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14/12/2017

Tutti pazzi per un Gentiloni-bis. Nell’establishment...


Queste elezioni sono di fatto già decise, almeno per quel che riguarda l’establishment. Del resto la legge elettorale chiamata rosatellum era stata pensata apposta per produrre un esito “polverizzato”, senza partiti dominanti, in modo da facilitare un “governo del presidente” (versione appena più politicizzata del “governo tecnico”).

I sondaggi, per quanto “addomesticati”, sono per molti versi inequivocabili: Cinque Stelle inchiodati al di sotto del 30% (nonostante o grazie alla svolta “normalizzatrice” di Di Maio) e tutti gli altri ad arrancare abbondantemente sotto il 20% (compreso il Pd di Renzi, ormai molto vicino al dimezzamento rispetto alle europee del 2014). Per salvare la faccia e i consensi, centrodestra e Pd non potrebbero volontariamente fare un governo insieme. Toccherebbe dunque a Mattarella “convincerli”, proponendo un profilo – come si dice – “non divisivo” in nome della stabilità e della salvezza nazionale.

E’ stato come sempre Berlusconi a metterla giù chiaramente: «La soluzione più corretta sarebbe quella di continuare con questo governo e di consentire un’altra campagna elettorale non brevissima, di almeno tre mesi, che possa permettere ai partiti di far conoscere agli elettori i loro programmi».

Il Corriere della Sera appoggia senza riserve questa soluzione (glissando alla grande sul rivotare in autunno, comunque) e fa scendere in campo anche Luciano Violante, uomo sicuro per qualsiasi inciucio purché immondo con la destra. Repubblica prova ancora a far finta che ci sia una competizione elettorale tra destra e Pd, titolando “La destra si spacca su Gentiloni”. Ma il senso generale è chiarissimo: Gentiloni sarà riconfermato perché così vuole l’Unione Europea (come racconta anche Il Fatto), visto che è riuscito là dove Renzi aveva fallito, ossia fa passare le “riforme” più impopolari senza sollevare risentimenti e opposizione netta.

L’esito elettorale dovrà comunque sciogliere alcune incertezze. Il crollo del Pd – che presumibilmente accelererà da qui al 4 marzo – priva l’establishment di un pilastro portante stabile. Forza Italia, per quanto rediviva, non può garantire insieme al Pd, da sola, una maggioranza (insieme, presumibilmente, non supereranno il 35-40%). A quel punto sarà indispensabile imbarcare qualcun altro. La destra-destra (Meloni e Salvini) ufficialmente recalcitra, ma non ha grandi chance alternative e sarebbe subito oggetto di una sontuosa “campagna acquisti”. Ma anche così potrebbe non bastare a mettere insieme l’agognato 51% dei parlamentari.

L’establishment, però, sa di poter contare sul “senso di responsabilità” dei fuoriusciti dal Pd, ora figurativamente capitanati da Pietro Grasso. Sempre il Corsera, vero palcoscenico mediatico dell’operazione Gentiloni-bis, si affretta a sottolineare che “Giuliano Pisapia lo stima. E Pietro Grasso vanta con il premier «ottimi rapporti». Prima di lasciare il gruppo del Pd, telefonò a Gentiloni per avvisarlo. Martedì il leader di Liberi e uguali ha presenziato in Aula durante le comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo. E se mai dopo il voto toccasse ancora a lui, Grasso è pronto a un dialogo con il Pd «senza preclusioni».

Gli argomenti sono già pronti: “non c’è più Renzi, quindi va bene”. Anche perché – con il Fiscal Compact inserito tra norme le europee (oggi, nel Consiglio Europeo, Gentiloni sta dando l’ok) – sparisce ogni margine di “flessibilità” sulle prossime leggi di stabilità. Tradotto in parole povere: dal 2019 l’Italia sarà sotto amministrazione controllata, costretta a tagliare il debito del 5% ogni anno per 20 anni (più o meno 50 miliardi tra tagli e nuove tasse) nel mentre raddoppia il budget per la spesa militare (dall’1 al 2% del Pil). Dunque, chiunque sia al governo, il “programma” è già scritto.

In più, per chi pensa che in fondo Grasso sia un leader affidabile, anche se non prorio “di sinistra”, ci sembra sufficiente ricordare – tra le tante – questa sua sortita del “lontano” 2013: Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Allora Berlusconi ringraziò tramite il leghista Roberto Maroni, suo ex ministro dell’Interno: «Mi ha fatto molto piacere sentire le parole di Grasso, soprattutto perchè le misure di aggressione ai patrimoni mafiosi le avevo introdotte io». Vanterie a parte (che comunque danno l’idea di un mondo leghista tutt’altro che “antagonista” alle ipotesi di governo future), resta il fatto che anche Mdp figura tra i sicuri sostegni del prossimo “governo del presidente”.

Si può fare qualcosa contro questo esercito ignobile? Certamente sì, e il tentativo in corso di creare un rassemblement antagonista, di rottura completa con quel mondo, intorno alla parola d’ordine-programma #poterealpopolo, ha le potenzialità per diventare una variabile imprevista, su cui costruire nel medio termine la rappresentanza politica del nostro “blocco sociale”. Basta lasciare dove merita – nel cimitero dei morti viventi – la vecchia logica che ha governato la “sinistra” negli ultimi 25 anni.

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