Il bello del nostro paese, si sa, è il
più creativo e ardito sprezzo del ridicolo. In riferimento alla
progettata spedizione in Niger, Il Messaggero ha titolato, in prima pagina, parlando di missione contro gli scafisti.
Ora, basterebbe dare un’occhiata, anche pigra, alla cartina geografica
per notare come, oltre a non avere alcun sbocco a mare, il Niger dista dalle prime spiagge dell’oceano nell’ordine, minimo, del migliaio di chilometri.
Un po’ lontano affinché i nativi, che abitano la vasta fascia
subsahariana dell’Africa, possano addestrarsi regolarmente all’arte dello
scafismo. Allo stesso tempo pensare che esistano organizzazioni di
“scafisti”, per usare questo linguaggio giornalistico fuori dal tempo e
dallo spazio, così ramificate da comandare in Niger è non avere
chiarissimo come funziona il mondo oltre i confini tra Piazza di Spagna e
il Quirinale (nel cui mezzo, in via del Tritone, c’è la sede del
Messaggero a Roma). I rapporti tra clan, e all’interno di essi, infatti, nella lunghissima catena di relazioni d'ogni tipo che passa tra la Libia e il Niger, sono estremamente complessi,
mobili e instabili. Immaginare una spectre scafista che va dalle coste
della Libia al Niger, e che comanda il tutto come una piovra fa con i
suoi tentacoli, è materia buona per le trasmissioni di Formigli. Dove
magari un qualche sodale di Grasso ammette sì che in Niger vi è un
emergenza sicurezza che va coniugata, ci mancherebbe altro, con la
solidarietà.
Certo, la parola scafisti vende
come titolo e la parola Niger illumina la mente di Minniti, che immagina
una sorta di Vallo Africano ai confini della Libia, ma non è
per questi temi che, in realtà, ci si mobilita nell’area subsahariana di
quel continente. Anche perché contribuire a “regolare” i flussi
migratori di un paese, il Niger, che ha una estensione
geografica quattro volte superiore all’Italia con l’invio di 450
soldati, e nei momenti di picco, appare un’impresa più bizzarra che
impossibile. Oltretutto queste missioni sono costose, non a caso la Francia ha chiesto partecipazione all’Italia,
e quindi appare chiaro che le truppe italiane non sono lì, salvo magari
l’arresto di qualche figura ritenuta di spicco in un qualche traffico,
per dare la caccia agli scafisti in un paese molto lontano da qualsiasi
sbocco a mare.
Il punto è che in Niger, oltre
ai 23 miliardi di dollari in aiuti da noi segnalati che andranno
trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una
spedizione militare. Qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da green economy che è l’uranio.
Ora, nessuno scopre oggi l’importanza del Niger nella produzione
d’uranio. Tanto che nel 2002, nella fretta di accreditare prove sulla
costruzione di centrali nucleari irakene grazie all’uranio del paese
africano, congiuntamente i servizi del governo italiano e di quello
americano costruirono vere e proprie fake news in materia in uno scandalo detto Nigergate (http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/iraq69/sismicia/sismicia.html)
In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo
parlando del quinto produttore di uranio al mondo ma con una
popolazione, di venti milioni di persone, stimata tra le dieci più
povere del pianeta. E in Niger vi è anche Arlit, una delle capitali mondiali della produzione di uranio impoverito.
Proprio il pericolosissimo materiale per usi civili, di diverso tipo, e
militari che provocò la morte dei soldati italiani al ritorno dalle
missioni coloniali in Kosovo, Afganistan e Jugoslavia (340 morti, 4000
malati, una strage silenziata al massimo dai media, con D’Alema e
Mattarella, all’epoca ministro della difesa, che in materia negarono
l’impossibile). Ma in Niger se si scrive uranio si legge Areva, una multinazionale francese a proprietà pubblica, con un proprio distinto grattacielo al quartiere parigino della Défénse. Il campo si fa quindi più chiaro: lo sfruttamento e l’export dell’uranio del Niger,
i cui proventi non vanno certo ad una popolazione ben al di sotto del
livello di povertà, ma in mano francese. Lasciamo agli storici dello
sviluppo la categoria da usare in questo caso ma a noi questa dimensione
post-coloniale sembra del tutto coloniale.
Come ricorda questo articolo,
l’export di uranio del Niger, oltre a non fruttare niente per il popolo
di quel paese e inquinarne pesantemente le acque, fornisce energia per
il 50 per cento della popolazione francese. E’ evidente quindi che lo sviluppo drammaticamente ineguale in Niger
è un affare interno della Francia. Ma anche esterno, perché nella
fornitura di energia atomica in Ue, che è circa un terzo di quella
complessiva, l’uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia del continente,
con una quota del 17,1% sulla produzione totale Ue e davanti a Germania
(15,3%) e Regno Unito (in calo ma al 13,9%). Si capisce quindi che gli
scafisti di un paese senza sbocco al mare c’entrano poco, se non come
fake news alla amatriciana, e che l’uranio c’entra molto di più in questo
intervento italiano, a supporto della Francia, nell’Africa
subsahariana. Certo, visto che l’Italia, come ogni paese Ue, non è
autosufficiente sul piano energetico, l’aiuto ai cugini forti francesi
potrebbe prevedere anche delle facilitazioni nell’acquisto di questa
preziosa merce.
Veniamo però alle questioni che sembrano imporre ai francesi una seria ristrutturazione economico-politica dell’area
e che vanno oltretutto oltre la forte, almeno stimata come tale,
presenza nella zona della guerriglia islamista di vario tipo. Così si
capisce a cosa gli italiani vanno a supporto.
