Si rafforza ogni giorno la sensazione che la struttura portante del capitale multinazionale, finanziario e non, stia cambiando cavallo e dunque stia scaricando Matteo Renzi e la sua banda di baldi arrivisti.
La randellata arrivata ieri dal ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, è di quelle che fanno davvero male. Stava deponendo davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, voluta proprio dal Pd renziano per “provare” le colpe della Banca d’Italia nei numerosi scandali bancari degli ultimi anni. L’accusa, com’è noto, è quella di “mancata vigilanza” o addirittura di manipolazione del sistema tramite “consigli” sulle fusioni da effettuare tra istituti bancari.
Ma al centro sono finiti quasi subito gli incontri di Maria Elena Boschi con numerosi esponenti di primo piano del “sistema”, in cui la ex ministra delle “riforme costituzionali” e attuale sottosegretaria alla presidenza del consiglio in qualche modo perorava la causa di Banca Etruria, il cui vicepresidente era al tempo suo padre. Un clamoroso caso di conflitto di interessi, come minimo, che la “signorina Meb” prova da tempo a confutare alzando cortine fumogene (“normali incontri istituzionali”) o smentite presto smentite da altre testimonianze.
Fin qui, comunque, il sistema di protezione della Boschi aveva in qualche misura funzionato. La falla più grossa era stata aperta dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che aveva ammesso di aver incontrato la Boschi e di aver parlato di Banca Etruria, sia pure in termini generici. La reazione era stata furiosa e vagamente minacciosa (“Forse Vegas si è scordato, ma ho i messaggini, il 29 maggio 2014 lui mi chiese di incontrarci in modo inusuale a casa sua alle 8 di mattina. Io ho detto no, semmai alla Consob o al ministero...”), sollevando anche qualche pruderie da rotocalco.
Inevitabilmente, però, il problema era posto: Maria Elena Boschi si è interessata di banche pur non avendo alcuna delega governativa in materia (le “riforme costituzionali”, in effetti, sono argomento alquanto lontano dai caveau, anche se forse meno di quanto si possa pensare). E quindi lo ha fatto per iniziativa personale (addirittura familiare, visto il ruolo del padre) o su incarico informale del ministro competente?
Il ministro in questione è per l’appunto Padoan, tutt’ora in carica con Gentiloni. Che ha deposto scandendo queste parole:
“Io non ho autorizzato nessuno e nessuno mi ha chiesto un’autorizzazione”. Del resto, la responsabilità del settore bancario “è in capo al Ministro delle finanze che d’abitudine ne parla con il Presidente del Consiglio”. Anzi: “le discussioni a livello di governo sulle questioni relative a banche in situazioni di difficoltà avvenivano in modo molto continuo tra presidente del Consiglio e me, poi ci sono state altre rare occasioni in cui queste cose venivano discusse in gruppi più ampi di governo ma essenzialmente la discussione sui casi bancari è stata tra il presidente del Consiglio e il sottoscritto”.
La traduzione politica è semplice: la “signorina Meb” si è mossa per i fatti suoi, io non ne sapevo niente. Con un colpo di coda in più: il coinvolgimento del Presidente del Consiglio d’allora, cioè Renzi. Il quale ovviamente veniva informato delle questioni finanziarie rilevanti dal ministro e quindi – teoricamente – avrebbe potuto a sua volta informare la Boschi sugli sviluppi delle vicende riguardanti la banca vicepresiduta dal padre.
La banca toscana è stata poi “mandata in risoluzione” (tecnicamente fallita) insieme ad altri tre istituti.
Ma Padoan ha seminato anche altri “suggerimenti” che suonano implicitamente come un “toglietemi dai piedi questi dilettanti”. Per esempio quando ha dichiarato “Mi risulta che la nostra normativa sul conflitto di interessi sia una buona normativa. Si tratterebbe forse di applicarla con decisione”. Se fosse stato fatto, se ne può dedurre, non staremmo qui a trascinarci un caso come questo...
Di più ancora. Padoan ha indirettamente difeso l’operato complessivo della Banca d’Italia – e del suo governatore, Ignazio Visco, che Renzi voleva far rimuovere e che oggi sarà sentito dalla stessa Commissione d’inchiesta – sostenendo che “Pur riconoscendo che in alcuni singoli casi la vigilanza poteva fare meglio, ciò avveniva in contesto di cambiamento delle norme europee e di crisi economica”. Ma una simile insufficienza si è manifestata solo nel caso delle “banche venete”, su cui Padoan ha infierito: “Quello che avevo in mente è che ci possono essere stati ostacoli nella vigilanza” e “quello delle banche venete è un esempio nel quale la vigilanza non si è potuta esperire completamente. Negli altri casi non sono in grado di dire cosa sia successo in ognuno di essi”.
Padoan non è esattamente un pivello. Ha una storia come economista di formazione Pci (è stato anche nel Comitato Centrale della regione Lazio), poi Direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale per l’Italia e quindi vice segretario generale dell’Ocse, fino a diventarne capo economista. Insomma, un “tecnico che sa di politica”, espressione diretta degli organismi sovranazionali che hanno fin qui governato la globalizzazione favorendo al massimo le “riforme” neoliberiste.
La sua deposizione, insomma, è stata qualcosa più di un siluro.
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