presentato come una svolta epocale, un liberazione dalla schiavitù del lavoro. Nella parte illustrativa della proposta, viene addirittura considerato come primo passo per arrivare al reddito universale incondizionato, e si cita in questa prospettiva persino un suo guru, l’economista Andrea Fumagalli. Questa premessa ci ispirava qualche simpatia. Ma, col percorso relativo agli schemi di reddito minimo in Gran Bretagna e in Germania (sono due capitoli del libro estremamente chiarificatori) e all’analisi degli articoli del disegno di legge, siamo arrivati alla conclusione che il Reddito di Cittadinanza è una trappola estremamente pericolosa.
Di Maio preannuncia in caso di vittoria uno shock economico, ma non dice quale. L’attuazione della proposta di Reddito di Cittadinanza potrebbe produrre un effetto analogo all’introduzione di misure comprendenti Hartz 4 in Germania. Un eminente economista tedesco, Hans-Werner Sinn, le ha definite “un vero toccasana” che ha consentito al paese di superare la crisi in cui si trovava all’inizio del secolo.
Nella proposta dei Cinque Stelle, dietro l’erogazione del sussidio per far uscire dalla condizione di povertà relativa dieci milioni di persone, portando il loro reddito complessivo a crescere c’è un meccanismo che realizza il risultato opposto. Non si fa fatica a scoprirlo. Basta leggere gli articoli 11 e 12.
L’articolo 11 è finalizzato a sottomettere l’aspirante al reddito ad un rapporto stretto con il centro per l’impiego, a cui va rivolta la domanda di sussidio. E’ la stessa logica della Gran Bretagna e della Germania dove i sistemi di reddito minimo funzionano con l’assoggettamento dei beneficiari ai centri per l’impiego, che lavorano in modo efficiente ma del tutto discrezionale. Io, Daniel Blake, il film di Ken Loach, nella sua straordinaria efficacia è solo una delle molte denunce in proposito.
Tra le tante prescrizioni dell’articolo 11 c’è l’obbligo di “svolgere con continuità un’azione di ricerca attiva del lavoro, secondo modalità d’intesa con i servizi competenti (...). L’azione documentata di ricerca attiva di lavoro non può essere inferiore a due ore giornaliere“. I senza lavoro sono in via di principio colpevoli di negligenza!
L’articolo 12 costringe, con un giro di parole e rinvio da un comma ad un altro, ad accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi salario, pena la perdita del sussidio. Al comma 2 lettera a) si definisce lavoro congruo, “quello attinente alle propensioni agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario”. Ma è una definizione ‘a tempo’, vale per un anno. Al comma 3 sta infatti scritto: “Il beneficiario al fine di poter mantenere i benefici di cui alla presente legge è tenuto ad accettare proposte di lavoro anche in deroga a quanto stabilito dal comma 2, lettera a) qualora sia trascorso un anno dall’iscrizione al centro per l’impiego e il medesimo beneficiario non abbia accettato nessuna proposta di lavoro”.
Colpa sua, se le proposte non erano congrue. Del resto il comma 7 lo avverte che “è libero di accettare proposte di lavoro non rispondenti ai principi di congruità di cui al comma 2. Tra questi principi c’è al comma b) uno importante dal quale si è esonerati, che il salario non sia inferiore all’80 per cento di quello contrattuale.
Al comma 1 invece si sanziona con la perdita del beneficio chi nel primo anno rifiuta più di tre proposte ritenute congrue (da chi se non dal centro per l’impiego?), e chi nell’arco solare recede senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte.
Insomma, lavoro coatto: chi vuole il reddito deve accettare il lavoro che gli viene assegnato, qualsiasi sia l’attività, qualsiasi sia il salario, qualsiasi sia la durata.
Ne deriva una contraddizione di fondo. L’obiettivo enunciato dai Cinque Stelle è di erogare il reddito per far uscire i beneficiari dalla povertà relativa. Invece li si caccia nel grande pantano del lavoro qualsiasi, configurando una situazione come quella tedesca: “chi entra in Hartz 4 non ne esce più”.
Il Reddito di Cittadinanza è un’operazione gigantesca di disciplinamento di milioni di persone che vivono al di sotto del reddito di povertà relativa. Sconquassa la struttura occupazionale e salariale, attribuisce ai centri per l’impiego la gestione del lavoro senza imporre limiti di garanzia, salvo il salario orario minimo che la proposta prevede. Come avviene con Hartz 4 abbassa il costo del lavoro sotto il livello di sussistenza e fa dipendere dal sussidio il diritto di vivere. Nello stesso tempo immette 15-20 miliardi di euro nell’economia stimolando i consumi e rendendo felici piccoli e medi imprenditori e commercianti fulcro di un blocco sociale che si rianima grazie al lavoro servile.
*Giordano Sivini è anche l’autore del libro “La fine del capitalismo. Dieci scenari” pubblicato nel 2016 sempre per le edizioni Asterios
[1] IL reddito di inclusione sociale (Reis): La proposta dell’Alleanza contro la povertà in Italia, Bologna, Il Mulino, 2016, p. 246.
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