1) Il 2011 è stato un anno
cruciale per Areva, e quindi la Francia, nel settore. Per due
sostanziali motivi. Il primo si chiama Fukushima, che ha imposto non
solo una crisi ma anche una seria ristrutturazione nel settore dei
reattori nucleari. Certo ci sarebbe molto da dire su un paese,
l’Italia, che accetta il risultato del referendum contro il nucleare a e
poi va a fare avventure coloniali per garantire il nucleare nel mondo.
Ma andiamo oltre: il 2011 è anche l’anno dell’uranium-gate del Niger,
questione che lega Areva alla corruzione sul posto, recentemente
riassunto dalla Bbc (http://www.bbc.com/news/world-africa-39744861). Ma non finisce qui, poche settimane fa in seguito agli scandali del
2011 lo stesso governo francese perquisisce gli uffici di Areva (https://www.usinenouvelle.com/article/perquisition-a-areva-sur-un-rachat-d-uranium-a-perte-au-niger.N619843). Motivo: una parte significativa dei fondi girati in quella storia si
suppone sia finita a ambienti russo-libanesi. Morale: le
ristrutturazioni del settore e le vicende di tangenti Areva-Niger
erano scappate di mano dal controllo francese. Ma se fossero solo
questioni interne non ci sarebbe da mandare truppe in Africa. Invece,
piuttosto, passiamo all’altro punto.
2) Prima di tutto c’è da contrastare, da parte dei francesi, la presenza cinese nel luogo (si veda questo articolo di due anni fa) . E per questo, visto che in Africa i cinesi non esistono sul piano
militare, non c’è niente di meglio che ristrutturare Areva dall’interno e
far valere la propria presenza sul campo in termini di truppe. Con
l’aiuto dell’Italia. E in questo contesto la guerriglia (come già
accaduto con la sollevazione dei tuareg oltre dieci anni fa che
minacciava le miniere di uranio) si è fatta sentire. Una guerriglia definita islamista che aveva già colpito siti francesi nel 2013. Si parla di una guerriglia per la quale oggi, secondo fonti africane in lingua inglese, la guerra dell’uranio in Niger sembra essere appena
cominciata. Una guerra con gli Usa che forniscono i droni, mentre la Francia, e l’Italia, sono sul campo.
La prima a difendere i propri interessi diretti, la seconda a supporto.
Cercando di ricavare appalti, come abbiamo detto nel precedente
articolo, oppure una posizione privilegiata nella produzione di energia
(e magari arrestando qualche “scafista” per la gioia dell’opinione
pubblica). Ma chi sono questi gruppi islamisti? Secondo il Guardian,
dopo un articolo a seguito dell’uccisione di quattro soldati americani
nell’area, si tratta di gruppi già esistenti, in grado di colpire, ma difficili
da identificare “in una delle più remote e caotiche zone di guerra del
pianeta". Ed è in questo tipo di zona che la Francia vuol rimettere ordine,
commerciale e militare, e che l’Italia va a fornire supporto.
3) Insomma, il Niger è un paese
chiave per Areva, quindi la Francia, nel quale vanno rimessi ordine, a
garanzia dei profitti. Al resto ci penserà la retorica dei media. Con
l’Italia che cerca un ruolo. In una zona di guerra che ha
mostrato già le sue forti criticità. Ma c’è un ultimo punto che Areva, e
con lei la Francia, cerca. Quello che riguarda la propria
stabilizzazione sul mercato finanziario legato all’uranio dopo magari
aver trovato quella geopolitica. Infatti, è notizia recente quella che
vuole il mercato dei servizi finanziari legati all’uranio come sconvolto
dal comportamento del Kazakistan, paese leader della produzione
mondiale di urano. Secondo gli analisti del settore, il
Kazakistan ha tirato un vero e proprio siluro sul mercato dei servizi
finanziari all’uranio. Motivo? Annunciando il calo secco della produzione ha alimentato la crescita dell’azionario legato all’uranio: il cronico eccesso di fornitura dell’uranio teneva il prezzo di questa materia prima troppo
basso per le esigenze finanziarie dei produttori e del mercato. Areva,
in previsione di questa mossa aveva, poche settimane prima, tagliato produzione e personale in Niger. E’ evidente però che la stabilità sul campo nel Niger, oggi, non è
paragonabile a quella del Kazakistan per cui bisogna correre ai ripari.
Come Areva, come Francia e come Italia a supporto. Se ne può stare
certi: le mosse legate al Niger vedranno un piano di decisione politico,
su più capitali dell’occidente, e uno legato alla situazione sui
mercati finanziari. Poi si potrà raccontare degli scafisti, dei
progressi contro la guerriglia islamista, cosa si vuole insomma.
C’è poi un punto realmente politico in tutta questa storia. Una
tecnologia, altamente pericolosa, come il nucleare, sul quale
ricordiamo l’Italia si è già espressa, è occasione di guerre coloniali
come nel passato. In zone flagellate dalla fame e
dall’inquinamento di ogni tipo. E si tratta di guerre coloniali che si
candidano, a vergogna di un Gentiloni disposto a tutto pur di restare
dove è, a devastare ulteriormente l'Africa subsahariana. Infine, non si è
capito l’iter parlamentare di tutta questa vicenda. Presto Mattarella,
quello dell’uranio impoverito, scioglierà le camere. Ci sarà un voto? Ci
sarà qualcosa? Intanto, per la stampa italiana, in Niger ci sono gli
scafisti.
Redazione, 27 dicembre 2017
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